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Gidsy: Exit o fine del sogno berlinese?

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Nel bel mezzo dell’attesa conferenza Next di Berlino arriva la notizia che Gidsy è stato acquisito da GetYourGuide, e qualche minuto dopo il servizio aveva già chiuso i battenti. Mentre altrove la notizia si perde tra le tante che ormai riguardano finanziamenti ed exit di startup, nella scena berlinese ha l’effetto di un lampo a ciel sereno.

Gidsy, il peer-to-peer marketplace dove gli utenti potevano organizzare o trovare corsi e tour di diverso tipo, aveva attirato nell’ultimo paio d’anni l’attenzione della stampa in tutto il mondo. A ciò avevano certo contribuito l’idea piuttosto originale, un team eccellente capitanato da Edial Dekker, da subito il perno carismatico della startup, e soprattutto un finanziamento consistente pre-prodotto da parte di nomi celebri come Ashton Kutcher, Alexander Ljung di SoundCloud, e Nikolaj Nyholm di Sunstone Capital.

Nel suo breve ciclo di vita, Gidsy era diventato più di una semplice startup o storia da copertina: era uno dei simboli della scena startup berlinese, nonché uno dei centri gravitazionali della vita sociale delle startup stesse. Chi qui a Berlino non si ricorda infatti i numerosi Gidsy-party, con l’open bar sponsorizzato da Jameson piazzato al centro del loro ufficio super hipster?

La “flash exit” di Gidsy dopo poco più di un anno di attività del servizio può avere chiavi di lettura molto diverse. In generale una exit nell’universo startup viene considerata positiva il più delle volte. In questo caso non si può forse parlare di un deal economicamente consistente, dato che l’acquirente, GetYourGuide, è a sua volta una startup, anche se sostenuta da un finanziamento di 16 milioni di dollari.

L’aspetto positivo è che Gidsy, se davvero aveva problemi di traction come si è speculato, ha avuto comunque l’opportunità di fare una exit e di trasferire tutto il team a GetYourGuide, dove i fratelli Dekker hanno ottenuto le posizioni di head of mobile (Edial) e head of design (Floris).

Alla scena berlinese rimane però l’amaro in bocca, dato che Gidsy era visto come l’emblema di una startup che aveva tutte le carte in regola per diventare un business duraturo e portare avanti una “vision” a lungo termine. L’idea era piuttosto ambiziosa e “disruptive”, coerente con il presupposto stesso alla base dei modelli peer-to-peer: tutti possono diventare fornitori di servizi e prodotti e generare ricchezza attraverso transazioni dirette e orizzontali. Il successo prima di eBay e più recentemente di AirBnB, Etsy e Task Rabbit hanno dimostrato che questo modello può funzionare, e hanno aperto le porte a decine di altri servizi peer-to-peer che ora stanno testando il modello su ambiti diversi come il car sharing e, appunto, l’offerta di esperienze.

Gidsy aveva puntato sul fatto che chiunque avesse una conoscenza o competenza potesse organizzare corsi o tour a pagamento, così da offrire esperienze più uniche e originali a turisti e cittadini rispetto a quelle istituzionalizzate.

Il problema dei modelli peer-to-peer è il dover continuamente sostenere e motivare il lato “supply”, cioè far sì che si raggiunga una massa critica di fornitori di prodotti e servizi in grado di attirare i consumatori. Per quanto è bello pensare che in teoria tutti possano occasionalmente diventare fornitori per arrotondare lo stipendio, la realtà è che la profittabilità dei siti che facilitano questo modello si basa comunque su figure istituzionali o individui che si occupano a tempo pieno di tali attività. Così come eBay monetizza prevalentemente dai negozi che vendono attraverso il sito, così AirBnB, Etsy e Task Rabbit si poggiano su chi di affittare case, vendere prodotti o offrire servizi ne ha fatto ormai un lavoro full-time. Non è forse un caso che GetYourGuide, acquirente di Gidsy, abbia sviluppato un business di successo basandosi non su guide improvvisate ma su operatori professionisti. La differenza principale tra Gidsy e GetYourGuide è che il primo aveva l’ambizione di trasformare tutti in esperti part-time, mentre il secondo offre un servizio aggiuntivo ai professionisti di un certo settore, e perciò rispecchia un modello di business esistente. Gidsy avrebbe probabilmente potuto funzionare ed essere realmente “disruptive” se fosse stato in grado di trasformare progressivamente attività amatoriali in lavori a tempo pieno, così come in parte è riuscito a fare AirBnB.

L’exit prematura di Gidsy può essere perciò vista come simbolica da diversi punti di vista, dato che:

1) Conferma che per una startup avere una buona idea, un team con le competenze giuste, un investimento consistente e di qualità, una risonanza a livello mediatico internazionale e una presenza attiva nella scena startup locale non bastano per creare un business duratoro e di successo. Quello che importa alla fine è non perdere mai di vista il lato del “business”, cosa che forse Gidsy aveva in parte trascurato.

2) Crea qualche ombra sul modello del peer-to-peer marketplace che recentemente ha visto una crescita esponenziale di servizi ed è stato elogiato per il suo potenziale “disruptive”. Spesso, per funzionare, tale modello deve appoggiarsi sui fornitori professionisti, o per lo meno sostenerne lo sviluppo.

3) Rappresenta una “wake up call” per la scena startup berlinese, di cui Gidsy impersonificava la freschezza, la creatività, l’essenza trendy e anche la dolce vita. Linsey Fratt del Venture Village, noto magazine startup Berlinese, analizza il fenomeno e conclude che le startup berlinesi devono cominciare a lasciare il “mondo dei sogni” per ancorarsi maggiormente alla realtà e comprendere il significato di “fare business”.

Linsey continua la sua analisi facendoci notare come, mentre per la scena berlinese l’episodio di Gidsy è sembrato una sconfitta dell’intero sistema, questo genere di cose succedono quasi quotidianamente in Silicon Valley, e permettono lo sviluppo e la sopravvivenza della scena stessa. Berlino sta dunque forse passando ad una fase di maturità, in cui abbandonare gli ideali adolescenziali è doloroso quanto necessario per assicurare la sostenibilità dell’ecosistema startup nel lungo termine.

ARIANNA BASSOLI

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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