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Frontiers of Interaction: nuove frontiere di immobili, sanità e auto

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Nove anni alla “Frontiera”, quella della conferenza evento che ha radicalmente cambiato il modo di fare innovazione in Italia, mi hanno permesso di vedere spesso le cose che accadevano attraverso una lente privilegiata.

Quella lente, quell’osservatorio dedito alla visione di medio periodo sempre fortemente coniugata ai portatori di innovazione, ci ha spesso consentito di precorrere i tempi, individuando soprattutto i cambiamenti.

Noi non abbiamo lavorato sulla analisi numerica dei trend progressivi, misurandoli a consuntivo commerciale. Abbiamo semmai seguito –in modo personale e diretto- l’ibrido, il maker, l’outsider, il singolare.

Lo scenario che ne consegue, ed i trend che ha senso elencare per la loro diversità, contemporaneità e rilevanza, sono un esempio di questo mind-set delle Frontiere dell’Interazione: il mind set dei game changer.

Dall’era dell’accesso alla sharing economy

Era il 2000 –ed il millennium bug non aveva causato alcuna catastrofe- quando Jeremy Rifkin pubblicava: ”L’Era dell’Accesso”. Nel suo libro, Rifkin evolve la visione consumistica della proprietà personale o esclusiva in una più sostenibile, intelligente e persino democratica questione di accesso ai beni e servizi desiderati. Per dimostrare le sue tesi, Rifkin analizza il comportamento di alcune grandi aziende, e trova delle evidenze per cui l’era dell’accesso appare non una semplice ipotesi da collocarsi nel futuro ma qualcosa che ha già avuto inizio.

Lui si rende anche conto che determinante per tutto ciò è avere accesso a delle reti o –al contrario- l’esserne escluso. L’era dell’accesso necessita la Rete. Senza si resta limitati nel confine dell’era della proprietà, e l’espressione dovrebbe darvi lo stesso senso di disagio che sentireste parlando di baratto, nell’era della finanza.

Credo sia stata la visione più chiara di Rifkin. Quello che però nessuno poteva prevedere, soprattutto per rapidità di estensione era Zuckerberg. Nel 2000, quando Rifkin scriveva il suo libro, Mark Zuckerberg aveva solo 16 anni. Nel 2004 avrebbe fondato Facebook, ovvero un modo con cui ognuno avrebbe “saputo tutto” dei proprio compagni di università.

L’effetto di Facebook sull’umanità è ancora lungi da l’essere adeguatamente compreso. I sette gradi di separazione che –prima del 2004- consentivano ad ogni essere umano di raggiungere chiunque altro, sono scesi a cinque. Incredibilmente –e questo è stato un fatto del tutto inaspettato- i social network hanno piegato il TEMPO molto più di quanto la Rete sia davvero riuscita a piegare lo SPAZIO.

Le nostre Reti sociali si sono davvero estese senza confine geografico, ma soprattutto abbiamo cambiato il modo di comunicare, gestire la nostra attenzione, confrontarci, condividere.

Facebook è la palestra che ha liberato il concetto di “accesso” che Rifkin aveva individuato nei comportamenti di alcune aziende, ed ha reso così potente la condivisione dal basso da generare modelli di business del tutto nuovi.

AirBnb –dove ognuno può mettere a disposizione una propria casa o stanza- si basa su immagini fotografiche professionali, coperture assicurative ed un robusto meccanismo della fiducia (con ratings e raccomandazioni). Questo è forse il caso più famoso ed eclatante di “sharing economy”, ma emuli su beni e settori diversi sono nati in ogni dove. Così, affittare l’auto dai propri stessi vicini o noleggiare un abito da sera elegante, è diventato “accessibile”.

Nonostante AirBnb sia legato al mondo del mattone e quindi percepito di norma come quanto di più solido disponibile nell’economia tradizionale, forse l’innovatività dell’approccio non ci consente di misurarne il reale impatto.Per questa ragione, il secondo trend che prenderemo ad esempio è super-tradizionale: il mondo della salute.

L’healthcare consumerizzato (assicurazioni comprese)

L’healthcare è certamente –forse secondo al solo settore armamenti- il mercato più strutturato e controllato di tutti. Leggi e regolatori ne vincolano non soltanto la sperimentazione e successiva distribuzione e vendita dei “prodotti” (farmaci si intende), ma ne regolamenta in modo stringente persino ogni atto di comunicazione. Le multinazionali del farmaco hanno vissuto tempi tranquilli, traversando ogni intemperia economica e si sono affacciate al terzo millennio con doverosa cautela verso la Rete. Questo però non è valso per le persone affette da qualsivoglia sintomo, disturbo o patologia. Le persone, incuranti di ogni deontologia (i pazienti non ne hanno uno), regolamentazione (non ne hanno una), formazione medica (non sono tenuti ad averne), si sono gettati a capofitto in Rete ogni qual volta che il caso lo rendeva necessario. Così la Rete è diventata il luogo dove spegnere o alimentare la propria ansia, ma soprattutto dove essere informati e condividere il proprio stato (di salute).Innumerevoli ed eclatanti casi di ePatient –paziente connesso- hanno ribaltato la filiera di controllo classica dell’healthcare e –di fatto- stanno distruggendo quello “status” di subalterno che “il cliente” dell’healthcare –ovvero il malato- acquisiva ogni qual volta che entrava in contatto con il suo “fornitore” si servizi: medico o sistema sanitario. Ah, che sogno era chiamare istantaneamente il proprio cliente: “paziente”. Quale potere ha consentito di gestire.

Il sistema, che sia esso inteso come sistema di privilegi o di supporto alla salute, sta venendo completamente ridisegnato dal basso.In questo caso siamo in presenza di una vera tempesta perfetta. Nel lustro in cui scadono quasi tutti i brevetti blockbuster, si osserva:

– Il totale ribaltamento della filiera della comunicazione medico-paziente

– Una nuova generazione di device medicali nativi digitali. Così, oggetti meccanici come una bilancia o una misura pressione, diventano degli add-on per iPhone e integrano i nostri valori in quella parte della filiera healthcare che si sta mostrando ricettiva al cambiamento.

– Outsiders! E’ questo uno dei punti chiave di questo mercato. Non ci sono mai state tante nuove aziende (startup) in ambito healthcare.

– Rockhealth –incubator di San Francisco- ha pubblicato degli studi di settore dai quali si evidenzia la incredibile accelerazione del finanziamento con capitale di rischio di aziende healthcare. Nel 2011 era meno di un miliardo di dollari (MM 890). Nel 2013 la stessa cifra è stata investita in soli sei mesi (MM 850 USD).

– Abbiamo anche osservato casi –per adesso isolati- di makers (intraprendenti hobbisti con la passione della stampa 3D infarcita di elettronica) che si costruiscono in casa dei veri device. Come ha fatto ad esempio Nicolas Huchet –operaio di fabbrica- che si è realizzato una incredibile mano robotica a basso prezzo.

Anche solo una parte di queste innovazioni radicali sarebbe sufficiente per ribaltare un mercato. E questo senza ancora aver considerato come l’ibridazione di due settori altamente regolamentati, come healthcare e Assicurazioni, siano quasi pronti a generare modelli di business incrociati ed innovativi. Grazie ai device indossabili che stanno già monitorando il nostro stile di vita, i prossimi beni ad avere associata una assicurazione a consumo, saranno infatti le persone.

Ma le sorprese potenzialmente più grandi di questo settore, riguardano la diagnosi. Quello che cambierebbe la vita di tutti noi è il tricoder: oggetto della fantasia di Star Trek, capace di diagnosticare qualsiasi malattia, senza contatto ed istantaneamente.

Il tricoder è la macchina volante di questo settore; la tecnologia che lo stravolgerebbe. La gara per la realizzazione del Tricoder è già iniziata. La startup californiana Scanadu –partita nel 2011- ha realizzato dei primi oggetti che vanno in quella direzione, ed è stata finanziata con appena due milioni di dollari. Nel 2012, la fondazione X-prize, di milioni ne ha invece messi a disposizione dieci (10): naturalmente chi realizza un vero tricoder.Peter Diamandis, patron di X-Prize, ha dichiarato di attendersi di assegnare il premio entro cinque anni e di vedere un Tricoder commercial entro il 2025.Ma queste cifre scompaiono rispetto all’investimento annunciato a Maggio 2013 da Mike Lazaridis. L’inventore di BlackBerry ha infatti fatto partire un fondo da 100 milioni di dollari, rivolti alle “Star Trek technologies”. L’obiettivo è ovviamente quello di portare il Tricoder nella realtà.

D’altro canto, cosa sono i film di fantascienza se non “business plan sotto mentite spoglie”?

Conseguenze inattese delle self driving car

Scritta in cinese la parola crisi è composta di due caratteri. Uno rappresenta il pericolo e l’altro rappresenta l’opportunità. Ebbene, se c’è un business tradizionale in grave crisi –nel senso cinese del termine- è quello dell’automotive. Eppure, questo è anche uno dei settori a più alto potenziale.

Qualche settimana fa, insieme ad un compagno di avventure e celebre imprenditore della Silicon Valley, veleggiavamo sulla 101 a bordo di una italianissima Fiat500 rossa con tanto di tettuccio aperto.La scena era resa meravigliosa dal caldo sole della California, e dal design della nostra auto. Ad un certo momento però ho visto sorpassarci a destra (negli States è consentito) da una Self Driving Car di Google.Tutti sappiamo tanto delle auto senza pilota di Google, ma –credetemi in questa nota personale- nessuno sa cosa proverà quando viene sorpassato da una di queste auto. La sensazione –anche per un veterano delle Frontiere– è di smarrimento. Si, smarrimento, dinanzi alle enormi potenzialità economiche di questo nuovo incredibile business.

Lo ha capito benissimo Google stessa, che ha di fatto investito in UBER: la celebre compagnia di autonoleggio con autista che tanto rumore ha provocato tra i taxisti di tutto il mondo. Grazie a questo deal, non solo San Francisco sarà presto invasa da qualche migliaio di taxi “robotizzati”, ma soprattutto –un cab alla volta- la gente potrà sperimentare questa tecnologia. Così dopo un po’ questa diventerà robusta ed invisibile come un frigorifero e nessuno ne farà più a meno.

Adesso, si potrebbe fare un salto avanti e dire che:

– Le self driving car costringeranno alla chiusura almeno la metà delle case automobilistiche esistenti

oppure dire che

– Tesla sui motori e google sui sistemi di guida, potrebbero diventare due grandi suppliers di una nuova filiera di case automobilistiche piccole e concentrate sugli aspetti estetici e di comfort, come la Local Motors o come potrebbero fare tanti novelli Pininfarina dotati di una stampante 3D oversize.

Ma sinceramente questi sono futuri ancora molto fluidi e non necessariamente andrà in questo modo. Certo però, se davvero quello fosse il contesto, pensate a quante piccole aziende potrebbero concentrarsi a realizzare singoli aspetti “soft” di queste nuove auto.

Immagino auto che vanno in giro a “vendere” da sole il test drive. Beh, poco drive a dire il vero, ma quello è il concetto.Finalmente le auto si cercherebbero un parcheggio da sole, dopo averci lasciato sottocasa. E ammesso che noi le si possegga, quando non le usiamo potremmo darle in noleggio sulla piattaforma di sharing economy locale. E poi, soprattutto, andrebbero da sole all’autolavaggio, finalmente liberandoci da una schiavitù anacronistica.

Che si tratti di immobili, sanità o auto, l’innovazione e la consumerizzazione stanno cambiando le regole del gioco. Le aziende outsider entrano sul mercato con fondi importanti e idee nuove. Questi competitor in erba ed un mutato approccio dei “clienti” è la crisi –come opportunità e pericolo- di ogni business.

Del pericolo, soprattutto in Italia, siamo credo tutti ben consci. Ma non è questo che garantirà la sopravvivenza. Nel business vince chi riesce a trarre beneficio dall’opportunità. E per vederla serve viaggiare sino alle Frontiere.

Siamo al MiCo il 24 e 25 Ottobre, e con noi ci saranno persone come Richard Saul Wurman (fondatore di TED), Brad Templeton, Dave Gray e molti altri.

Game Changers ed aspiranti tali, sono i benvenuti.

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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