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Gli Open Data formano cittadini attivi (e vanno insegnati a scuola)

innovaizone

Ho saputo con grande piacere che tra qualche mese il coding diventa obbligatorio nel sistema scolastico italiano. Non perché me ne occupi e sia anche un formatore degli Animatori Digitali nella mia regione, ma perché il pensiero computazionale e la sua esplicitazione informatica e logica (codifica) sono fondamentali per la formazione dei ragazzi.

Mi occupo ormai da qualche anno di Open Data della Pubblica Amministrazione ed anche Comunitari (vedi openstreetmap) e a parte le svariate occasioni di disseminazione, informazione e formazione, avverto che manca un sistema formativo. E la scuola dovrebbe essere il luogo per eccellenza in cui iniziare.

In Italia c’è il bel progetto di A Scuola di openCoesione che è sicuramente da spingere, sostenere, diffondere, replicare. Ma ci sono tanti altri dati che sono disponibili nelle varie banche dati italiane, non solo quelli economici del portale opencoesione.gov.it.

Il fatto che le PA non rilascino in maniera omogenea i Dati Aperti, non impedisce a una scuola secondaria, un liceo o istituto tecnico di trarne un grande vantaggio nella ricerca (prima) e nell’analisi e riuso dopo. In pratica l’invito è per qualsiasi tipo di scuola.

I dati in Italia e in Europa sono raccolti nei cosiddetti cataloghi dati. In Italia molti dati sono presenti sul portale governativo: http://dati.gov.it (non tutti però, perché il sistema di aggiornamento è fermo da oltre 6 mesi) mentre in Europa è stato da poco rilasciato il mega portale http://www.europeandataportal.eu/.

Vi consiglio anche di fare una ricerca sul siti istituzionali dei Ministeri. Infatti i Ministeri della Salute, degli Interni, delle Infrastrutture, dell’Economia e Finanze, dei Beni Culturali, ISTAT, INGV, ed altri, hanno i loro portali.

Anche la Camera e il Senato hanno i dati aperti in formato Linked, che è il massimo grado di riuso secondo la scala ideata da Tim Berners-Lee.

Ultimamente ho riusato tantissimi dati attraverso i miei bots Telegram e uno degli ultimo caso è stato il rifacimento di uno dei miei primi lavori: i Musei Italiani censiti dal MIBACT cioè l’elenco dei migliaia di Musei che sono già presenti e catalogati dal Ministero dei Beni Culturali e del Turismo nel proprio DBUnico (mega database). Immaginate quante cose si possono fare con questi dati: da itinerari turistici-culturali a studi di musei simili per argomenti fino alla scoperta di musei minori.

OPEN DATA in Italia, cosa manca?

Come mai in America c’è openData 500 e la sua sottosezione openData 200 per l’Italia, con l’elenco delle più grandi aziende che riusano i dati per farci business, mentre da noi non solo non si usano ai fini commerciali, ma neanche per sviluppare servizi fondamentali per la società?

Questi sono i dati sui trasporti pubblici presenti in Europa.

Houston abbiamo un problema…

Non ci sono tantissime app su questi argomenti. Molti dati ci sono. Bisogna cercarli, accorparli. Altri vanno richiesti. Altri non li avremo mai. In molti Paesi questi dati sono collegati tra loro e quindi permettono una corretta pianificazione urbana. Diremmo finanche Rigenerazione Urbana. Cioè come deve rinnovarsi ed evolversi una città, i suoi quartieri, in base ai trasporti, le aree verdi, la cultura e i contenitori culturali, le spese sull’urbanizzazione primaria, piste ciclabili.A Lecce durante l’openData Day (ne abbiamo parlato qui) abbiamo provato a fare sistema, anzi ecosistema, sugli Open Data pensando ad alcuni parametri soggettivi per poter fare una mappa con indici sulla qualità della vita. Ma è un percorso lungo.

E la scuola?

Se si facessero degli approfondimenti strutturati negli istituti superiori su come riusare questi dati, che sono di interesse assolutamente trasversale, i ragazzi potrebbero avere le basi per fare app, siti. E anche se magari non sapranno tecnicamente come fare, avranno capito che c’è una ricchezza infinita disponibile o da pretendere: i dati aperti.

Gli artigiani del futuro lavoreranno dati per farci qualcosa. Già oggi i FabLab lavorano file inviati magari dalla parte opposta del mondo per stamparli per mezzo di un “macchinario” che a sua volta al 90% è gestito da un sistema open come Arduino. Già oggi lavorano dati estratti da openStreetMap per farci per esempio estratti tattili per non vedenti.

Sulla capacità o meno di cogliere le opportunità che sono “dentro” i dati e sulle competenze necessarie per poterli usare, si baseranno le società del futuro. Non solo le aziende.

Il mondo già oggi è diviso tra Paesi open e Paesi Closed, come disse tempo fa Hillary Clinton.

Un consiglio: andate a vedere sul sito del vostro Comune se ci sono dati aperti. Se non ci sono chiedeteli. Magari, mi rivolgo ai professori, organizzate alternanza Scuola-Lavoro e date una mano a far diventare Open il vostro Comune.

Diventate cittadini attivi. Formate uomini che sappiano gestire i dati

(open o big data che siano) in modo da non subire le politiche economiche imposte da altri, ma di governarle.

Formate i ragazzi ad usare openStreetMap magari per inserire i luoghi accessibili da disabili, le aree verdi, il nuovo bar sotto casa, il sentiero di montagna, la farmacia.

I dati di openstreetmap vengono già oggi usati nei navigatori Garmin. In pratica è la differenza tra esserci o non esserci. E dipende solo da noi dato che l’inserimento o lo fa la comunità (che è poi libera di riusare tali dati) oppure non c’è un’azienda che trae profitto nell’inserire i dati e detenerli vietandone il riuso…come negli altri casi commerciali.

E’ come saper leggere e scrivere e saper far di conto. Si vive ugualmente da analfabeti, ma non si vive pienamente. Non si colgono le opportunità ma anche le cose belle.

Si vive “passivamente” ma non si coglie la bellezza della conoscenza. Magari la conoscenza di un quadro che non potrò mai andare a vedere, ma che nessuno mi impedisce di poterlo gustare e magari studiare da dietro la mia scrivania in montagna, a 80 anni…

Non permettere a nessuno di dirti: non ce la puoi fare.

Internet è la più grande invenzione del secolo scorso, diceva Rita Levi Montalcini.

Ma se vogliamo che sia la più grande occasione di democratizzazione del sapere, dobbiamo pretendere di avere i dati (possibilmente in formato aperto) e avere la sapienza e competenza di saperli usare. Anche le lettere dell’alfabeto sono scritte sul muro alle scuole elementari. Anche i numeri. Ma se le sappiano usare unendole alle altre competenze che la Scuola aiuta a formare, allora possiamo cambiare il mondo. In meglio.

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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