Gianni Riotta: Dal personal computer al personal consumo

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La nuova fase della Terza rivoluzione industriale origina nella manifattura digitale e segue le stagioni del computer. Prima «stampare» oggetti era costoso, poco pratico e richiedeva investimenti e laboratori importanti. Ora, con il printer 3D, studenti intraprendenti hanno costruito chiavi per aprire qualsiasi tipo di serratura e perfino piccole barche.

La nuova frontiera è usare i dati per costruire oggetti. Presto molti prodotti di uso quotidiano, destinati a case o aziende, verranno «stampati» da printer tridimensionali che, usando disegni personalizzati, forniranno utensili, abiti, libri, meccanica di precisione, prodotti alimentari. La tecnica della manifattura digitale sembra fantascienza, basta schiacciare un tasto per trovarsi in casa un bicchiere nuovo, ricorda un po’ i fumetti anni Trenta del «Corriere dei Piccoli» con l’inventore dell’Arcivernice, Pier Cloruro dé Lambicchi, che con una spennellata trasforma le immagini in realtà.

La nuova produzione «additive manufacturing» può essere utilizzata con le nanotecnologie ed elaborare non solo fibre plastiche e metalli, ma anche aminoacidi per produrre tessuti biologici. Neil Gershenfeld, direttore del Center for Bits and Atoms del Massachusetts Institute of Technology, osserva che «gruppi di ricerca stanno lavorando con stampanti tridimensionali per assemblare strutture di cellule e, alla fine, riprodurre organi viventi».

Alla domanda da cui siamo partiti, se il web ci renda liberi o no, possiamo ora aggiungere altri interrogativi: la tecnologia ci renderà invulnerabili, immortali, perfetti? I genitori, elaborando la mappa del patrimonio genetico di famiglia, stamperanno nel printer 3D biologico di casa i geni che mancano ai figli per essere agili come Lionel Messi, creativi come Steven Spielberg e affabili come Bill Clinton, vivendo fino a centoventi anni? I geni della velocità di Usain Bolt verranno messi in vendita a caro prezzo, in supermarket del business genetico, con la bellezza di Penelope Cruz e lo stile di Steve Jobs? E se invece le stampanti 3D di neonazisti e fondamentalisti stampassero individui selezionati per caratteristiche negative, aggressivi, feroci, intolleranti, docili da addestrare, creando perfette truppe d’assalto?

Sono temi che adesso vanno al di là della nostra immaginazione, ma su cui presto, come cittadini e società, mediteremo.

È invece già attuale l’effetto rivoluzionario della produzione digitale: i dati, l’informazione, diventano oggetti e gli oggetti dati. Quante volte avete desiderato un abito, taglio giusto, prezzo ok, ma siete rimasti delusi da un particolare, il colore dei bottoni magari. E quante volte, nell’infinita modularità scandinava di Ikea, avete sperato che la libreria, il sofà, la cornice, il mestolo fossero piú alti o bassi, meno colorati, piú leggeri? Vi manca il profumo che usavate da ragazze e che ormai è introvabile, un cacciavite a croce proprio come quello di papà, il mangianastri anni Settanta? Oggetti da reperire uno per uno, nei negozi vintage, o da dimenticare per sempre. L’«additive manufacturing» li può rimettere a vostra disposizione senza troppi problemi. Già oggi Ikea ha un sistema avanzato che permette ai clienti «di stampare» in proprio le scatole di montaggio richieste.

L’economia cambia, non piú trasporto di merci, non piú stoccaggio e magazzini, ogni prodotto «stampato» su richiesta del cliente, «just in time».

La ditta Quirky, nel West Side di Manhattan, a New York, produce in crowdsourcing: ogni settimana raccoglie online suggerimenti per progetti di nuovi prodotti, li sottopone a un referendum web e, se ci sono abbastanza utenti interessati, realizza il prototipo. Per gli oggetti che incontrano il favore del pubblico Quirky rilascia brevetti, realizza il marketing e la distribuzione. Lo studente liceale Jake Zien ha venduto, grazie a Quirky, 200.000 Pivot Power, prese elettriche multiple che funzionano senza adattatore, guadagnando 124 000 dollari (€ 95 000).

Se l’informazione che selezioniamo sul web a nostra immagine è «personal media», per «additive manufacturing» possiamo intendere industria e consumo «personal». Immaginate già i guru che vedranno nel fenomeno la liberazione del consumatore dai diktat degli uffici marketing opposti ai guru che denunceranno il materialismo ossessivo di società popolate da Narcisi digitali? Vedremo chi prevarrà. Tra i soliti ottimisti si candida Chris Anderson, persuaso che la produzione 3D sarà il Paradiso in Terra del lavoro, mentre il sociologo Zygmunt Bauman assume le parti del pessimista e teme che la produzione in rete distrugga le comunità. È la ormai nota dialettica guru-filosofi, miraggi e incubi online, poca attenzione alla realtà. Quanto a noi, proviamo a evitare l’ormai stantio errore di proiettare sulla tecnologia fobie e speranze del presente.

Aggiornata la legge di Kranzberg – «La produzione digitale 3D non è buona, né cattiva e neppure neutrale» –, sappiamo che è difficile prevedere come ci adatteremo alle novità; se, restando schiavi del 3D, sforneremo gadget a ripetizione oppure collaboreremo per il bene della comunità con oggetti utili, ecologici. Il tramonto dell’epoca industriale di massa è del resto evidente, con il margine di profitto per le aziende automobilistiche concentrato negli accessori, nella personalizzazione e nei gadget che il cliente richiede sul modello base. Con il «fordismo» si guadagna poco.

Il poeta Ezra Pound denunciava nei suoi Pisan Cantos il capitalismo del Novecento, persuaso che l’economia dovesse tornare al Medioevo, con artigiani, botteghe e senza usura, il prestito a interesse che per lui era il male peggiore: «With usura hath no man a house of good stone» («Con l’usura nessuno ha case di buona pietra»).

Dopo la crisi finanziaria 2007-2008 «The Economist» e «The Financial Times», le voci della finanza moderna, dibatterono se con il crack della società Lehman Brothers si fosse avviata «la fine del capitalismo», e le profezie di Pound risuonarono cupe e attuali. L’«additive manufacturing» rilancia invece l’artigiano, ogni prodotto sarà «di bottega», come a Firenze nel Rinascimento, e noi sceglieremo quel che ci serve, griffato o disegnato a mano.

(…)

L’economia digitale sarà allora una stagione di libertà, creatività e sviluppo? Come sempre non c’è una risposta fuori dalle condizioni reali in cui viviamo: una stampante 3D in uso a Pechino, Washington, Lagos e Hanoi darà esiti diversi, non c’è una taglia filosofica unica che spieghi da sola tutta la cultura e la produzione digitale. Il talento degli innovatori davanti alle scelte politiche e sociali delle comunità determineranno la cultura del tempo, diversa in contesti diversi, non piú fabbricata in serie. Gershenfeld, uno dei pionieri del 3D, al Mit di Boston ci ammonisce: «Non ci sarà una fabbrica in ogni tinello, ma la produzione “intelligente” è la stagione futura».

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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