Gli articoli di CheFuturo! parlano di innovazione

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Proviamo a fare questo piccolo esperimento. Pensate alla “somma dei mezzi” a vostra disposizione per raggiungere i vostri desideri e dividetela per la “somma dei vostri desideri”. Se il risultato è 1, secondo il sociologo Sorokin (che nel 1949 scrisse “La crisi del nostro tempo”, edizioni Arianna, 2000) siete persone libere.

Se invece il numeratore, come immagino per molti di voi, risulta inferiore, allora siete di fronte ad un aut aut: incrementare le risorse a vostra disposizione o rinunciare ad una parte dei desideri.

La sfiducia, la carenza di stimoli, la congiuntura economica dei nostri tempi offrono ottime occasioni per sposare dinamiche di ridimensionamento degli obiettivi e delle aspirazioni. Un coma mentale che giustifica e incoraggia nuovi arruolati nell’esercito dei rassegnati.

In Europa ci piace chiamargli NEET (Not in Education, Employment or Training), una popolazione tra i 15 e 29 anni che non studia, non si forma, è inoccupata: nel 2009 in Italia, secondo l’Isfol (2011), si contavano 2 milioni di giovani NEET, la quota più alta d’Europa e con una maggioranza di donne (57%).

Se, invece, vogliamo competere, reinventarci, misurarci con paradigmi che possiamo contribuire a creare, ecco che i desideri – almeno quelli – possono assumere valori importanti e potenzialmente accessibili. Quantità elevate che ci permetteranno di rincorrere la libertà di Sorokin ad una velocità che l’esperienza e un po’ il caso ci permetteranno di governare.

Personalmente, quando osservo un artigiano, in tutte le sue declinazioni, è esattemente questa la sensazione che respiro: libertà.

Dare forma all’idea con le mani. Il pensiero detta il movimento degli arti che danno il via ad una catena più o meno ordinata di azioni: movimenti coordinati, sequenziali che hanno bisogno di tempo per riuscire ad essere pienamente valorizzati. Da mio padre con i suoi disegni o dal fumettista Zerocalcare, all’artigiano che lavora il legno per i violini a Samarcanda, ritrovo sempre in questi personaggi mitologici un ingrediente speciale. Come se fossero capaci di condizionare, in meglio, chi osserva le loro creazioni e chi le vivrà, perchè la loro libertà possa essere condivisa, in qualche modo trasmessa.

Non so se i fondatori di GlobeIn abbiano operato queste elucubrazioni prima di fondare la loro startup, ma fatto è che dal 12 dicembre di due anni fa, l’intento di creare un movimento digitale di artigiani su scala globale, come se fosse un atlante vivente dell’artigianato, sta diventando realtà.

Una piattaforma di e-commerce che coniuga la promozione di artigiani di Paesi emergenti, la valorizzazione dei saperi locali e la loro internazionalizzazione, il coinvolgimento di comunità online – anche per mezzo di iniziative di crowdfunding dedicate a ciascun artigiano – ed offline, favorendo un turismo consapevole che associa l’esperienza di viaggio a quella di vita accanto all’artigiano.

Complicato sintetizzare in un modello compatto GlobeIn, di seguito uno sforzo di sintesi per identificarne le caratteristiche distintive.

Inclusione economica

L’idea di GlobeIn nasce dalla sfida di creare inclusione economica per quelle comunità in ritardo economico e sociale. Gli artigiani sono il veicolo principale di questo cambiamento. Essi presentano delle capacità, un saper fare trasmesso da generazioni e un senso implicito di responsabilità per l’impatto positivo generato sul territorio. Usano materie prime locali, promuovono occupazione, cultura. La co-fondatrice Anstasia Miron afferma: ”Il lavoro artigianale è un lavoro di cooperazione comunitaria, inclusione economica a livello locale; a GlobeIn pensiamo che i piccoli modelli sostenibili possano essere scalati con l’uso del signor Internet”.

Digital literacy

A proposito del “signor Internet”, GlobeIn andando letteralmente a caccia di artigiani in paesi “difficili” in termini di accesso ai servizi IT, erudisce gli stessi all’uso di strumenti per i pagamenti online, per conversare con i propri clienti dall’altra parte del mondo (magari per personalizzare un prodotto), li supporta a fare micro-blogging nella piattaforma o sui loro canali di comunicazione personali.

In Messico è stato avviato un progetto pilota con la Fondazione Wikipedia America Latina, al fine di promuovere la biodiversità e conservare le lingue e le tradizioni indigene. L’uso del computer, di Internet, la generazione di contenuti online, vengono insegnati ai bambini indigeni affinchè contribuiscano alle pagine di Wikipedia in lingua nahuatl ed a tener viva la loro cultura che spesso viene raccontata tramite l’artigianato azteco e maya.

Investire nella comunità, dal microcredito all’artisan helper

Il business model è apparentemente semplice. Avvenuta la transazione online, quindi acquistato il prodotto sulla piattaforma, all’artigiano viene riconosciuto il 100% del prezzo richiesto. Da parte di GlobeIn invece, viene praticato un mark up del 25%: il 10% di questo viene reinvestito nel paese d’origine dell’artigiano per sostenere gli artisan helpers, elementi fondamentali per l’infrastruttura di GlobeIn poiché contribuiscono a mantenere viva la community locale, ed a gestire le diverse criticità o opportunità di business development che il territorio offre. Concetto questo più sofisticato rispetto al modus operandi tradizionale da parte – ad esempio – delle ONG del fair trade o di altre iniziative di microcredito. Anziché partecipare agli investimenti diretti per una produzione ad hoc, piuttosto che avviare dei piccoli prestiti, GlobeIn investe nel lavoro di community building degli artisan helper, affinchè si dia continuità alla filiera artigiana locale e si possano cogliere opportunità diverse – e spesso più coerenti – rispetto al core business iniziale.

Turismo consapevole

Spostandoci da un economia di consumo ad un economia di esperienze, la piattaforma ha nello storytelling una delle sue leve più importanti. Attraverso foto, video, descrizioni dirette dei protagonisti sulle modalità di produzione o di approvvigionamento, anche un turista potrà caricare contenuti o addirittura tuffarsi nell’esperienza come volontario, partecipando alle attività degli artigiani, quindi acquisendo competenze e realizzando abilità inaspettate. Una leva, quella del turismo legato all’artigianato, dalle innumerevoli potenzialità e che i fondatori stanno considerando con attenzione.

Un tempo gli artigiani erano caste, comunità chiuse dal “segreto professionale” che si tramandava in generazioni. Ora sono gli enzimi di un rinnovato scenario di opportunità occupazionali, di desideri da mettere al denominatore. Mettiamoci poi un pizzico di tecnologia, molta pratica ed una propria identità, ed ecco che per i produttori locali si aprono finestre sul mondo con un click e un po’ di formazione.

GlobeIn ha ricevuto il primo round di finanziamento del valore di 1,1 milioni di dollari. Per GlobeIn e le sue community, il numeratore si sta avvicinando al denominatore.

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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