Ecco perché odio la burocrazia e amo l’etica hacker

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Solo pochi giorni fa, a fine Febbraio 2015, è arrivato in libreria l’ultimo libro di David Graeber, “The Utopia of Rules” (l’utopia delle regole). Nel non lontano 2012, il noto antropologo anarchico americano si era cimentato nella sua opera chiave: “Debito. I primi 5000 anni”; se in quel frangente Graeber aveva spiegato con parole semplici come l’economia non è una scienza esatta ma piuttosto l’espressione dei rapporti di forza nella nostra società, in questo nuovo libro egli esplora quella che chiama “la storia d’amore del capitalismo con la burocrazia”.

Credits: abc.net.au

C’era già arrivato, Graeber, a occuparsi delle aziende, qualche anno fa, nel 2013, quando con il suo breve ma incredibilmente profondo saggio uscito su Strike, “Sul fenomeno dei lavori di merda” si era soffermato sul potere conservativo del capitalismo moderno parlando di quell’esercito di lavoratori “sostanzialmente pagato per fare nulla, con posizioni ufficiali volte a farli identificare con le prospettive e la sensibilità della classe dirigente (manager, direttori, amministratori, ecc…) allo stesso tempo, promuovendo un risentimento latente contro chiunque faccia un lavoro che abbia un valore sociale chiaro e innegabile”.

Insomma, l’uscita di “The Utopia of Rules” sembra una naturale evoluzione del pensiero e dell’analisi di Graeber riguardo il capitalismo e il management moderno.

In un bel pezzo di presentazione del libro, Cory Doctorow – un vero cantore del movimento hacker – spiega come, anche se le organizzazioni burocratiche moderne “dovrebbero essere meritocrazie in cui le persone vengono assunte e promosse sulla base del loro talento, (…) sappiamo tutti che questo è una stronzata (sic!) e che l’unico modo per fare carriera nell’utopia burocratica è quello di far finta che non sia una stronzata essa stessa”.

LA NASCITA DELLE POSTE…. E DELLA BUROCRAZIA

Ma come siamo arrivati a fondare un’intera società sulla burocrazia? Una breve storia credibile ce la offre proprio Graeber.

Una delle più grandi innovazioni del XIX secolo fu la trasformazione di un retaggio del sistema postale nato intorno al Sacro Romano Impero (e poi al’esercito tedesco) in un sistema pubblico di posta, divenuto da allora l’emblema e il campione dell’efficienza tedesca.

Il sistema postale tedesco nazionale nato a metà del XIX secolo, fu sostanzialmente il primo contesto in cui i modelli di gestione militare – direttamente ereditati dalle legioni romane – furono impiegati a favore di un servizio per la collettività, per l’appunto la posta.

L’efficienza del sistema fu così grandemente riconosciuta che prima l’Unione Sovietica – Lenin osservò che “organizzare l’intera economia nazionale sulle linee del servizio postale tedesco” sarebbe stato il giusto obiettivo della rivoluzione – e poi gli Stati Uniti, con la nazionalizzazione e “postalizzazione” di molti servizi pubblici primari, abbracciarono il modello postale tedesco come emblema di efficienza per il futuro.

Chiaramente, una volta che un sistema “burocratico” si fa strada nell’economia è piuttosto difficile da cambiare: se si crea una struttura burocratica per affrontare un problema, questa finisce per creare altri problemi che possono essere risolti solo con i mezzi della stessa burocrazia: “una volta che una burocrazia è stata creata, tenderà a rendersi indispensabile per chiunque tenti di esercitare il potere […] tentando di monopolizzare l’accesso ad alcuni tipi principali di informazioni.”

FISOLOFIA ED ETICA PROTESTANTE

Agli inizi del Novecento, Max Weber – filosofo tedesco ritenuto tra i padri della sociologia – scrisse un saggio particolarmente interessante da considerare in questo contesto “L’etica protestante e lo spirito del capitalismo” in cui sosteneva la tesi che il capitalismo moderno – e burocratico – fosse nato dalla tradizione dell’Europa del Nord, con l’affermazione dell’etica protestante del lavoro.

Nella visione dell’etica protestante del lavoro, Il lavoro è visto essenzialmente come un fine in se stesso (per evitare l’ozio, che può portare al peccato) e deve essere considerato come un dovere: dunque il lavoro assegnato deve essere fatto, a prescindere dal suo valore.

Credits: invezz.com

Malgrado i valori dell’etica protestante siano probabilmente molto lontani dalla società attuale, comprendiamo, da questi brevi passaggi, come le radici del nostro moderno sistema economico e valoriale siano complesse e difficili da cambiare. Sempre Weber, citato da Graeber nella presentazione del libro scritta per il Financial Times, dice che “ogni burocrazia cerca di aumentare la superiorità del burocrate – mantenendo le sue conoscenze e intenzioni segrete, per quanto possibile, proteggendo la sua conoscenza e azione dalle critiche “.

L’ETICA HACKER

In qualche modo in risposta – o forse sarebbe meglio dire in tributo – a Max Weber e alla sua “Etica protestante e lo spirito del capitalismo” nel 2001, il filosofo finlandese Pekka Himanen, scrisse “L’etica Hacker e lo spirito dell’età dell’informazione”. Nel libro, Himanen indaga il nucleo dell’informazionalismo, il cuore della nascita di un nuovo paradigma, quello post-industriale legato all’era dell’informazione.

In qualche modo dunque, la nascita della rete, ancora una volta un’innovazione proveniente dal mondo militare, di fatto si configura come una nuova grande rottura – a replicare l’effetto “postalizzazione” nato dall’esperienza della nascita dei sistemi postali (a partire da quello tedesco) – in grado di generare il superamento dell’economia industriale e potenziare una nuova “rivoluzione”.

D’altronde, se è impossibile negare che il nascere della rete internet, e del social web, ha trasformato la struttura della società dell’informazione in un “reticolo”, superando le logiche “lineari” tipiche della produzione industriale, è altrettanto impossibile pensare che non sia necessaria, in primis nelle nostre aziende o organizzazioni sociali e in ultima analisi anche in noi stessi, l’adozione di un nuovo atteggiamento, appunto, una nuova etica del lavoro.

Ma quale può essere dunque lo spirito guida, l’etica di base di questa trasformazione? Himanen (e altri) individuano nell’etica hacker l’alternativa all’etica del lavoro protestante madre del sistema industriale-capitalista.

Nell’etica hacker del lavoro, esso stesso deve essere interessante e divertente e, soprattutto, quello che il lavoro produce deve essere di valore per gli altri e aperto ad altri utilizzi e miglioramenti da parte della comunità.

Inoltre, i lavoratori hanno bisogno della libertà di organizzare il proprio lavoro nel modo che sia più funzionale a raggiunge i loro obiettivi e nella maniera che meglio si adatti alle loro esigenze e alle loro intuizioni.

Proprio il 2001, più o meno in contemporanea con l’uscita del libro di Himanen, vide quella che senz’altro possiamo considerare la prima incarnazione del pensiero e dell’etica hacker nel mondo del lavoro dell’era dell’informazione;nel febbraio di quell’anno infatti, un gruppo di sviluppatori di software americani, si riunì per discutere le nuove pratiche e i metodi di sviluppo software.

Il padre del Production System di Toyota, Taichi Ohno. Foto: plywerk.com

Queste pratiche emergevano da un substrato culturale ispirato, da una parte dal lavoro di evangelizzazione che persone come Richard Stallman – padre del movimento per il software libero e “ultimo vero hacker” secondo Steven Levy – avevano fatto negli anni precedenti, dall’altra dall’eredità della rivoluzione della produzione lean, che aveva permesso a Toyota, grazie alla leadership di Taichi Ono, di trasformarsi da piccolo produttore giapponese ad azienda leader nel mondo dell’automobile. E per capire quanto, in un certo senso, pure se distanti anni luce culturalmente, queste due forze tendessero a identificare la burocrazia come il nemico numero uno della creazione di valore basti citare uno degli insegnamenti chiave proprio di Ono:

“Lasciate che sia il flusso a gestire i processi e non che sia il management gestire il flusso”.

Tornando però all’incontro del Febbraio 2001, quello che quegli sviluppatori, spesso pionieri in aziende e organizzazioni leader, produssero è oggi famoso con il nome di “Manifesto Agile”. Questo manifesto, fatto di 12 principi, si basa su quattro aspetti chiave che lo caratterizzano come una vera e propria discontinuità rispetto al mondo gerarchizzato, contrattualizzato e burocratizzato delle aziende che, nella maggior parte dei casi ancora a distanza di quasi 15 anni, conosciamo, frequentiamo e viviamo tutti i giorni:

  1. Gli individui e le interazioni contano più dei processi e degli strumenti
  2. Il Software funzionante conta di più che la documentazione completa
  3. La collaborazione coi clienti conta più delle negoziazioni contrattuali
  4. Rispondere ai cambiamenti è più importante che seguire il piano

UN MANIFESTO DELLE ORGANIZZAZIONI NON-BUROCRATICHE?Oggi dati sempre più chiari ci dicono che le organizzazioni che hanno compreso la trasformazione post-industriale della società dell’informazione e hanno sconfitto la burocrazia e la rigidità dei modelli di business lineari sono i leader del mercato. Secondo Javi Creus (il passaggio è tratto dall’appena rilasciato nuovo report PentaGrowth) queste aziende che conquistano e creano mercati “hanno una visione più ampia del loro ecosistema di business: collegano nodi, integrano risorse provenienti da origini diverse nei loro processi, sfruttano meglio le capacità dei loro utenti e condividono strumenti e risorse per consentire ad altri di sviluppare nuova impresa e nuovi stili di vita. Il valore di queste organizzazioni non è il loro volume, ma la visione amplificata di ciò che è alla loro portata […] sono progettate per generare più valore di quanto ne catturino”.

Dopo 15 anni, e in particolare in questi ultimi mesi, la nostra comprensione delle profonde trasformazioni che possono aiutarci a sburocratizzare le aziende e le organizzazioni è decisamente migliorata e, in molti casi, l’applicazione di una maniera diversa di lavorare e produrre ha dunque generato, nei contesti dove è stata applicata da aziende più creative, un ambiente di lavoro più produttivo, lavoratori più felici e risultati incredibilmente migliori.

Credits: economist.com

Possiamo forse identificare tre livelli di applicazione dell’etica hacker del lavoro nelle aziende e nelle organizzazioni: un piccolo vademecum che può aiutarvi a ordinare le idee e immaginare trasformazioni che potranno, forse, garantire alla vostra azienda la resilienza e la capacità di affrontare il futuro.

LIVELLO 1. L’ETICA HACKER PER CAPIRE IL MERCATO

In prima analisi, l’atteggiamento hacker va applicato alla scoperta e alla comprensione del mercato: in questo senso le nostre aziende dovranno essere molto attente a non cadere nel trabocchetto della protezione di posizioni di vantaggio e della tentazione di percorrere la via dell’innovazione incrementale. Questi porti sicuri non possono durare a lungo.

Piuttosto sarà importante focalizzare gli sforzi nella ricerca continua della creazione di nuovo valore tangibile per gli utenti.

Decine di pratiche possono aiutare le aziende a validare (la parola chiave di quest’epoca) i loro prodotti e servizi e a costruirli sulla base di continue sperimentazioni: dalla preziosa teoria del Lean Startup (Eric Ries) e del Customer Development (Steve Blank), ispirazione di un’intera generazione di pirati della Silicon Valley, al prezioso contributo che le tecniche del Design Thinking possono darci nel disegnare innovazioni e prodotti intorno ai problemi e alle necessità vere delle persone (qui un mio vecchio pezzo in cui ho cercato di fare un po’ d’ordine sul tema).

LIVELLO 2. L’ETICA HACKER PER CONDIVIDERE LA CONOSCENZA

Inoltre, l’etica hacker andrà applicata ai prodotti e servizi, con l’adozione di pratiche di condivisione di conoscenza, adottando modelli di sviluppo Open Source, creando interfacce standard e utilizzabili per i propri servizi e prodotti – come attraverso la creazione di API – e, in ultima analisi, rendendo i propri prodotti e servizi attoni utilizzabili da altri e contesti in cui gli altri possano essere protagonisti dell’innovazione. Si tratta di abbracciare “il grande distruttore”, l’unbundling – tema di cui abbiamo parlato estensivamente qualche settimana fa – da dentro l’azienda, in maniera consapevole e strategica.

E che questo approccio non sia solo da considerarsi confinato al software ce lo dice un recente progetto del gigante General Electric, che in collaborazione con Local Motors ha lanciato FirstBuild, un’iniziativa strategica per la creazione di elettrodomestici open, hackerabili, nati dalla collaborazione co-creativa con le comunità e prodotti on demand.

LIVELLO 3. L’ETICA HACKER PER CAMBIARE I PROCESSI DECISIONALI

Infine, l’ultimo e forse più complesso livello di adozione dell’etica hacker nel mondo delle aziende riguarda lo sviluppo di una cultura di “design continuo dell’organizzazione” che porti a una continua ridefinizione e sperimentazione dei processi e delle strutture decisionali, con l’obiettivo di raggiungere quella stigmergia (la capacità di prendere decisioni organicamente e vicino ai problemi) e quel livello di collaborazione di cui abbiamo parlato appunto nel post di qualche settimana fa.

L’Adobe Kickbox. Credits: thecasecentre.org

In particolare, anche se alcuni standard di innovazione organizzativa oggi si affermano e presentano sul mercato, come Holacracy o Liquido, le organizzazioni vincenti saranno a mio parere quelle in grado di conoscere queste pratiche e sviluppare,dopo valutazioni attente, la loro via alla trasformazione organizzativa. In ultima analisi, la creazione di un’organizzazione più liquida e partecipativa va proprio nella direzione di dare al singolo collaboratore la capacità di poter essere parte di un processo di innovazione che nasca dal basso, in maniera partecipativa, magari sviluppando qualche scorciatoia speciale, come ha fatto Adobe con Kickbox, il suo innovation kit. L’Adobe Kickbox è “un programma per generare innovazione dall’interno […] una scatola di cartone rossa contenente tutto ciò di cui un dipendente necessita per creare prototipi e testare una nuova idea” compresa una carta di credito con 1000$ di cui disporre liberamente e una guida passo passo per essere ascoltati.

Quello che serve davvero dunque è comprendere, anche se con un po’ di ritardo, che siamo in un’era post-industriale, un’era interconnessa, sociale e zeppa di trasformazioni e che di certo in questo contesto, non sarà utile alla vostra azienda rafforzare vincoli, tutele per abbassare i rischi e legacci organizzativi.

Quando a rischio c’è la stessa sopravvivenza della vostra organizzazione occorre abbandonare la “comfort zone” del “fare quello che abbiamo sempre fatto, come lo abbiamo sempre fatto”: non è solo una possibilità, ma un imperativo.

Abbasso la burocrazia, abbasso le regole, viva gli hacker!

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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