Ecco perché servono gli open data nella Pubblica Amministrazione

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Che la Pubblica Amministrazione utilizzi i soldi dei contribuenti, quindi i soldi di tutti, è cosa abbastanza nota. Come è noto che i risultati che si ottengono con gli investimenti pubblici debbano essere al servizio di tutti e sfruttati nel modo migliore per far si che se ne tragga una pubblica utilità, possibilmente con alti livelli di efficienza.

Da tempo si discute su come debbano essere riutilizzati i risultati ottenuti nel settore informatico nella pubblica amministrazione nazionale. E in particolare si discute dei software e dei dati.

Per quello che riguarda il software il discorso è molto delicato e complesso in quanto non sempre la Pubblica Amministrazione investe nello sviluppo di software (cosa che potrebbe anche fare), ma spesso richiede licenze di software già sviluppati e li adatta alle proprie esigenze.

E quindi non ne è proprietario, ma semplice utente.

Per i dati invece il discorso cambia. Le banche dati, soprattutto quelle geospaziali, sono spesso realizzate su commessa pubblica ed in questo caso dovrebbero essere di proprietà pubblica, e quindi rese nel modo migliore a chi ne possa sfruttare i risultati nell’ottica della pubblica utilità. Ciò raramente accade. E da qui la riflessione e quindi i discorsi fatti.

La direttiva INSPIRE già nel 2007 ha imposto a tutti gli Stati membri dell’Unione Europea logiche e metodologie di comportamento tali da agevolare lo scambio ed il riuso del dato e dell’informazione. Oggi, dopo 4 anni ed un decreto di recepimento, c’è stata la necessità, nel decreto di spending review dello scorso luglio 2012 (Articolo 23, comma 12-quaterdecies) di ribadire questi concetti.

Non solo: per timore di ripetere una indicazione che finisse nel vuoto, si è pensato di dare a ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) il mandato di garantire (tutto da vedere come) che ciò accada.

Sebbene il testo stesso abbia bisogno di una semplificazione, in quanto molto complesso e articolato, il concetto espresso è del tutto chiaro. Ogni informazione e ogni dato prodotto con i finanziamenti pubblici da aereo, satellite o al suolo, deve essere riutilizzato, e quindi essere reso disponibile, a tutte le PPAA che ne richiedano l’uso, e anche al privato che ne volesse riutilizzare i risultati.

In pratica una cartografia, uno studio, un rilievo, un progetto che venga finanziato per scopi specifici può essere riutilizzato per altri scopi.

Conoscere il territorio e seguirne le logiche e le attività può essere utile a vari punti di vista, per vari scopi e per obiettivi comunque utili nell’ottica di meglio gestire la cosa pubblica. Così come si sono volute decine e decine di competenze e di uffici che operano sul territorio in enti diversi, allo stesso modo si deve trovare il modo di poter ottimizzare l’ottimizzabile e quindi rendere cooperante e interoperabile il risultato di qualsiasi attività o sotto-attività svolta con i finanziamenti pubblici.

Per avere un ordine di grandezza, che difficilmente può essere meglio precisata perchè mai censita, la spesa in materia è di vari miliardi di euro l’anno, e quindi si capisce come, ottimizzare tale spesa, possa essere di notevole interesse per la pubblica utilità. Se a questo si aggiunge che conoscere aiuta a gestire, e che gestire bene aiuta a fornire servizi migliori, il tutto diventa molto, ma molto importante.

Il passo immediatamente successivo è quello di rendere queste immense banche dati utilizzabili e interoperabili. Ma questa è altra cosa anche se importante tanto quanto la condivisione del dato. Scambiarsi dati ed informazioni significa comunicare, mentre utilizzare gli stessi strumenti e le stesse metodologie significa scambiare conoscenza e cooperare.

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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Scritto da chef

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