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Ecco quanto costeranno all’Italia le balle sulla vivisezione

scienze

C’era una volta la vivisezione. Era l’800 e l’attenzione per gli animali e le loro condizioni durante gli esperimenti lasciava decisamente a desiderare. Certo, quegli esperimenti sono stati essenziali per gran parte delle scoperte in medicina, dalla biologia, all’anatomia, alla chirurgia, ma col tempo sono aumentati i movimenti di sensibilizzazione per rendere le sperimentazioni “più umane”. Da queste esigenze derivano le regolamentazioni che si sono succedute negli ultimi decenni e in particolare la Direttiva Europea 2010/63/UE. Quest’ultima, infatti, rappresenta un compromesso tra l’esigenza della sperimentazione animale, ancora essenziale per la ricerca biomedica, e la necessità di una sempre maggior attenzione per gli animali da laboratorio. Questo grande sforzo è il risultato del lungo confronto tra comunità scientifica e associazioni animaliste moderate per trovare un accordo condiviso.

[Su questo argomento: Serve un vaccino per combattere le balle della pseudoscienza]

La Direttiva ha innanzitutto il compito di unificare tutte le normative vigenti a livello nazionale degli Stati Membri (con particolare riferimento a paesi appena entrati nell’Unione Europea, che avevano leggi molto meno restrittive) e obbliga, ad esempio, chi vuole compiere gli esperimenti sugli animali a pubblicare delle relazioni non tecniche nelle quali descrivere quale sarà lo scopo dell’esperimento: questo per ridurre la possibilità che vengano fatti partire progetti troppo simili. Per lo stesso motivo diventa più restrittiva la modalità di approvazione delle ricerche che devono passare dall’ente autorizzativo (nel caso italiano è il Ministero della Salute): quest’ultimo compie un’analisi retrospettiva per valutare quali risultati la ricerca o il gruppo di ricerca hanno raggiunto fino a quel momento e solo in caso di esito positivo si considera la ricerca adatta a un seguito.

Tutte le ricerche con animali, inoltre, non possono venir semplicemente comunicate, ma devono, indipendentemente dalla possibilità di provocare dolore o meno nell’animale, ricevere un’autorizzazione per delega, ossia tramite decreto legislativo.

In generale, poi, la direttiva fa esplicito riferimento all’obbligo di usare, laddove possibile, ogni “altro metodo scientificamente valido, ragionevolmente e praticamente applicabile , che non implichi l’impiego di animali”, secondo il principio delle 3R. Questa sigla sta per replace, reduce e refine: ovvero rimpiazzare gli animali con metodi alternativi quando disponibili, ridurre il numero degli animali utilizzati e raffinare gli esperimenti in modo da ridurre al minimo le sofferenze degli animali. Con la nuova Direttiva l’attenzione alle condizioni degli animali viene ampliata, oltre che ai vertebrati, anche a organismi come i cefalopodi (polpi, calamari ecc.).

L’uso dell’anestesia in gran parte degli esperimenti è obbligatorio da tempo e la Direttiva non fa che ribadirne l’importanza, in quanto punto cardine di ogni ricerca, di pari passo con le 3R. Sostituire un animale con metodi “alternativi” sempre più potenti ed efficaci significa, infatti, abbattere i costi di ricerca e rendere sempre più eticamente accettabile la sperimentazione animale.

A partire dal 22 Settembre 2010, giorno di emanazione della Direttiva dal Parlamento Europeo, tutti gli Stati membri si sono impegnati a recepirla secondo i tempi previsti. Tutti, tranne l’Italia. E il tempo è ormai scaduto. Dunque, se la Commissione Europea prenderà provvedimenti, all’Italia toccherà pagare 150mila euro al giorno di sanzioni (avete letto bene, al giorno!) per il ritardo nel recepimento.

Ma perché questo ritardo?

Perché, oltre a i consueti ritardi della burocrazia italiana, vi sono state forti opposizioni da parte di associazioni animaliste italiane. L’estate scorsa, in particolare, nonostante il già lacunoso ritardo, sono stati presentati alcuni emendamenti restrittivi di modifica della Direttiva stessa. Questi emendamenti però non sono, come si potrebbe pensare, migliorativi per le condizioni animali e non tengono conto degli sforzi già fatti in passato per raggiungere un accordo sereno tra le parti, che è la Direttiva stessa. Sono, al contrario, controproducenti e rischiano di mettere a repentaglio buona parte della ricerca biomedica.

Quali erano le criticità di questi emendamenti?

Innanzitutto una serie di divieti come quello di effettuare ricerche sulle sostanze d’abuso, il divieto dell’uso di animali per gli xenotrapianti e le esercitazioni pratiche in molte facoltà universitarie. Questo provocherebbe l’uscita dell’Italia da gran parte dei progetti europei e una perdita di competitività dei nostri studenti e ricercatori che non avrebbero alcun modo di fare pratica durante il proprio corso di studi.

Ma questi emendamenti, oltre a costituire un grave danno per la ricerca biomedica, non servirebbero nemmeno a migliorare le condizioni degli animali: la necessità di effettuare l’anestesia anche per semplici prelievi, ad esempio, costituirebbe un’inutile restrizione, per non parlare del divieto di allevamento di cani, gatti e primati non umani sul suolo italiano. Quest’ultimo divieto, infatti, costringerebbe l’Italia a importare gli animali dall’estero; animali che sarebbero probabilmente meno controllati e dovrebbero sopportare viaggi più lunghi e stressanti.

Per questi motivi gli emendamenti sono stati pesantemente criticati dalla comunità scientifica italiana e alcune associazioni, tra le quali Pro-Test Italia, sono state in prima linea per ribadire la propria contrarietà alle proposte e chiedere il recepimento immediato della Direttiva. Nonostante questo, gli emendamenti sono stati votati sia al Senato che alla Camera, stravolgendo una Direttiva che andava recepita così com’era.

L’Italia, quindi, è rimasta per l’ennesima volta indietro e rischia di dover pagare tantissimi soldi inutilmente: soldi che avremmo potuto utilizzare per finanziare meglio la ricerca, da destinare magari proprio ai famosi “metodi alternativi”, ancora oggi non disponibili.

Tutto questo, come detto, non è una novità (lo si sapeva da tempo), né è stato un semplice ritardo. Hanno una colpa specifica quei gruppi animalisti che si sono opposti alla Direttiva dal primo giorno in maniera sistematica e continua, nella speranza di smantellarla del tutto o riformularla a proprio piacimento. Proprio loro che avrebbero dovuto invece sostenerla, come han fatto le associazioni animaliste a suo tempo e come farebbe qualsiasi persona interessata al benessere animale. Perché ricordiamolo: la Direttiva è pensata apposta per venire incontro alla causa animalista e alle necessità della ricerca e ritardarla significa anche ritardare i miglioramenti che essa vorrebbe portare.

Ma non è finita qui.

La politica e animalista Michela Vittoria Brambilla è andata recentemente in televisione e ha accusato la “lobby dei vivisettori” di essere i colpevoli di questa situazione, di essere il motivo per cui l’Italia rischia di pagare un conto salato all’Europa. Non importa se in realtà quelli che lei chiama “vivisettori” sono proprio coloro che avevano cercato e ottenuto con fatica un dialogo costruttivo anche con gli oppositori alla sperimentazione. Non importa se i ricercatori sono stati i primi a mostrare un’insofferenza verso i ritardi nel recepimento. Questa accusa è particolarmente ridicola anche perché è la stessa Brambilla ad aver più volte dichiarato di opporsi ferocemente al recepimento della Direttiva e solo qualche mese fa, in pieno ritardo, sono state votate ulteriori modifiche proposte anche da lei. Proposte che, semplicemente, non andavano fatte.

In sostanza il tempo è scaduto e rischiamo di pagare tanti soldi inutilmente, non per colpa dei ricercatori, ma per colpa di chi per mesi si è opposto in maniera pregiudiziale a una Direttiva che andava solamente recepita, come han fatto tutti gli altri Stati membri. Colpa di chi ha proposto emendamenti dannosi anche se era tardi e ha convinto i politici che quella fosse la cosa giusta da fare. Forse siamo ancora in tempo per salvare il salvabile, ma lo possiamo fare solo se gridiamo con forza che quella Direttiva non è una legge “dei vivisettori”, ma è una regolamentazione condivisa da ricercatori e animalisti. E ogni vero animalista dovrebbe augurarsi di vedere questa Direttiva recepita.

Federico Baglioni

@FedeBaglioni88

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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