Giorni di violenza a Lizzano. Stasera in piazza per dire di no

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Negli ultimi 11 giorni a Lizzano (Taranto) diversi consiglieri dell’opposizione e un vigile urbano sono stati oggetto di atti violenti che sembrerebbero seguire il copione classico dell’attentato mafioso di tipo intimidatorio.

È stata incendiata la macchina del consigliere Pippo Donzello, e sono stati esplosi colpi di fucile contro le porte di casa di Valerio Morelli, Antonio Motolese, Antonio Lecce e contro l’automobile del vigile urbano Pasquale Castronuovo. Il paese in questi giorni è battuto dalle macchine dei carabinieri e da alcuni elicotteri. L’angoscia che provo nel riferirvi questi fatti è profondissima. Mi sembra di avere un cuore che pesa 10 kg, uno stomaco stretto stretto, e di non riuscire a respirare fino in fondo.

Senz’altro, per quanto le ultime elezioni abbiano confermato la maggioranza di centrodestra, la composizione del consiglio comunale è cambiata, in meglio, sia all’interno della stessa maggioranza, che dei partiti di opposizione che stanno svolgendo responsabilmente e alacremente il loro ruolo di sorveglianza e controllo sull’operato dell’amministrazione.

Questo ha un legame con gli attentati? Non lo sappiamo. Non sappiamo niente. Sappiamo che c’è qualcuno che gira armato, forse su una moto, e che ha sparato con un fucile contro la porta o la macchina di alcuni membri delle istituzioni. Non sappiamo chi, non sappiamo perché.

Le reazioni di una piccola comunità davanti a un evento del genere sono di tipi diversi. C’è la paura, l’angoscia, lo sconforto, la rabbia, lo sdegno, lo sgomento, il sospetto, la curiosità morbosa e l’attrazione fatale per la tragedia. Una tragedia del genere porta Lizzano sui giornali nazionali, sulla bocca dei parlamentari, su blog molto seguiti. E i sentimenti qui diventano contrastanti. Una parte di te non vuole vedere il tuo paese sbattuto sui giornali con tanta approssimazione, e per una cosa così brutta, non vuole vedere Lizzano gettata in pasto ai commentatori leghisti.

Ma ti rendi conto che bisogna parlarne, che non si deve certo cercare di nasconderlo.

Vorresti che se ne parlasse in modo saggio, propositivo, vorresti trovare un’idea, un modo di rispondere a questa violenza assurda, ma è difficile. Perché le idee in genere nascono dalla gioia, almeno per me. E in questo momento invece provo solo angoscia. Devo preoccuparmi per me, per la mia famiglia? È finita qui o continuerà? Scrivere questo post è pericoloso? La verità è che non ne ho idea. Nessuno ne ha la minima idea.

Ed è questo a far paura. Ed è questo che lentamente ti spegne, che ti fa pensare due, tre volte prima di scrivere o di parlare o di fare qualcosa. E allora capisci il senso della parola “resistenza”.

Non devi resistere alla violenza, non si tratta di questo. Potresti non farci i conti mai, non è quello il punto. Devi resistere a te stesso, alla tua voglia di chiuderti in casa, di chiuderti in te stesso e di non uscire più. Devi resistere a questa angoscia che sembra ti mangi un pezzetto di cuore ogni giorno, finché non ti fa finire cinico e disperato, arrabbiato per non aver vissuto la tua vita, seduto sulla panchina di un paese che non hai cambiato, dal quale ti sei lasciato spegnere.

In un momento in cui, per superare la crisi, si parla di economia dell’innovazione, di slancio, di buttarsi a fare le cose, di avere coraggio, è importante rendersi conto di quante energie una parte degli italiani impieghi in questo quotidiano esercizio di resistenza.

Non bisogna isolarsi, bisogna fare un grosso sforzo per condividere queste sensazioni, e per lavorare e realizzare un progetto comune. La mia sensazione è che, per quanto immensamente difficile, l’unico modo di trasformare questo esercizio di resistenza in un principio di azione e di trasformazione del mondo sia facendo parte di una comunità, tessendo reti virtuose e occupandosi di capire come unire la propria lotta a quella degli altri. Credo che una delle cose più importanti da fare sia esercitare il pensiero, discernere, essere osservatori partecipi e attenti. Non generalizzare, mai. Scegliere di cercare di capire sempre. Ci vengono incontro Calvino:

“L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”.
(Italo Calvino, Le città invisibili, 1972)

E anche Lao Tse, in un adagio amato da Bruno Munari:

Produzione senza appropriazione.

Azione Senza Imposizione di sè.

Sviluppo senza sopraffazione.

È senz’altro difficile avere questo come un punto di partenza, ma è una bella meta a cui tendere. Oggi, sabato 10 agosto, alle ore 19 in Piazza Unicef a Lizzano, ci sarà una grande manifestazione per la legalità e contro ogni forma di violenza. Se potete, venite ad abbracciarci e a marciare con noi. Ne abbiamo bisogno.

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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