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Ecco perché (in 5 punti) la legge sul cyberbullismo non piace

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«Pietre e bastoni possono rompermi le ossa, ma le parole da uno schermo mi possono colpire solo se, e fino a che, io glielo permetto». Questo era quello che pensava la famosa hacker Jude Milhon sulla violenza in rete. E diceva: «Dovremmo pensare ad Internet come a una scuola che molte di noi ragazze non hanno mai avuto l’opportunità di frequentare e usarla proprio per superare la paura di non essere carine abbastanza, educate abbastanza, forti abbastanza, belle abbastanza, sveglie abbastanza o abbastanza qualcos’altro». Dopo il suicidio di Tiziana Cantone che non ha sopportato gli effetti di un suo video erotico diffuso in rete, queste parole acquisiscono un nuovo significato, sopratutto dopo l’approvazione in Parlamento della legge sul cyberbullismo. La Camera dei deputati ha infatti appena dato il via libera alle norme per il contrasto del bullismo e del cyberbullismo con 242 sì, 73 no e 48 astenuti.

IL TESTO CAMBIATO ALLA CAMERA

Il testo definisce cosa sono il bullismo e il cyberbullismo, consente di chiedere la rimozione di contenuti persecutori online sia al minore che a chi esercita la responsabilità genitoriale, “obbliga” gli operatori che gestiscono contenuti ad autoregolamentarsi e intervenire tempestivamente in caso di reclami e presuppone l’intervento del Garante per la Privacy entro 48 ore se non adempiono con specifiche procedure per la gestione delle richieste di “oscuramento, rimozione o blocco dei dati”.

In particolare il testo normativo definisce come atto di bullismo ogni genere di aggressione o molestia, da parte di singoli o gruppi, capaci di ingenerare “timore, ansia o isolamento ed emarginazione”, atti che si manifestano come comportamenti vessatori, pressioni o violenze fisiche e psicologiche”, fino ad istigare all’autolesionismo e al suicidio, alle minacce ai furti, ai danneggiamenti, “per ragioni di etnia, lingua, religione, orientamento sessuale, aspetto fisico, disabilità o altre condizioni personali e sociali della vittima.”

Ma secondo l’avvocato Fulvio Sarzana la legge adesso è inutile perché “Le modifiche apportate all’art 1 del DDL impediscono a colui che è vittima di ricatti o di diffusione di immagini attinenti la sfera sessuale di poter ottenere la rimozione dei contenuti.

La norma infatti penalizza i comportamenti di aggressione politica, razziale, religiosa, e i dati idonei a rivelare l’orientamento sessuale. Ma non l’attività sessuale in sé. Questo renderà vane le richieste di cancellazione di minori e maggiorenni per i casi che abbiamo letto in questi giorni, e che sono stati l’humus emotivo che ha fatto da sfondo all’approvazione della norma”.

La legge è dannosa perché i minori vedranno “annegate” le loro richieste in un “mare magnum” di richieste di rimozione sul web

Proprio per questo Sarzana sostiene che “la legge è dannosa perché i minori vedranno “annegate” le loro richieste in un “mare magnum” di richieste di rimozione sul web che si abbatteranno sul Garante”. Che è poi la stessa opinione dell’onorevole pentastellata MariaLucia Lorefice che dice: “La norma offre al Garante Privacy ampia discrezionalità ma non gli strumenti per un controllo efficace.

Meglio tornare alla prima versione del Senato”.

Perché questa legge non piace

La legge era attesa da tempo e aveva cominciato il suo iter ben due anni fa. Il primo testo passato al Senato aveva trovato l’accordo di tutti i partiti, ma alcune modifiche l’hanno fatta diventare una legge monstre che ha sollevato perplessità e dubbi in particolare perché:

  1. La legge non si occupa più solo di cyberbullismo e minori, ma anche di bullismo e adulti
  2. Può essere usata strumentalmente contro libertà d’espressione in rete
  3. La definizione di bullismo ingloba reati già perseguibili come la diffamazione e le ingiurie
  4. Affida la responsabilità della valutazione delle condotte illecite agli operatori dei siti che gestiscono contenuti
  5. Produrrà un aumento del numero dei contenziosi su cui dovrà pronunciarsi il Garante della Privacy (senza nuove risorse)

Eppure dovrebbe essere difficile essere in disaccordo con una norma che tutela i minori in rete e fa del suo meglio per contrastare il bullismo, tanto che molti se ne erano detti soddisfatti, ma la legge modificata e votata dalla Camera il 20 settembre, (circa 100 emendamenti) è cambiata nella sostanza.

Le reazioni a una pioggia di emendamenti

“La norma sul cyberbullismo modificata alla Camera è nella migliore delle ipotesi inutile, nella peggiore, dannosa”. È netto il parere dell’avvocato Sarzana che all’inizio dell’estate aveva per primo sollevato il tema dell’inadeguatezza della legge di contrasto al cyberbullismo: “La norma approvata non ha più nulla a che vedere con il Cyberbullismo e con la tutela dei minori, ed il Parlamento, probabilmente a sua insaputa, ha votato una legge draconiana sui reati di opinione e sui comportamenti in rete”. Ma della pericolosità per la libertà di critica, di satira e d’informazione rappresentata dalla legge che doveva tutelare i minori in rete, ormai sono in parecchi ad essere convinti.

Ciò che provoca problemi alla persona è un reato, non bullismo

È proprio quello che pensa anche Giovanni Paglia, parlamentare di Sel, membro della Commissione per la Carta dei diritti in Internet. “Come gruppo ci siamo astenuti perché seppure la parte di prevenzione e della scuola sembra buona, la parte cyber è pessima. Estendere la categoria di bullismo ai maggiorenni è una sciocchezza. Ciò che provoca problemi alla persona è un reato, non bullismo. Se dico il falso è diffamazione, se ti picchio è violenza privata, se ti tallono per motivi sessuali è stalking, dentro o fuori la rete”. Al contrario la legge lascia aperta la parte a un gran numero di contenziosi perché, dice il deputato, “[…] in base alla formulazione attuale se io denuncio che un tuo comportamento mi provoca ansia devi rimuovere i contenuti che mi danno fastidio. Ma così puoi colpire la satira, il giornalismo e la libertà d’opinione”. E ancora i Cinquestelle: “La legge approvata alla Camera è l’ennesimo esempio di legge nata per tutelare i cittadini, e finita col diventare un provvedimento contro di loro”.

LE RAGIONI D’URGENZA

Piuttosto deluso il deputato Stefano Quintarelli dell’intergruppo Innovazione che lamenta come le ragioni d’urgenza non abbiano permesso di valutare le sue proposte di emendamento e che non si fa illusioni sull’iter della legge. Non vuole dircelo, ma ritiene che difficilmente diventerà legge dello Stato, come già ci aveva preannunciato Paglia per i pericoli insiti nella sua formulazione e per i rilievi di anticostituzionalità che potrebbe presentare.

La pensa in maniera diametralmente opposta Paolo Beni del Partito Democratico, che è il relatore del provvedimento per la Commissione affari sociali: “È una buona norma. Come rappresentanti nelle istituzioni avevamo il dovere di intervenire. Per noi l’aspetto educativo e formativo viene prima di tutto”. E continua: “L’impostazione è coerente col testo del Senato e non riguarda più i minorenni. L’abbiamo voluto di proposito perché c’è un uso dei social che coinvolge gli adulti. Abbiamo ritenuto di allargare le tutele ai minori e anche la parte sulla scuola è migliorata, perciò non condivido alcune tesi che parlano di repressione della libertà d’opinione in rete”.

CYBERBULLISMO E VIOLENZA IN RETE

Ma ridurre il tema della violenza del web alle aggressioni verbali non basta. Il web ospita siti che incitano all’odio razziale, alla xenofobia, all’antisemitismo e all’islamofobia. Per contrastare la violenza su web non serve mettere il bavaglio alla rete, ma intervenire sul bigottismo dei carnefici e sulla fragilità e le paure dei loro bersagli, con un’opera di educazione dentro e fuori dal web.

È noto a qualsiasi studioso di scienze sociali che nelle situazioni di crisi la manifestazione di comportamenti aggressivi aumenta. Che l’aggressività diventi odio e si trasformi in violenza fisica o verbale è frutto di un’escalation tipica del mancato soddisfacimento dei propri bisogni, materiali oppure emozionali. A volte tuttavia la violenza è direttamente fenomeno delinquenziale soprattutto se è percepita e attuata come uno strumento adatto a raggiungere i propri fini.

I FATTORI DELL’AGGRESSIVITA’

Sono molti i fattori dell’aggressività, a cominciare dai tratti di personalità alla frustrazione causata da interazioni sociali insoddisfacenti, alla messa in discussione della propria weltanshauung e del proprio sé (come sono fatto, come mi vesto, da che famiglia provengo, etc.).

Le cause dell’aggressività, dell’odio e della violenza vanno ricercate nella società e non nel web che pure è una delle sue espressioni più rilevanti.

E infatti le interazioni via web aggiungono qualcosa di nuovo e di diverso all’aggressività manifesta o latente delle persone. Innanzitutto è più facile che l’aggressività si manifesti per una presunta immunità garantita dall’anonimato o dall’assenza fisica dell’antagonista. Oppure dalla mancata conoscenza delle regole di interazione dello spazio virtuale che si abita e dalle norme giuridiche che lo regolano.

IL LINGUAGGIO DELL’HATE SPEECH

Mentre i siti dell’odio sono un fenomeno ben conosciuto e circoscritto, il linguaggio aggressivo e violento nel web, hate speech, è fenomeno dalle caratteristiche più ampie e sfumate. Nonostante riproduca antiche dinamiche di discriminazione ed esclusione, basate su stereotipi e pregiudizi, è un fenomeno relativamente nuovo laddove Internet assume il ruolo di palcoscenico. La differenza rispetto ai contesti tradizionali è data dalla platea degli spettatori, ampia e diversificata, che possono aggiungersi in quanto attori al conflitto generato dalla violenza verbale e dalle immagini fisse e in movimento – dal punto di vista semiotico sono dei testi – che hanno un portato emotivo di forte rilevanza e più facilmente inducono ad una reazione esasperata degli individui.

Il dramma con cui ci confrontiamo oggi è che le interazioni gratificanti o frustranti in rete hanno un parallelo o degli effetti e delle conseguenze nella vita reale laddove non c’è più confine tra lo spazio del sé costruito e agito nelle interazioni virtuali e quello che si costruisce e agisce nelle interazioni real-life o face to face.

Quali soluzioni

Se non è possibile rimuovere immediatamente le cause del disagio psicosociale dei violenti, l’unica risposta è l’educazione, che va fatta nei luoghi della socializzazione primaria: famiglia, scuola, e poi nel gruppo dei pari, nei luoghi di aggregazione (club, stadio, polisportive) e di lavoro. Ma aiuterebbe anche debellare i luoghi comuni secondo cui la rete è un far west dove non valgono le leggi dello Stato e nessuno sa chi sei e per questo ci vogliono nuove leggi. Non è così, semmai il contrario. Piuttosto è ora di cominciare a pensare al web come a un grande alleato per promuovere stili di vita positivi e creare una società più aperta e tollerante.

ARTURO DI CORINTORoma, 25 Settembre 2016

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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