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Il 14 Aprile 2016 il Parlamento Europeo ha approvato il Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati (RGPD). L’espressione “dignità umana” appare una sola volta, nell’Articolo 88, nel quale viene sancito che la normativa

“include misure appropriate e specifiche a salvaguardia della dignità umana [il corsivo è il mio], degli interessi legittimi e dei diritti fondamentali degli interessati, in particolare per quanto riguarda la trasparenza del trattamento, il trasferimento di dati personali nell’ambito di un gruppo imprenditoriale o di un gruppo di imprese che svolge un’attività economica comune e i sistemi di monitoraggio sul posto di lavoro.” Consiglio dell’Unione Europea (2016).

Il testo sovra citato presuppone due concetti:

  • primo, l’interessato è una persona fisica, la cui dignità deve essere salvaguardata (una persona giuridica non può godere di dignità umana);
  • secondo, la dignità umana differisce dagli “interessi legittimi e dai diritti fondamentali”.

Entrambi i presupposti sono corretti e il secondo è indicativo. Malgrado la sua presenza, quasi inosservata, all’interno del RGPD, la dignità umana è il concetto fondamentale che fornisce il quadro all’interno del quale si deve interpretare ciò che il RGPD – e più generalmente la cultura e la giurisdizione europea (Lynskey (2015)) – intende per informational privacy (ovvero la protezione dei dati personali, d’ora in poi semplicemente privacy).

Ciò è coerente con il ruolo che il concetto svolge sia nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948 (Preambolo e Articolo 1) sia nella Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea .1

Come evidenziato dal Garante Europeo della Protezione dei Dati:

“[…] un maggiore rispetto e la tutela della dignità umana potrebbero fungere da contrappeso alla sorveglianza pervasiva e all’asimmetria di potere con la quale gli individui si devono attualmente confrontare.

Essa dovrebbe essere al centro di una nuova etica digitale. […] La vita privata è parte integrante della dignità umana e il diritto alla protezione dei dati è stato concepito originariamente negli anni ’70 e ’80 come mezzo per compensare il potenziale di erosione della vita privata e della dignità attraverso il trattamento dei dati personali su larga scala.” Garante Europeo della Protezione dei Dati (2015)

Sono d’accordo.

Ecco perchè a tutela della privacy si basa sulla tutela della dignità

La tutela della privacy dovrebbe basarsi sulla tutela della dignità umana, in modo diretto, e non in modo indiretto, cioè attraverso altri diritti come quello alla proprietà o alla libertà di espressione. In altre parole, nel tronco della dignità umana, la vita privata dovrebbe essere innestata come un ramo primario, non come un ramo secondario, come se fosse un diritto derivato.

Ho passato diverso tempo a difendere lo stesso punto (Floridi (2005), (2006), (2013)), schierandomi a favore dell’interpretazione della tutela della privacy in termini di tutela dell’identità personale: l’aggettivo “miei” in “i miei dati” ha tutt’altro valore rispetto all’aggettivo “miei” in “i miei occhiali”, ed è lo stesso del “miei” in “i miei occhi”, questo perché le informazioni personali hanno un ruolo fondamentale rispetto a chi sono e chi posso diventare.

Ne consegue che la sfida – per quelli come me, che condividono la precedente analisi – non è che la privacy non può essere resa dipendente dalla dignità umana, perché questa dipendenza logica appare solida. Il punto è che questo può essere semplicemente un modo per spostare il problema, rimandando ila comprensione della privacy alla comprensione del concetto di dignità umana. A meno che non si spieghi in modo convincente che cosa sia la dignità umana nel Ventunesimo secolo, rimane confuso e opinabile capire esattamente quale interpretazione di dignità umana possa fornire le fondamenta per la privacy (così come tutti gli altri diritti umani), e da qui perché. Come osservato da Galileo (vedi Galilei (1967)), si corre il rischio di spiegare ignotum per ignotius, ovvero ciò che è ignoto (la privacy) attraverso ciò che è ancora più ignoto (la dignità umana).

Abbiamo chiaramente bisogno di fare un passo avanti. Per compiere tale passo occorre realizzare che in gioco vi è niente di meno che un’antropologia filosofica in linea coi nostri tempi, ovvero, una comprensione filosofica della natura umana che sia adeguata all’era digitale e alle nostre società dell’informazione.

Una nuova antropologia filosoficaA seconda della posizione presa rispetto a questa nuova antropologia filosofica, ne conseguono diverse idee sulla dignità umana, e quindi diversi modi di difendere la privacy che si basa su di essa. Si tratta di un progresso tuttavia ancora insufficiente. Dobbiamo anche ammettere che, sebbene possano differire in maniera significativa le une dalle altre, le varie antropologie filosofiche disponibili condividono tutte la stessa strategia: forniscono un’interpretazione della dignità umana affidandosi alla difesa di un certo tipo di eccezionalismo umano.

Ovvero, qualunque cosa sia la dignità umana, la sua interpretazione è il risultato di una determinata antropologia filosofica che concepisce l’umanità essenzialmente differente da ogni altra specie (a dirla tutta, da ogni possibile altra entità nell’universo), e in un modo che merita speciale considerazione e rispetto. Quindi, la linea completa di ragionamento, privato di ogni aspetto trascurabile, è che la privacy debba essere protetta per via della dignità umana, che deve essere protetta per via dell’eccezionalismo umano, che deve essere spiegato e difeso da una specifica antropologia filosofica, che a sua volta necessità di una robusta giustificazione e non può essere data per scontata.

Quando le persone sono in disaccordo sulla privacy e il significato della dignità umana, si può capire ora che questo disaccordo riguarda il tipo di antropologia filosofica da sostenere. Il che non sorprende.Vi sono almeno quattro antropologie filosofiche che hanno contribuito al dibattito sull’eccezionalismo umano (Lebech (2004)), per lo meno nella filosofia occidentale.

Nella filosofia greca e romana, in special modo in Aristotele e Cicerone, l’eccezionalismo umano si basa sull’abilità unica e naturale dell’essere umano di esercitare un controllo virtuoso su se stesso (le passioni, ad esempio) e sul suo ambiente (gli animali).Nella filosofia cristiana, e in particolar modo in Tommaso d’Aquino, l’eccezionalismo umano è fondato sulla divina creazione ed esistenza dell’essere umano ad immagine e somiglianza di Dio. Nella filosofia moderna, soprattutto dopo l’Illuminismo e Kant, l’eccezionalismo umano si fonda sull’autonomia razionale dell’essere umano e sulla sua abilità di autodeterminazione.

E nell’era post-moderna, l’eccezionalismo umano è radicato nel riconoscimento sociale del valore altrui.

Il problema di queste quattro antropologie filosofiche è che sono tutte antropocentriche. Anche il Cristianesimo considera Dio esclusivamente concentrato sulle questioni umane. Ma, come affermato altrove, (Floridi (2014)), Copernico, Darwin, Freud, e Turing hanno ciascuno indebolito una volta per tutte tale approccio antropocentrico all’eccezionalismo umano. Noi non siamo al centro del cosmo, del regno biologico, dello spazio della ragione, o dell’infosfera. Per cui, se siamo speciali, non possiamo esserlo per via di tali vecchie “centralità”. Se l’eccezionalismo umano è ancora difendibile, lo è probabilmente solo nella versione “eccentrica” quella che pone il nostro ruolo speciale nell’universo in una posizione marginale. “Speciale” dovrà significare “estraneo” (estraneo al normale corso della natura), piuttosto che “superiore”.

Tale prospettiva “eccentrica” del ruolo speciale dell’essere umano nell’universo non è inedita. L’etica della cura si basa sul concetto di decentramento dell’agente in favore del paziente (ricevente) delle azioni morali. Il giardiniere, l’infermiere, l’insegnante, il genitore, l’amico, il politico, l’impiegato statale, il medico, l’avvocato, il giocatore di squadra, il collega, la persona dietro la cassa o in un negozio… quando agiscono moralmente, lo fanno ponendo i destinatari delle loro azioni al centro delle loro interazioni, e se stessi al loro servizio marginale.

Si tratta dell’approccio altruistico, orientato verso il paziente (opposto a quello orientato verso l’agente) difeso dall’etica medica, ambientale, in bioetica, nell’etica aziendale, e, nella mia ricerca, nell’etica dell’informazione. Ogni qual volta un filosofo viene sorpreso a parlare di “ascolto” piuttosto che di “visione” è probabile che il cambiamento di prospettiva sia avvenuto.

Chiaramente, un approccio decentrato all’eccezionalismo umano è fattibile. Quindi la difesa della dignità umana in termini di eccezionalismo umano è ancora plausibile. Ma allora, che cosa s’intende per dignità umana, da un punto di vista “antropo-eccentrico”? E una interpretazione “antropo-eccentrica” della dignità umana può davvero supportare la protezione della privacy direttamente, senza mediazioni degli altri diritti?

Privacy: una proposta

La proposta che vorrei avanzare è che la dignità umana, da un punto di vista antropo-eccentrico ma ancora eccezionalista, risiede negli aspetti negativi e non in quelli positivi. Noi siamo la specie incompleta che desidera, fallisce, fa domande, ha dubbi, si preoccupa o gioisce del futuro e rimpiange o prova nostalgia o saudade per il passato, che riesce a vedere il rovescio della medaglia, che si mette nei panni altrui, che è responsabile della propria vita, almeno parzialmente, che non vive qui e ora, come tutti gli altri animali, ma distaccata e in spazi semantici che progetta per il proprio consumo, al fine di dare un senso alla realtà (speranze e paure, passioni, ricordi e aspettative, chiacchiere, abitudini e leggi, lingue, tradizioni, religioni, strutture sociali, conoscenza scientifica e così via), eppure non troppo distaccata, poiché non è folle.

Neanche questa visione “eccentrica” è totalmente nuova. Pico della Mirandola, nel suo famoso Discorso sulla Dignità dell’Uomo (1486; vedi Pico della Mirandola (2012)) offre una prospettiva che sembra essere simile. Il Discorso è stato descritto come il manifesto del Rinascimento. Il suo messaggio, allora rifinito da artifici retorici, è che la dignità umana consiste nel suo essere un concetto in corso d’opera, un software aperto, diremmo oggi, o un testo non scritto, in un linguaggio meno contemporaneo. Noi non siamo in cima alla catena dell’essere, perché non vi apparteniamo, e non c’è posto per noi. Non siamo né angeli, né bestie (o robot), perché abbiamo la facoltà di diventare entrambi.

Aggiornando il Discorso, si potrebbe dire che siamo l’eccezione, come un “hapax legomenon” (ossia un termine che compare una sola volta nell’ambito di un testo) nel libro della natura che, come diceva Galileo, è scritto in simboli matematici. Un hapax legomenon è un fenomeno completamente naturale, seppur eccezionale. Il nostro eccezionalismo risiede in uno speciale e forse irriproducibile modo di essere positivamente disfunzionali. Noi siamo la fantastica anomalia della natura, in un sistema universale che ha generato casualmente una forma di vita probabilmente in modo esclusivo, decisamente improbabile da ripetersi e certamente anomalo e singolare. Siamo dotati di consapevolezza, intelligenza, vita mentale e autodeterminazione. Chiaramente, non dovremmo essere qui. Siamo i fortunati vincitori di un biglietto della lotteria a vita.

Non conosco una parola in grado di catturare esattamente questa interpretazione di eccezionalismo umano, quindi lasciatemene usare una che vi si avvicina: polytropos. È il termine greco usato da Omero per descrivere Ulisse nella prima riga della sua Odissea: polytropon, “multiforme” nella traduzione italiana. “poly” significa senza ombra di dubbio “molti”, ma “tropon” ha esso stesso una varietà di significati: “modo” come “maniera” o “modalità” – quindi descrivendo una persona intelligente, scaltra, in grado di capire e sfruttare un’opportunità, trovare una soluzione, uscire da una situazione difficile – ma anche “percorso” come “tragitto” o “viaggio”, descrivendo quindi qualcuno che ha visto molto luoghi, che se la sa cavare, che ha viaggiato e vagato molto, un uomo di mondo.

È la parola (trope) che usiamo per riferirci a stratagemmi retorici e letterari comunemente ricorrenti, o cliché in lavori creativi, una volta ingegnosi, oramai motivi ben noti. È la stessa parola usata nell’Inno a Ermes per descrivere il dio, creatore del fuoco e portatore di sogni, emissario e messaggero degli dei e intercessore fra loro e noi, protettore della letteratura e della poesia, invenzione e commercio, ma soprattutto polytropos, viaggiatore astuto e infaticabile. Anche nel Nuovo Testamento, Dio stesso ci parla polytropõs “in molti modi” o “in varie maniere” (Ebbrei 1.1).

Tale ricchezza semantica ci ritorna utile per il presente compito. Per la nostra situazione polytropica, questo mix speciale di vecchio ingegno e nuova apertura, è ciò che ci rende eccezionali in molti modi brillanti e incoerenti. Tale posto eccentrico all’interno dell’universo spiega sia la nostra dignità, come fonte di diritto, che il nostro destino, come fonte di doveri, nel seguente senso.Come viaggiatori, siamo nelle mani di chi ci ospita: gli altri, la natura, il mondo fisico, ma anche la società, la cultura, il mondo che costruiamo, non solo il mondo che troviamo. Nessuno di noi è mai al centro: ogni individuo viaggia incessantemente da centro a centro. E quindi dovremmo godere del diritto alla protezione e all’ospitalità che accoglie gli ospiti.

Ognuno di noi, come una fantastica anomalia, è un’entità fragile e molto flessibile, la cui vita è fatta essenzialmente di informazioni.

La nostra dignità risiede nella capacità di essere i padroni dei nostri viaggi e di lasciare aperte la nostra identità e le nostre scelte. Ogni tecnologia o politica che tenda a chiudere o plasmare tale apertura, rischia di disumanizzarci, non diversamente dagli ospiti di Circe, a quali è vietato di lasciare la sua isola. Pertanto, concepita in termini di politropia, la dignità umana fornisce un terreno antropo-eccentrico per il diritto alla privacy e alla responsabilità individuale sulle nostre informazioni fondamentali. La maggior parte della nostra vita, intesa come narrativa, è scritta da altri autori, l’unico modo in cui possiamo contribuire deve essere accuratamente protetto e nutrito.E ancora, come viaggiatori, abbiamo quei doveri che ogni ospite dovrebbe rispettare nel momento in cui viene accolto in un posto: cura e rispetto per gli altri, siano essi umani, animati o inanimati. Tale gestione del mondo che ereditiamo dalle generazioni passate e lasciamo a quelle future è la controparte del nostro diritto alla privacy. E’ il tratto distintivo dell’essere umano: siamo in grado di prenderci cura al di là dei nostri bisogni e dei nostri impulsi. Apertura e cura si integrano l’un l’altra. Il che mi porta agli ultimi due commenti.

In conclusione

Primo, una volta paragonato alle altre quattro antropologie filosofiche, sembra chiaro che solo un approccio antropo-eccentrico possa fornire un’interpretazione dell’eccezionalismo umano sufficientemente robusta da giustificare la protezione della privacy attraverso il concetto di dignità umana. Considerate cosa accadrebbe se la privacy non fosse rispettata. Questo implicherebbe la violazione della dignità umana, ma in che termini, esattamente? Nella filosofia greca e romana, equivarrebbe a una sorta di danno all’abilità naturale e unica dell’essere umano di esercitare un controllo virtuoso su se stesso e sul suo ambiente. Questo sembra essere difficilmente il caso. Nella filosofia cristiana, sarebbe l’equivalente di un danno alla creazione e all’esistenza divina umana nell’immagine e somiglianza di Dio. Il che è chiaramente irrilevante. E a dire la verità, Agostino si esprime in modo piuttosto chiaro contro la vita privata, esattamente per la ragione opposta: le brave persone non hanno nulla da nascondere, né dinnanzi a Dio né agli altri. Nella filosofia moderna sarebbe equivalente ad una sorta di danno contro l’autonomia razionale dell’essere umano e alla sua abilità di autodeterminazione.

Questo sembra essere molto più convincente, nella misura in cui una percepita mancanza di privacy potrebbe determinare scelte e comportamenti e quindi limitare l’autonomia. Ma non dice nulla a proposito delle violazioni di privacy nascoste (quindi non percepite). E infatti l’autonomia sarebbe ancora possibile in un mondo senza alcuna privacy, precisamente nel senso in cui Agostino sosteneva che non c’era bisogno di privacy in un universo in cui nessuna persona dovrebbe nascondere niente dinnanzi a un Dio onnisciente.

Nella filosofia post-moderna, il bisogno di riconoscimento reciproco può davvero incoraggiare una mancanza di privacy e spiega perché ci importa così poco di ciò che condividiamo online.

Solo all’interno della filosofia dell’informazione, che vede la natura umana costituita da modelli informativi, le violazioni della privacy hanno un impatto ontologico. Se l’eccezionalismo umano si basa, da un punto di vista antropo-eccentrico, sullo stato peculiare degli esseri umani come organismi informativi intrinsecamente privi di equilibrio permanente, ma che costantemente diventano se stessi, come lavori informativi in corso, allora una completa mancanza di privacy disumanizza senza alcuna ombra di dubbio. Impedirebbe quel distacco cha fa progredire la vita umana. eliminerebbe lo spazio fra il mondo e la mente che permette all’ultima di costruire un sé e un senso del mondo. Rimuoverebbe il granello di sabbia che da origine alla perla. Incastrerebbe una vita aperta nella montatura di un profilo.

E questo mi conduce all’ultimo commento. Se l’analisi rimane a un livello in cui l’umanità affronta il mondo, allora inevitabilmente la dignità umana viene discussa come dignità dell’essere umano, non la mia né la tua, e lo stesso accade per il destino umano. Ma se adottiamo una prospettiva diversa e guardiamo i singoli individui come soggetti aperti, allora un’importante caratteristica emerge.

Se Alice e Bob si incontrano, e ognuno pone se stesso ai margini delle loro interazioni, centralizzando l’altro, si genera un’infinita e inutile dialettica. Un pò come due persone dalle buone maniere che, incontrandosi davanti a un ristorante, insistono su chi debba entrare per primo. Potrebbero restare entrambi fuori.

Questa sterile situazione di stallo è un rischio, ma non è inevitabile, perchè il decentramento degli agenti può proficuamente condurre alla centralizzaziaone della loro relazione. Quindi non è la moglie né il marito a trovarsi al centro del discorso etico, bensì il loro matrimonio, al quale entrambi contribuisco “eccentricamente”. Non è uno dei due amici al centro, bensì la loro amicizia. Non un partito, ma la politica. Nessuno di noi, ma la nostra società.

Le due persone fuori il ristorante possono entrare insieme, come coppia. Questa è, in termini di privacy, una buona notizia. Perché il rispetto delle reciproche informazioni personali non deve portare a un mondo di vite solipsistiche, ma può essere la base di una società che promuove il valore delle relazioni come qualcosa a cui coloro che sono relati possono contribuire volontariamente e fruttuosamente, dalla loro posizione periferica.

Fonti

Council of the European Union (2016), ‘Position of the Council at First Reading with a View to the Adoption of a Regulation of the European Parliament and of the Council on the Protection of Natural Persons with Regard to the Processing of Personal Data and on the Free Movement of Such Data, and Repealing Directive 95/46/Ec (General Data Protection Regulation) St 5419 2016 Init – 2012/011 (Olp)’.European Data Protection Supervisor (2015), ‘Opinion 4/2015 Towards a New Digital Ethics Data, Dignity and Technology’.Floridi, L. (2005), ‘The Ontological Interpretation of Informational Privacy’, Ethics and Information Technology, 7 (4), 185 – 200.Floridi, L. (2006), ‘Four Challenges for a Theory of Informational Privacy’, Ethics and Information Technology, 8 (3), 109-119.Floridi, L. (2013), The Ethics of Information (Oxford: Oxford University Press).Floridi, L. (2014), The Fourth Revolution – How the Infosphere Is Reshaping Human Reality (Oxford: Oxford University Press).Galilei, G. (1967), Dialogue Concerning the Two Chief World Systems – Ptolemaic & Copernican (2nd ed edn., Berkeley: University of California Press).Lebech, M. (2004), ‘What Is Human Dignity?’, Maynooth Philosophical Papers, 392, 59-69.Lynskey, O. (2015), The Foundations of EU Data Protection Law (Oxford: Oxford University Press).Pico della Mirandola, G. (2012), Oration on the Dignity of Man : A New Translation and Commentary (Cambridge: Cambridge University Press).

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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