Quali sono i pericoli principali che corrono gli utenti alle prese con i propri amati (si fa per dire) operatori fissi e mobili? Recenti dati ufficiali ci danno la risposta, confermata peraltro anche da recenti notizie.Su rete fissa possiamo soffrire di un varia casistica di piaghe quando abbiamo l’ardire di voler cambiare operatore telefonico: perdita della linea per giorni e persino del numero di telefono; ritardi ingiustificati e doppie fatture. Ricordiamo che per la normativa, il cambio dovrebbe avvenire in 30 giorni dalla richiesta ed essere fluido, senza blackout della linea.
Su rete mobile il mostro ha un nome diverso e si chiama “servizi premium attivati senza il consenso informato dell’utente”. Ed è un mostro che si sta rafforzando: la sua nuova strategia è attaccare l’utente che naviga o usa un’app.
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A rivelare quali siano le principali minacce per gli utenti è la recente Relazione annuale Agcom 2014 (Autorità garante delle comunicazioni), che è un testo molto corposo. Non deve sorprendere quindi che siano passati inosservati finora i dati sui disservizi censiti dall’Autorità. Delle 21.862 segnalazioni arrivate all’Agcom dagli utenti, per la rete fissa (maggio 2013-aprile 2014), ben il 23,7 per cento riguarda il cambio operatore. Al secondo e al terzo posto (18,8 e 18,3 per cento) ci sono le fatture contestate e le proteste per i costi di disattivazione (questi pure possono rientrare nella casistica cambio operatore).
Si noti per altro che le segnalazioni per la rete fissa sono molto più numerose di quelle per la rete mobile, che sono state 9.242.
Rete fissaIl cambio operatore fisso è quindi in assoluto ciò che più procura problemi nel campo telefonico, in generale. Possiamo considerarla una conseguenza della maggiore complessità tecnica delle procedure su rete fissa, dove tutti gli operatori si devono coordinare con Telecom Italia (laddove su rete mobile sono invece indipendenti). In particolare per il cambio operatore sono cinque i disservizi più frequenti: “i ritardi nella procedura di passaggio – con conseguente sospensione dei servizi per diversi giorni”; “i disservizi associati al mancato rientro dell’utenza presso l’operatore donating (cioè il vecchio operatore; quello che deve lasciare la linea, Ndr.), in caso di difficoltà tecniche al trasferimento ovvero di mutata volontà dell’utente ed esercizio del diritto di ripensamento entro i 10 giorni; “il trasferimento non richiesto delle utenze”: già, nonostante tutte le procedure di sicurezza attivate da Agcom (codice di migrazione e pin in bolletta), continuano a esserci casi di utenti “migrati a forza” ad altri operatori.
Al solito sono vittima di telemarketing aggressivo. Quarto: “la ricezione di fatture dall’operatore donating successivamente al trasferimento dei servizi ad altro operatore”, cioè il fenomeno della doppia bolletta. Quinto: “le lamentele afferenti all’applicazione di costi di disattivazione o costi di recesso per il completamento del processo di migrazione”. Qui il problema è che questi costi tendono a essere poco noti agli utenti (anche per difetto di trasparenza da parte di alcuni operatori). Bisogna sapere comunque che sono più bassi per chi cambia operatore e più alta per chi stacca del tutto la linea fissa e partono da 35 euro (una tantum).
Agcom dice di aver spinto gli operatori a coordinarsi meglio per evitare questi disservizi.“E’ stata altresì rilevata l’opportunità che gli operatori si dotino di più efficaci presidi, anche sotto il profilo organizzativo e informatico, per superare alcune inefficienze tecniche da cui derivano molte delle anomalie riscontrate (es. disallineamento delle banche dati, rilegamenti manuali di centrale identificabili con difficoltà, KO per problemi tecnici, ecc.)”.E’ di pochi mesi fa un caso eclatante, maturato a giugno con una delibera Agcom di diffida a Telecom Italia: un’anomalia sui suoi sistemi ha causato forti ritardi nelle pratiche di attivazioni di circa 30 mila utenti. Adesso pare che il problema sia rientrato, ma la dice lunga sulla complessità di certi sistemi alla base di attivazione e cambi linea.
Rete mobileIl principale problema su rete mobile anche quest’anno è l’attivazione di servizi non richiesti. Non solo, si registra “un ulteriore incremento di oltre tre punti percentuali rispetto al precedente periodo di riferimento (dal 33,6 al 37%). Si tratta in prevalenza di servizi premium informativi o di intrattenimento (news, giochi, previsioni meteo o traffico, loghi, suonerie, etc) attivati in maniera non consapevole dai clienti. Risultano inoltre più che raddoppiate le segnalazioni per indebite disattivazioni del servizio, passate dal 7,0 al 14,3%”, scrive l’Autorità. Il tutto per via della diffusione degli smartphone tra gli italiani, di internet mobile e delle app, nuove frontiere in cui queste minacce possono scorrazzare. La conferma è nel fatto che qualche giorno fa l’Antitrust ha avviato un’indagine sui quattro operatori mobili, per accertarne la responsabilità. Com’è noto, è grazie a un accordo con gli operatori che i fornitori di quei servizi riescono ad addebitarci in bolletta il canone dell’abbonamento (eventualmente carpito con l’inganno).Come si si legge nel bollettino dell’Authority, gli operatori avrebbero omesso “informazioni rilevanti circa l’oggetto del contratto di telefonia mobile e, in particolare, l’abilitazione dell’utente alla ricezione di servizi a pagamento durante la navigazione in mobilità, le caratteristiche essenziali, le modalità di fornitura e di pagamento dei servizi” e “la necessità, da parte del consumatore, di doversi attivare mediante una richiesta esplicita di adesione alla procedura di blocco”.Insomma, l’Antitrust sta indagando su due punti: gli operatori non hanno avvisato gli utenti che era possibile finire abbonati, automaticamente, a questi servizi con addebito diretto in conto. Né hanno detto loro che per evitare queste attivazioni avrebbero dovuto richiederne il blocco preventivo. Per altro su questa possibilità ci sono parecchi dubbi: se si bloccano questi servizi, infatti, non si possono più ricevere nemmeno quelli desiderati (come gli sms di avviso che arrivano dalla banca per uso di bancomat o carta di credito). Certo, si potrebbe dire: ma non si può impedire ai servizi di attivare gli utenti con l’inganno? Il punto è che ne sorgono tanti, di tante diverse aziende, ed è impossibile per le autorità fare una vigilanza preventiva. Questa potrebbe essere compito invece degli operatori: cioè verificare che i servizi di un fornitore siano leciti e in caso contrario non concedere (o revocare) l’accordo. In effetti, gli operatori potrebbero avere questa responsabilità, a quanto si legge in precedenti decisioni dell’Antitrust, che li ha multati tutti (in diverse occasioni) a causa dei servizi premium (i quali però in passato non agivano su internet come queste ultime minacce).Ma anche per gli operatori è complicato vigilare costantemente. Anche perché un’azienda che ha servizi leciti al momento dell’accordo poi ne può sfornare nuovi con modalità di abbonamento ingannevoli. Allora forse la sfida delle autorità sarà trovare una soluzione che impedisca, alla base, ai servizi truffaldini di agire.Vedremo nei prossimi mesi se Agcom e Antitrust riusciranno a trovare la quadra per gli annosi problemi della rete fissa e mobile. Certo, in generale, la soluzione passa da una più proficua collaborazione con gli operatori.