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Fertility Day e comunicazione: cosa non ha funzionato

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Di campagne flop se ne contano tante nella storia della pubblicità e del marketing. Nulla di nuovo nel variegato mondo della comunicazione, soprattutto quello commerciale. Tutte le imprese mettono nel conto la possibilità che un investimento promozionale fallisca. Ad alcune di esse poi capita di incappare in campagne che non solo non riescono a sortire gli effetti sperati, ma che addirittura si ritorcono contro danneggiando l’immagine stessa dell’azienda.

FERTILITY DAY, EFFETTO BOOMERANG

È il cosiddetto effetto boomerang. Accade anche a coloro che non vendono prodotti e servizi. Solo che quando a fare flop sono le campagne di enti pubblici la cosa assume una rilevanza ancora maggiore. In gioco, infatti, non c’è il successo di una linea di prodotti, né tantomeno il marchio di un’impresa, ma i valori stessi della democrazia e la credibilità delle istituzioni.

È questo il caso della recente campagna sulla fertilità promossa dal Ministero della Salute, che avrebbe raggiunto il suo momento clou con il Fertility Day previsto per il 22 settembre. L’obiettivo, si legge nel sito del Ministero, è quello di “richiamare l’attenzione di tutta l’opinione pubblica sul tema della fertilità e della sua protezione. La sua istituzione è prevista dal Piano Nazionale della Fertilità per mettere a fuoco con grande enfasi: il pericolo della denatalità nel nostro Paese; la bellezza della maternità e paternità; il rischio delle malattie che impediscono di diventare genitori; l’aiuto della medicina per le donne e per gli uomini che non riescono ad avere bambini”.

La fertilità, ovvero la capacità di generare altre vite umane, è uno di quegli argomenti che attengono alla sfera intima e privata delle persone e pertanto estremamente delicati

La campagna però ha suscitato un vespaio di polemiche sui social e sul web, passando poi sui grandi media della televisione e della carta stampata, che ha costretto il ministro Beatrice Lorenzin a fare un passo indietro e ad impegnarsi a rimodulare il messaggio.

Sicuro che si tratti solo di una questione che riguarda la tecnica della comunicazione, cioè la scelta delle immagini e dei claim giusti, come sostiene la Lorenzin? Perché la campagna ha scatenato l’indignazione di decine di migliaia di cittadini? Cosa non ha funzionato? Va premesso che la fertilità, ovvero la capacità di generare altre vite umane, è uno di quegli argomenti che attengono alla sfera intima e privata delle persone e pertanto estremamente delicati.

TEMI SENSIBILI

Di fronte a temi simili che investono l’etica e la coscienza personali può uno Stato dire ai cittadini cosa devono o non devono fare? Neanche sull’eutanasia, che di recente ha animato il dibattito pubblico nel nostro Paese, le istituzioni hanno pensato di realizzare campagne di informazione per sensibilizzare i cittadini su come comportarsi in questa circostanza.

La storia della comunicazione istituzionale in Italia dall’avvento della democrazia ad oggi, nonostante la forza delle ideologie imperanti nei decenni passati, si è mantenuta distante da questo tipo di approccio. Le ultime campagne istituzionali su temi etici risalgono ai tempi del fascismo. Non a caso molti hanno paragonato il Fertility Day con la “Giornata della madre e del fanciullo” istituita dal regime.

IL PIANO SOCIALE

Il Ministero della Salute avrebbe, quindi, fatto bene a valutare con molta attenzione l’opportunità di trattare un tema così sensibile come quello della fertilità e della natalità. Fatta la scelta di affrontare il fenomeno del calo demografico con una campagna di informazione sarebbe stato indispensabile analizzare tutti gli aspetti del fenomeno, a cominciare da quelli economico e sociale. In un Paese in cui il tasso di disoccupazione giovanile è inchiodato, ormai da anni, ad un tasso attorno al 40% non si può pensare che il problema della scarsa natalità sia da imputare alla sindrome di Peter Pan o ad una sorta di emancipazione dalla funzione genitoriale che hanno colpito le nuove generazioni. Quest’ultime motivazioni appaiono francamente irrilevanti rispetto alle altre. Se si fanno pochi figli e se le donne decidono di avere un bambino in età avanzata è probabilmente perché sia esse che i loro compagni non riescono a trovare un’occupazione e quando la trovano si tratta di un lavoro precario che non garantisce nessuna stabilità.

SERVIZI PER LA FAMIGLIA

Per non parlare della carenza di infrastrutture e servizi a sostegno della famiglia ed in particolare della genitorialità, come la mancanza di asili nido, della scuola a tempo pieno in molte zone del Paese, di strutture sportive pubbliche ecc. Ci sono poi donne e coppie che non riescono ad avere figli, costrette ad andare all’estero perché in Italia si scontrano con una legislazione che vieta la fecondazione eterologa e con un sistema sanitario pubblico del tutto inadeguato. Sono queste considerazioni che spesso riempiono il dibattito politico nazionale e che sono state del tutto ignorate durante la fase di studio che hanno preceduto l’ideazione e la progettazione della campagna di informazione.

La campagna ha avuto il merito di far emergere l’opinione dei cittadini sul tema della fertilità e della natalità

Tali osservazioni avrebbero dovuto fare cambiare idea al Ministero o quantomeno evitare la formulazione di messaggi controversi che prestassero il fianco a critiche e polemiche, come è puntualmente accaduto. Cosa fare di fronte a quello che in gergo può definirsi un epic fail? In questi casi gettare la spugna, perseverare o trovare delle soluzioni a metà non fa altro che peggiorare le cose. Se è vero che la campagna si è rilevata un fallimento è anche vero che essa ha offerto degli spunti positivi su cui poter fare leva per ribaltare la situazione. La campagna, infatti, ha avuto il merito di far emergere l’opinione dei cittadini sul tema della fertilità e della natalità. L’interazione con il web e in particolare con i social network ha dato la possibilità ai cittadini di esprimere il loro punto di vista. Bisogna sfruttare questa opportunità. Ecco, quindi, che le critiche e le polemiche possono trasformarsi in un feedback prezioso per ascoltare i cittadini.

È questo l’unico punto di partenza possibile per rimodulare la campagna di informazione.

MATTEO SCIRE’

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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