Educ-ação: un progetto per liberare il futuro, a partire dalle scuole

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“This is your life. Do what you love and do it often”. Così esordisce l’Holstee Manifesto, un progetto online – presto trasformatosi in iniziativa imprenditoriale – che vuole ispirare tutti coloro che non sono soddisfatti a pieno della propria vita professionale a non interrompere la ricerca di un lavoro appagante, che più si avvicini alle proprie passioni, al fine di trasformarle (idealmente) in un mestiere. Nella stessa direzione si muovono moltissime attività che continuano a spuntare come funghi: da The School of Life, fondata dal filosofo Alain De Botton, che dal 2008 impartisce ai londinesi vere e proprie lezioni di vita relative a temi di natura esistenziale, quali “Come acquisire sicurezza in se stessi” o “Come trovare un lavoro che ci soddisfi”; ad Escape The City, un altro manifesto, ed allo stesso tempo anche libro e community, che si propone come una guida dedicata a quei colletti bianchi che vogliono cambiare radicalmente stile di vita per iniziare a fare “something different”.

La grande popolarità di questo tipo di iniziative la dice lunga sul cambiamento di paradigmi in corso che attraversa il mondo del lavoro, non solo nelle sue dinamiche di organizzazione e gestione, ma soprattutto nel ruolo che il lavoro stesso assume nelle nostre vite e nel senso che gli attribuiamo. Il vero benefit di cui tutti vanno alla ricerca sembra essersi lentamente, ma inesorabilmente tramutato nel lavorare per se stessi, oppure per una società di cui si condividano valori e visione, potendo contribuire a progetti collettivi con spirito cooperativo, indipendenza di pensiero, approccio creativo e spirito imprenditoriale. La formula, fino a qualche anno fa considerata magica, “università = posto fisso = carriera” è irrimediabilmente saltata, e questo ci sta spingendo a sperimentare nuovi approcci che vedano vita, lavoro, passioni e lifelong learning costantemente interconnessi in maniera fluida e sfaccettata.

In questo contesto il ruolo dell’innovazione non è solo quello di trovare i colori più adatti a dipingere questi nuovi scenari, ma è soprattutto quello di porsi le domande giuste, per capire dove hanno fallito i modelli che ci hanno accompagnato finora, decostruendoli, sradicandone gli elementi più obsoleti e che mal si adattano ai cambiamenti repentini scaturiti dall’avvento delle nuove tecnologie, e mettendo, infine, in discussione lo status quo delle cose.

Una di queste domande giuste (e scomode) se l’è posta il marketing guru Seth Godin nella sua ultima pubblicazione Stop stealing dreams – la cui versione italiana Non rubate i sogni è disponibile grazie al lavoro di Giulia Depentor, Alessio Madeyski e Margherita Gaffarelli. “A che cosa serve la scuola?”, si chiede l’autore in un’analisi strutturata in trenta punti che parte dalla premessa che “L’economia è cambiata, probabilmente per sempre.

La scuola no”, e che il modello fondato su rispetto, obbedienza, programmi, libri di scuola e tanto nozionismo non è più adeguato a formare i cittadini, professionisti e leader del futuro. Godin aggiunge, poi, che “i sogni sono tanto difficili da costruire quanto facili da distruggere” e che non possiamo rischiare di lasciare le nuove generazioni in balia di un modello scolastico che non sarà in grado di essere all’altezza dei loro sogni.

Stop stealing dreams, per ora, è solo un manifesto, ma c’è un gruppi di quattro brasiliani, André Gravatá, Camila Piza, Carla Mayumi e Eduardo Shimahara, che si è spinto un po’ più in là, e ha deciso di andare alla ricerca delle migliori pratiche a livello mondiale legate a modelli sperimentali ed alternativi di educazione. Il loro progetto si chiama Educação (Educ-azione) e li ha portati a girare per 13 scuole tra India, Svezia, Indonesia, Spagna, Regno Unito e Brasile, per andare a toccare con mano come vengono gestite queste strutture e a quali ideali e valori si ispirano. L’iniziativa è stata finanziata con una campagna di crowdfunding realizzata sulla piattaforma Catarse, e i risultati della loro mappatura ed analisi, che verranno rilasciati con licenza Creative Commons, saranno presentati per la seconda metà del 2013 e si potranno consultare gratuitamente.

Fra le tappe percorse da Educação troviamo la Quest to Learn di New York, una scuola pensata appositamente per i nativi digitali e il cui approccio ruota tutto attorno all’uso delle nuove tecnologie, al gioco, all’interazione e al sistema Trial and Error; la Green School di Bali, un esempio di eccellenza per quanto riguarda la sostenibilità ambientale, dove ai bambini viene insegnato a rispettare e a prendersi cura dell’ambiente e a sviluppare un pensiero critico e problem solving creativo sin dalla tenera età; e l’europea Team Academy dove il metodo di apprendimento si basa esclusivamente sul learning by doing e sul team learning.

Per saperne un po’ di più, abbiamo chiesto a Carla Mayumi di raccontarci come è nato Educação e qual è la sua idea di scuola del futuro.

«L’ispirazione per portare avanti questo progetto l’abbiamo trovata quando – tramite le nostre primissime ricerche – abbiamo individuato delle scuole che stavano rompendo paradigmi preesistenti e che non si basavano su modelli esclusivamente teorici. Abbiamo pensato di far conoscere queste storie a più persone possibili, e il modo migliore per farlo era visitare di persona le realtà portate avanti da queste best practice d’innovazione, per racchiudere poi tutta la nostra ricerca in un libro.

«Durante questo processo, ho imparato tre cose fondamentali:

  1. Per modificare lo status quo è sempre necessario il coinvolgimento di un leader che riesca a vedere al di là dei modelli che sono già rodati e stratificati in una società.
  2. Una struttura scolastica che vuole differenziarsi ed offrire un’offerta al passo coi tempi non deve mai smettere di evolvere. E affinché rimanga innovativa, pur se ci sono dei valori e una visione alla base, essi devono essere sempre messi in discussione ed adattati nel tempo. E tutto questo processo è una parte fondamentale del percorso stesso di apprendimento.
  3. Un bambino non ha sempre bisogno che un adulto gli dica cosa è giusto e cosa è sbagliato perché ha già di suo un potenziale creativo, d’immaginazione e di attenzione elevatissimo, da cui gli adulti hanno da imparare molto.

«M’immagino una scuola del futuro che sia in grado di connettere e contenere quanti più aspetti possibili della vita dei bambini. Una scuola che sia stimolante e che abbia regole flessibili, che permetta agli alunni di andare e venire, e venga percepita un po’ meno come una ‘prigione’ e un po’ più come un framework da usare e poter adattare facilmente a seconda delle necessità. Una scuola in cui la conoscenza non venga trasmessa solo dagli insegnanti, ma che integri delle forme di peer education e la coesistenza di modelli d’apprendimento diversi, a seconda della varie tipologie d’intelligenza che ci differenziano gli uni dagli altri».

Insomma, Educação, a differenza di progetti quali Coursera e Khan Academy che offrono una soluzione molto efficace per favorire la democratizzazione dell’accesso all’istruzione, si propone di ripensare il senso stesso che diamo alla scuola, quella fatta di aule, banchi e contatti quotidiani con persone in carne ed ossa. Quella scuola fatta di sogni, che rischiano di rimanere soffocati da un sistema che non si è ancora messo in discussione per offrire risposte adeguate alle generazioni future.

Londra/Torino, 3 agosto 2013

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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