Parlare in modo autentico a una generazione senza voce. Si potrebbe riassumere così la mission iniziale di Freeda Media, la startup nata nel 2017 per rivolgersi alle donne con contenuti specifici, ma ancora assenti – allora – dal contesto nazionale dei media tradizionali. Dalla mission, la conversione al valore è stata repentina: a tre anni di distanza dal kick-off, oggi Freeda vanta contenuti con una reach trasversale, arrivando a una community di circa 7 milioni di persone nel mondo: una platea, composta per il 90% da Millennial. Il valore internazionale che la startup ha raggiunto si riflette anche su un team, suddiviso fra Italia, Spagna e Regno Unito. Quali sono le ragioni del successo alla base di una startup italiana proiettata al superamento dei confini? Ne abbiamo parlato con Andrea Scotti Calderini founder, insieme a Gianluigi Casole, di Freeda Media.
Com’è nata Freeda Media?
“Freeda nasce nel 2017 dalla volontà di rappresentare un’intera generazione che i media tradizionali non avevano preso in considerazione prima, oltre che dal forte desiderio di costruire un digital media brand internazionale che fosse in grado di parlare in modo autentico, onesto e sincero alle donne, alla comunità LGBTQI+ e a tutte quelle culture che non avevano una voce”.
Cosa vi differenzia dagli altri player?
“La capacità di ascoltare, parlare ed interagire con le persone attraverso contenuti creati appositamente per loro, condividendo storie di impatto in cui si riconoscono e valori che condividono.
Abbiamo poi fatto scelte non scontate, come scegliere sin dall’inizio di essere presenti esclusivamente sui social media e di investire in un dipartimento marketing in grado di aiutare il team creativo nel creare ogni giorno contenuti sempre più engaging e performanti. Questi fattori, uniti all’ambizione di diventare un brand globale, ci hanno permesso di arrivare ad avere una community di più di 7 Milioni di persone nel mondo“.
Freeda nasce con investimenti già considerevoli. Eppure, ci sono stati momenti critici nella crescita del marchio? Se sì, quali?
“Certo, abbiamo avuto momenti critici, come penso li abbiano avuti tutti coloro che realizzano progetti ambiziosi e che crescono in fretta, a ritmi molto serrati. Sicuramente il Covid tra questi è stato il più profondo, ma da amministratore delegato sono profondamente soddisfatto di come l’azienda ed il team abbiano risposto ad un’emergenza globale e concreta, riuscendo a mantenere livelli di qualità e di lavoro altissimi e dimostrando una maturità umana e professionale notevole.
Ritengo inoltre che le crisi, oltre che quali tali, vadano viste e vissute in un’ottica più ampia, come sfide, in quanto portano spesso ad emergere temi, risorse e spunti che, in altre situazioni, andrebbero persi”.
A due anni dalla nascita, il capitale di Freeda ha avuto un incremento significativo grazie a un venture capital francese. Riscontrate una risonanza diversa all’estero rispetto agli investitori italiani?
“È indubbio che, a livello europeo, ci siano Paesi e realtà già più mature in termini di risorse ed anche più preparati all’avversità verso il rischio nell’approcciare investimenti considerevoli nel mondo digitale; detto ciò, anche l’Italia negli ultimi anni ha dimostrato fiducia e propensione verso questo settore, tant’è che parte dei nostri investitori sono realtà di venture capital e family office italiani”.
Su quali elementi si basa la scalabilità di Freeda?
“Il primo elemento scalabile per noi è la potenza del nostro brand ed i valori che lo stesso
rappresenta, declinati poi in sfumature culturali derivanti dalle specificità dei vari Paesi. Parlando a livello editoriale, la scalabilità è data dalla capacità di integrare contenuti cross-country ad un palinsesto locale che sia rilevante per i singoli paesi in cui siamo presenti (Italia, Spagna & Latam, Uk). Infine, in termini di business, lavoriamo sulle varie geografie con team dedicati alla crescita dei mercati locali che lavorano coi brand partner in maniera da creare contenuti rappresentativi della cultura e delle peculiarità della stessa”.
Quanto è importante il trattamento del dato nella vostra profilazione editoriale?
“Qui è bene chiarire che Freeda, non avendo una piattaforma proprietaria né alcuna sorta di
newsletter o database, non effettua una profilazione del dato: i dati che analizziamo ci vengono restituiti dai social su cui siamo presenti e, pertanto, sono anonimi ed aggregati. Per Freeda i dati sono fondamentali per comprendere appieno la qualità e la risposta a ciascun singolo contenuto, che viene ottimizzato poi in conseguenza degli stessi”.
Oltre alla partnership con aziende, su quali forme di capitalizzazione state lavorando?
“Il modello di business di Freeda è cambiato nel corso degli anni ed è tuttora in evoluzione. Siamo partiti dal branded content, che resta il centro del nostro modello, per poi passare ad una gestione strategica di progetti di comunicazione a 360°. Sempre più brand partner si rivolgono a noi non solo per creare e promuovere contenuti sulle nostre piattaforme, ma ci chiedono di gestire, grazie al nostro know-how, la loro presenza e voce nel mondo digitale e dei social media costruendo
con loro un rapporto con le nuove generazioni di consumatori a cui parliamo ogni giorno”.
Progetti futuri?
“Sono diversi e in costante evoluzione. Abbiamo recentemente cambiato assetto diventando un gruppo, ed il nostro modello comprende ora anche Superfluid, un brand direct to consumer beauty che si rivolge a tutti coloro che vogliono sentirsi rappresentati nella propria unicità. Anche in questo caso il nostro approccio parte dalla community, che è la nostra prima fonte d’ispirazione nella scelta e poi creazione dei prodotti. Vedo il futuro di Freeda come una lunga evoluzione verso una sempre più concreta presenza della sua voce nel mondo, digitale e non, che possa rappresentare, ispirare e promuovere valori positivi ed ispirare positivamente le generazioni a venire”.