GlassUp, la sifda italiana alla realtà aumentata di Google

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Il futuro prossimo sarà aumentato e di massa. E l’incontro tra reale e virtuale, il loro continuo sovrapporsi, sarà in un paio di occhiali. Per leggere mail, notifiche, tweet senza impugnare uno smartphone. O scattare foto e registrare video presi direttamente dal proprio campo visivo. Ci scommette Google, che avanza nel suo Project Glass. Ma anche Apple, Microsoft e Oakley, divisione dell’italiana Luxottica.

Nel nostro Paese c’è, tuttavia, un piccolo team di imprenditori, ottici e sviluppatori al lavoro su un occhiale per la realtà aumentata già da giugno 2011. Perfino prima che Google comunicasse al mondo la sua volontà di aprire, a tutti gli effetti, le danze. E con un prodotto – sostengono – più economico, agile e pronto o quasi a entrare sul mercato.

Il progetto si chiama GlassUp, e a tirarne le fila è Francesco Giartosio. Classe 1959, torinese trapiantato a Modena, imprenditore, Giartosio spiega a CheFuturo che tutto è cominciato «un anno e mezzo fa», quando l’ottico Gianluigi Tregnaghi ha accettato di provare a dare forma e concretezza agli occhiali aumentati che aveva in mente. La sede? «La mia scrivania». Poi la ricerca di qualcuno capace di realizzare l’elettronica e il software. E, sei mesi più tardi, un momento di panico: la presentazione di Project Glass. Presto superato, racconta: «Lì per lì la cosa ci ha terrorizzato. Poi ci siamo convinti che il progetto di Google, anche se ci lavoravano da un po’ di tempo, stava andando nella direzione sbagliata».

Perché? «Ergonomicamente è molto scomodo», risponde senza esitazioni Giartosio.

«Loro volevano farlo a sé stante, noi invece come applicazione per telefonino; loro volevano farlo che trasmette e riceve, mentre noi ci concentriamo sulla ricezione, la cosa più utile». In che senso? «L’occhiale di Google si dedica in buona parte a scattare foto e mandare filmati», dice. «I nostri non lo fanno: l’occhiale è una periferica del telefonino. Riceve dei messaggi e te li fa vedere. È passivo. Non ti permette di rispondere. Inizialmente volevamo farlo senza nessun comando, invece avrà un minimo di comandi che ti permetteranno, per esempio, di scorrere il messaggio o vedere quello precedente, ma non di rispondere».

È una differente concezione della direzione che prenderà lo sviluppo di device per la realtà aumentata: «L’idea è che le cose più sofisticate si fanno col telefonino», spiega Giartosio.

«Il telefonino è l’intelligenza, ma anche il pannello di controllo». Non un device che lo sostituisce, dunque, ma che lo integra.

Senza contare che la passività della tecnologia sviluppata da GlassUp mette al riparo – per ora, come vedremo – l’azienda dalle principali critiche mosse a Mountain View: che l’oggetto possa trasformarsi in uno strumento di controllo (pervasivo, costante e soprattutto invisibile), e che dunque la privacy individuale sia, per l’ennesima volta, a rischio. Inoltre, il prodotto italiano non incorporerà software di riconoscimento facciale. Quello di Google, invece, potrebbe – a quanto si capisce dal brevetto.

Non solo. A sentire Giartosio, anche l’intrusività delle informazioni fornite dall’occhiale nel campo visivo di chi lo indossa è minore: «Avere davanti agli occhi un’intera schermata, con tanti colori, crediamo confonda le idee». GlassUp, al contrario, mira a brevi messaggi monocromatici, resi risconoscibili tramite semplici simboli (per esempio, un uccellino per Twitter). Il risultato finale è «una semplice scritta in sovraimpressione».

Che tuttavia, assicura, consente una miriade di applicazioni, già allo studio. «Siamo partiti con l’idea di vedere mail e sms», racconta. «Poi abbiamo pensato a breaking news e indici di Borsa. E ora abbiamo visto che un sordo può vedere le parole della persona con cui sta parlando; oppure che un turista può vedere le didascalie dei quadri mentre gira per un museo o che un motociclista può vedere le indicazioni stradali senza doversi fermare più volte. O ancora, che ti può segnalare il battito cardiaco, la velocità e i chilometri percorsi mentre corri».

Alcuni clienti, poi, hanno già manifestato richieste più specifiche: «per vedere i dati dell’aeroplanino senza perderlo di vista, le parole dei cantanti all’Opera, i sottotitoli dei film in lingua per i non udenti…». E non manca l’interesse di telco come Telecom Italia e Vodafone, che vorrebbero «brandizzare» gli occhiali di Giartosio, rivela il fondatore.

Quanto ai costi, l’imprenditore spiega che i tre soci hanno utilizzato finora capitale proprio, per un totale di 200 mila euro. Poi ne serviranno altri 200 mila per la industrializzazione, e altri 3-500 mila per marketing e magazzino, «a seconda di quanto in grande vogliamo partire». Tradotto: «tra un paio di mesi andremo a cercare dei finanziatori». Senza escludere l’opzione del crowdfunding tramite Kickstarter. L’obiettivo è arrivare a luglio 2013 nei negozi con un prodotto dal costo di 350 euro. Cioè circa la metà del prezzo ipotizzato da Google. Che alla porta di Giartosio ancora non ha bussato: «anche se penso prima o poi ci vorranno comprare», precisa ridendo.

Un aspetto, tuttavia, accomuna GlassUp e Google: l’ammirazione per il sogno singolaritiano del futurologo Ray Kurzweil. Non a caso, da poco arruolato in qualità di capo ingegnere di Mountain View per lavorare su nuovi progetti inerenti l’intelligenza artificiale. «Crediamo che ci fonderemo lentamente (ma non così lentamente) con il computer», scrive l’azienda italiana nel manifesto che ne illustra la filosofia di fondo.

«Navigheremo in Internet con le nostre menti», prosegue il documento, che parla di passi che portano, uno dopo l’altro, a un brave new world che non può non riportare alla memoria Aldous Huxley, e i suoi ammonimenti sul dominio della scienza e delle tecnica sull’uomo.

Nella totale commistione di uomo e macchina, non c’è il rischio che sia il primo, e non la seconda, a smarrirsi? «Francamente sì, il rischio c’è di certo», risponde Giartosio. Perché «quando le macchine cominciano a imparare, non le ferma più nessuno. E oggi siamo alle soglie del computer biologico». Problemi che verranno. Ma per il futuro prossimo, la preoccupazione è che le questioni evidenziate dal Project Glass – in termini di privacy e di quella che l’ideatore dei primi occhiali aumentati, Steve Mann, chiama sousveillance, cioè la sorveglianza reciproca «dal basso» – diventino realtà anche per GlassUp. I prossimi modelli, infatti, potrebbero incorporare alcune funzionalità meno «passive» di quelle attualmente previste. E, del resto, quella sembra la destinazione ultima del settore: «Il riconoscimento facciale è il sogno segreto di tutti», ammette Giartosio. E si torna all’uomo, alla macchina, e a ciò che diverranno.

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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