«Non stava mai senza una matita in mano o una sigaretta in bocca», così Michael Peppiatt, curatore della mostra in corso al Maga, descrive Alberto Giacometti e la sua specie di compulsione al bozzetto. Gli schizzi e i disegni dell’artista svizzero, esposti a Gallarate assieme a sculture e disegni, provengono prevalentemente dalla collezione privata degli eredi, mai esposta interamente in Europa, e mettono in luce un aspetto più intimo e inesplorato di Giacometti.
Pezzi di carta presi nei caffè, pagine strappate da L’Express o da France Soir, fanno parte del percorso artistico curato da Peppiatt per far rivivere l’anima del Novecento fino al 5 giugno al Museo Arte Gallarate.
In esposizione le sculture ispirate ai modelli preferiti di sempre, dal ritratto tormentato al fratello Bruno del 1937 al busto della sorella Ottilia dello stesso anno, attraversando la fase riduzionista degli anni Quaranta in cui le figure si assottigliano e si alleggeriscono sul piedistallo, fino alle figure intere sia femminili che maschili del dopoguerra, una Femme debout del 1952, una Femme de Venise e alcuni busti della moglie Annette.
La dimensione familiare è protagonista anche nei dipinti, dai ritratti del nipote Silvio al ritratto del dottor Corbetta, dove è il volto, con la fissità tesa degli occhi, a dominare la tela.
Completa la mostra un’ampia sezione documentaristica con immagini dell’artista a lavoro, fotografato da Cartier-Bresson e Doisneau, e con un’intensa intervista trasmessa alla televisione svizzera nel 1963 con Giacometti a lavoro su tre sculture contemporaneamente, che si definisce uno “scultore mancato” per non essere riuscito a scolpire una testa “così come la vedo”.
Eppure il suo L’homme qui marche è ritratto sulle banconote da cento franchi svizzeri ed è stato battuto all’asta da Sotheby’s a Londra per 65 milioni di sterline, ovvero oltre 74 milioni di euro, battendo il record precedente raggiunto da Il ragazzo con la pipa di Pablo Picasso con 57 milioni di euro.
Chissà cosa avrebbe pensato oggi Giacometti, lui che aveva confessato: «Il sublime oggi per me è nei volti più che nelle opere».