«Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma». La filosofia dell’economia circolare sembra ritagliata sul postulato di Lavoisier che fonda la legge della conservazione della massa. Dalla meccanica ai consumi, purtroppo la società occidentale ora produce molto più di ciò di cui ha essenzialmente bisogno, aumentando il volume della materia terrestre tenuta dalla forza di gravità. Ma è pur vero che scarti, avanzi e resti organici o inorganici si tramutano prima o poi in qualcos’altro, derivando a loro volta da altra materia che ha prodotto valore, a cui prima o poi ritorneranno biodegradandosi. Il pianeta non regge la velocità con cui il suo ospite umano mette in circolo ex novo massa che prima non c’era e il lento ciclo di rinnovamento della natura, ormai soggiogata, adesso dev’essere aiutato dal nostro ciclo.
Tecnologico. Volto alla riproduzione, a partire dai vecchi, di nuovi materiali che rigenerino valore. Termini come riproduzione e rigenerazione si applicano non a caso sia in campo industriale che biologico, per descrivere lo stesso concetto base: la circolarità di uso e consumo, perché la vita continui.
Economia circolare: le città italiane in vetta
Secondo uno studio della Bocconi di Milano le 4 città italiane campioni di sostenibilità, più attente al rispetto dell’economia circolare anche nel post Covid, sono nell’ordine: Torino per la tecnologia al servizio dei residenti, Mantova per l’ambiente, Trento nel sostegno ai redditi, Bolzano contro le emissioni Co2.
Il “riciclo” è necessario a questo punto anche in ambito occupazionale, accelerando la riconversione delle competenze e la creazione di moderne, fin dalle scuole secondarie, specifiche per economia circolare e fonti alternative. Le due colonne di un Green new deal di cui non si scorge l’alba. Per questo Conai e Università della Basilicata stanno offrendo ai laureati della regione, dove hanno sede gran parte degli affari dell’Eni, un iter didattico gratuito orientato all’ingresso nel mercato del lavoro della green economy: il recupero dei rifiuti, specie di imballaggio, è infatti tra i comparti più in crescita e, secondo Ambiente Italia, già nel 2018 aveva creato quasi 600mila posti nel nostro Paese.
Il consorzio Corepla registra, durante e dopo il lockdown, un +27% nella quota di plastica destinata a riciclo in impianti esteri, corrispondente a circa 3mila tonnellate.
Nel 2019 sono state oltre 1 milione 300mila le tonnellate di differenziata raccolte: un record procapite medio annuo di quasi 23 kg che tocca l’80% dell’immesso al consumo. L’ultimo report del Conai stima in 412 milioni di euro annui il valore della materia recuperata dal riciclo: un grande insieme, di cui i rifiuti urbani rappresentano il nucleo più rilevante. Ma a valle la domanda di materia riciclata è ancora debole e va incentivata. Non basta che crescano stoccaggio e smaltimento della differenziata: bisogna che cresca anche il suo reimpiego, che la montagna di immondizia accumulata nel blocco frutti e crei energia o nuove materie. Inclusa la plastica, purché si smetta di fabbricarne altra.
Proprio come Polystyvert, che concilia tutela del territorio e utili riciclando un polistirolo di qualità che riutilizza e sostituisce sia quello espanso, che ha alti costi di trasporto, che quello rigido, spesso contaminato da etichette e scorie alimentari. Bene che vada oggi i loro residui vengono separati in enormi discariche e bruciati per sviluppare energia termica. Ma nonostante l’efficienza degli inceneritori di moderna generazione e sebbene l’acquisto di materia prima vergine costi più del processo di riciclaggio, la produzione di milioni di tonnellate di nuovo polistirolo ogni anno – tramite estrazione di petrolio – non si ferma. Perché è un ottimo isolante termico e acustico, leggero, resistenza all’acqua, capace di assorbire urti e proteggere dall’umidità, ideale per i refrigeratori, nel trasporto di prodotti farmaceutici o ittici a temperature controllate.
Nel periodo di chiusura, aumento dell’e-commerce e della domanda sono andati a braccetto per la funzione di contenitore universale ricoperta dalla plastica monouso, gel disinfettanti e confezioni di mascherine incluse. Mentre la macchina del riciclo, come ogni attività, ha subito un forte rallentamento e la plastic tax ha sollevato veementi reazioni politiche. Il discorso è sempre lo stesso: per sviluppare un business redditizio nel tempo occorre investire preventivamente in sistemi tecnologicamente avanzati. Nello specifico, in un reattore di polimerizzazione che generi polistirene da quello scartato e purificato dalla contaminazione con altri rifiuti, che ne impedisce il riciclo.
L’impresa canadese è solo un esempio nella top 100 dei “Technology Pioneers 2020” del World economic forum. Allo stesso modo sono recuperati paraurti delle auto, schermi di computer, interni di frigoriferi. Perché oltre alle plastiche vengono riconvertiti acciaio, alluminio, carta, legno, vetro. Sono startup molte delle aziende riconosciute dal Wef come le tra le più progredite al mondo nell’applicazione delle nuove scienze, unendo risparmio, ricavi e rispetto delle risorse naturali, al servizio dell’uomo e dell’ambiente insieme. Tra loro l’israeliana Aleph Farms del settore alimentare, “stampa” carne moltiplicando cellule bovine con un dispositivo 3D per tessuti. Creata nel 2017 dall’incubatore “The Kitchen” di Strass Group, sta provando a farsi largo – a suon di milioni di dollari di finanziamenti privati – nel difficile comparto del food, come trattato a parte su Think.
Nella lista internazionale di italiano c’è poco. Senza adeguate politiche fiscali statali non si possono orientare interi impianti e professioni a un’industria intelligente che realizzi, senza inquinare, prodotti/servizi durevoli, riparabili, aggiornabili. Il nuovo decreto firmato a giugno dal governo vuole, appunto, finanziare progetti della durata da uno a tre anni volti alla transizione verso un modello di economia circolare. Il credito d’imposta fissato dal Piano Transizione 4.0 varia in base alla cifra dell’investimento – in media da 500mila a un massimo di 3 milioni di euro – e alle tre macro aeree, individuate dal ministero dello Sviluppo, a cui è diretto: beni strumentali; ricerca, sviluppo, innovazione e design; formazione digitale 4.0. All’adozione di beni materiali avanzati, ad esempio, finalizzati a un programma di re manufacturing, è riconosciuto il 40% per spese fino a 2,5 milioni. Che bastino i 210 milioni messi sul piatto a rivoluzionare il sistema, è tutto da vedere. Nell’economia circolare, comunque, non si butta via niente.