“Maestro i professori delle medie mi hanno detto che per me è meglio un istituto tecnico perché ho poca voglia di studiare”.Quante volte abbiamo sentito questo ritornello? Soprattutto in queste settimane, in cui migliaia di famiglie italiane stanno per iscrivere il figlio alla scuola superiore. Ma questa frase apparentemente innocua crea un danno terribile al nostro Paese. Quel modo di pensare di molti docenti italiani che consigliano un tecnico come scuola di serie B rispetto ad un liceo, è una bestemmia. A salvare il nostro Paese dalla crisi economica potrebbero essere proprio queste scuole.
Lavoro, partiamo dai numeri
Nel 2015 l’Italia ha fatto registrare un tasso di disoccupazione degli under 25 del 38,1 per cento ma le imprese non sono riuscite a trovare sul mercato circa 60 mila profili tecnici da assumere.
Nel nostro Paese, calcola il ministero dell’Istruzione, ci sono più di 300 mila richieste di diplomati degli istituti tecnici e professionali da parte delle aziende.
Chi sceglie una scuola di questo tipo ha la certezza di lavorare: sono 153 mila i diplomati in questi settori che entrano nel mercato del lavoro.
Secondo AlmaDiploma a un anno dal titolo il 44% dei ragazzi che hanno preso un diploma tecnico lavora, con punte del 48,7% tra i geometri e del 46,6% dei periti industriali.
Non solo: il 20% dei contratti offerti a chi si diploma nei tecnici è di natura stabile.
Verrebbe da pensare che la maggior parte dei nostri ragazzi, magari i migliori, finiscano in queste scuole. E invece no.Dal 1990 sul totale dei diplomati della scuola secondaria, gli allievi degli istituti tecnici sono passati dal 44% al 35% mentre quelli dei licei sono passati dal 30% al 45%: un calo drammatico che non può passare inosservato.
Credits: www.malignani.ud.it
Che fare per scegliere bene?
A lanciare l’allarme in una recente intervista al “Sole24Ore” è stato anche l’ex presidente del Consiglio, Romano Prodi: “Il nostro Paese ha bisogno di un forte rilancio dell’istruzione tecnica. O noi rendiamo chiaro che l’istruzione tecnica applicata è la condizione della sopravvivenza della struttura produttiva italiana o la nostra industria è destinata a scomparire. Se non vediamo nell’alta formazione tecnologica una fonte di approvvigionamento di risorse indispensabili, non ce la faremo. La qualità della stretta correlazione esistente tra ricerca e innovazione, impresa e scuola raggiunta in Germania, è l’obiettivo cui tendere”.
Il professore bolognese suggerisce anche una soluzione: l’istituzione delle Fachhochschule un tipo di istituto tedesco di istruzione superiore che si differenzia dalla tradizionale università soprattutto attraverso il suo orientamento più pratico.
Le materie insegnate nelle Fachhochschulen includono ingegneria, informatica, business e management, arte e design, studi di comunicazione, servizi sociali.
In Italia quest’esperienza esiste solo a Bolzano. Secondo Prodi sarebbe necessaria anche una sorta di sistematica campagna pubblicitaria tipo “Pubblicità Progresso” per contrastare il pregiudizio nei confronti dei tecnici.
Sicuramente abbiamo bisogno di due strumenti: formare chi orienta i nostri ragazzi e creare davvero una rete tra scuola e impresa:
Assolombarda a due anni dal lancio strategico “Cinquanta progetti per rilanciare le imprese e il territorio” ha coinvolto 9500 studenti e 80 istituti tecnici in progetti di alternanza scuola-lavoro.
A proposito di orientamento, invece, è interessate osservare come i settori che caratterizzano l’Italia, la moda e il turismo per esempio, sono quelli meno scelti dai ragazzi tra gli indirizzi dei tecnici: solo l’1% nella modo e il 10% nel turismo.
Su questa partita ci giochiamo il futuro dell’Italia. Il distacco dell’opinione pubblica dalla scuola tecnica, dal concetto della necessità di apprendere attraverso la grandezza del “fare” è una lacuna che pagheremo nei prossimi anni.
Da queste scuole escono coloro che guideranno il Paese verso l’innovazione: esperti in informatica e telecomunicazioni, elettronica, meccatronica, chimica, agroindustria, turismo.
Senza queste figure una parte del Paese è destinato all’agonia.