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FabLab a scuola per il “contagio digitale”. Il futuro sarà migliore

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Si è parlato di futuro digitale del Paese e di botteghe artigianali 2.0 all’Università degli Studi di Salerno in occasione del 50° Congresso Nazionale dell’Aica. Se n’è parlato con professori, giornalisti, informatici, finanziatori ma soprattutto con loro, i protagonisti della rivoluzione digitale, coloro che in queste botteghe ci lavorano sperimentando e fabbricandosi un futuro diverso, nuovo. Migliore.

«C’è tanta voglia di fare cose.» ha esordito Riccardo Luna, raccontando la sua esperienza – da lui definita straordinaria – nella ricerca e selezione di contenuti e di makers per la Maker Faire Rome, il più grande evento d’innovazione spontanea d’Europa, organizzato nella capitale. «È un’esplosione di creatività quella in cui m’imbatto ogni giorno. – ha detto Riccardo Luna – Sono storie di persone che questo paese lo vogliono cambiare davvero.

Sono storie che mi fanno credere che non è vero che il futuro sarà peggiore. Semmai è vero il contrario».

L’Informatica è lo strumento liberatore del lavoro delle persone e le Università e i Centri di ricerca devono avere un ruolo fondamentale nel collegare il FabLab con la comunità di imprenditori e innovatori. Inoltre, si avverte l’urgenza, ancor prima che l’esigenza, di ripartire dalle scuole. Questi i temi più sentiti durante l’interessante tavola rotonda voluta dal prof. Andrea Abate dell’Università degli Studi di Salerno e coordinata da Juan Carlos De Martin, docente del Politecnico di Torino, codirettore del NEXA Center for Internet e faculty fellow presso la Harvard University (Fab Lab).

«Il FabLab deve diventare strumento per accrescere le competenze digitali delle persone» – ha detto il prof.

Stefano Micelli docente dell’Università Ca’Foscari e autore del testo ”Futuro Artigiano”, sottolineando che queste conoscenze in Italia, tuttora, purtroppo scarseggiano e, in effetti, i dati parlano chiaro: l’Europa è in ritardo rispetto a paesi come Stati Uniti e Giappone per quanto riguarda la competenze digitali ma in Italia la situazione è peggiore, infatti il rapporto Istat “cittadini e nuove tecnologie” del 2011 rivela che il 41,7% delle famiglie italiane non possiede l’accesso ad internet perché non ha le competenze per utilizzarlo e che solo il 26,3% degli utenti internet ha acquistato prodotti e servizi online. Chi ha internet, poi, nella maggioranza dei casi, non si avvale di una connessione a banda larga.

L’analfabetizzazione tecnologica colpisce soprattutto la vecchia generazione che è tagliata fuori dalle opportunità che la rete offre, non solo in ambito professionale, ma anche nella gestione ordinaria della vita.

Fornire competenze digitali alla popolazione è un’impresa certamente non semplice, ma indubbiamente fondamentale per il futuro del paese e, perché riesca, non si può che partire dalla scuola potenziando ed indirizzando l’abilità naturale che i giovani hanno nei confronti delle nuove tecnologie e preparali al meglio per il loro futuro e per le opportunità professionali. Perché, nonostante la capacità indiscussa dei giovani all’uso delle nuove tecnologie, a scuola si utilizza ancora il 90% di contenuti cartacei e, spesso, le care vecchie lavagne col gesso hanno la meglio sulla LIM.

Se la scuola dev’essere il mezzo per un’incisiva azione di “contagio digitale” che coinvolga tutti, bisogna apportare una ventata di cambiamento inserendo negli istituti i FabLab e riempiendo le scuole di fare e di entusiasmo nel fare. Portare i laboratori di fabbricazione digitale nelle scuole non significa solo installare stampanti 3d e portare buone pratiche, come quella dell’open source – per dirla con le parole di Davide Gomba – ma vuol dire soprattutto donare la scuola italiana della cultura dei FabLab, educare i giovani e gli insegnanti alla passione del fai-da-te tecnologico come base dell’innovazione e del cambiamento di nostro paese.

Questi lab 2.0, meglio delle università, riescono ad intercettare strati diversi della popolazione e la tecnologia, in questo senso, è senza dubbio un grande fattore abilitante perché permette di mettere in rete la conoscenza e le competenze accelerando i processi di comprensione e formazione, affinché da un lato i giovani possano accedere alle nuove istanze del mercato del lavoro e, dall’altro lato, i professionisti possano dotarsi di strumenti aggiornati e più idonei alle mutate esigenze professionali.

Davide Gomba CEO presso Officine Arduino, ha sottolineato l’importanza di trovare una modalità coerente e “open” nell’inserimento delle stampanti 3d nelle scuole, facendolo non tramite le tradizionali gare di appalti, bensì attraverso proposte di sfide, lanci di contest dove i protagonisti sarebbero gli alunni stessi: «In tal modo si apporterebbe un carico di conoscenze e ricerche che potrebbe migliorare e aggiornare la scuola italiana», ha detto.

Amleto Picerno Ceraso, del Mediterranean FabLab, dopo aver raccontato la storia del laboratorio 2.0 di Cava de’ Tirreni, ha tenuto a sottolineare il fatto che i FabLab non devono essere solo il centro nevralgico del cambiamento. Non basta: «Bisogna creare un vero e proprio ecosistema dell’innovazione che sostenga le aziende che vogliono innovare», ha affermato l’architetto lanciando da esempio il sistema di credito alternativo come il Sardex, la moneta sarda a chilometri zero o il Napo, il soldo virtuale voluto da De Magistris per combattere la crisi.

Insomma, si fa largo oggi un’idea d’innovazione “altra”, differente, che ha bisogno di 3 componenti fondamentali, tecnica, educazione e comunità, e in cui le vere protagoniste non sono le tecnologie ma le persone che le mettono in moto, le loro passioni, le loro storie e quelle motivazioni che innescano in loro il coraggio di cambiare tutto.

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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