Gli open data in 5 mosse e le buone pratiche di Lecce

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Ognuno ha le proprie ricette. Si sa. Ma se tutti dicono che la torta è uscita bene, allora è una buona ricetta. Chi insegna coding come me, sa bene che gli algoritmi, una volta trovati sono universali, ma quando si tratta di ricette, ci vuole anche la maestria del pasticcere o della brava nonna per fare un capolavoro. Per cui prendete questo post come un insieme di algoritmi, replicabili ma migliorabili, che nascono da qualche anno di esperienza. Ma non sono i 10 Comandamenti…e soprattutto la mano e la mente devono essere le vostre, per renderli unici.

Gli open data in 5 mosse1. Perché rilasciare dati aperti

Potremmo aprire un dibattito quasi infinito. C’è chi parla di open data = business, altri open data = controllo civico altri ancora open data = trasparenza.

Altri infine open data = partecipazione piuttosto che open data = servizi al cittadino. Io credo che siano la somma di tutto più la componente locale: la Smart Community.Una PA dovrebbe rilasciare dati aperti per tanti motivi: da adempimento della Riforma della PA (Legge Madia), quindi dal CAD (Codice Amministrazione Digitale), ad una questione politica. Infatti rilasciando dati che la comunità ti chiede, agevoli l’attività degli stakeholders. Ma non basta. Se una PA rilascia dati che poi sono riusati per creare servizi, arriviamo veramente al cittadino. Il cittadino usufruisce di servizi che vanno dal sapere a che ora passa il Bus sotto casa, a quanto spende il proprio Comune, a qual è la zona più bella dove poter vivere, a cosa mangia mio figlio oggi nella mensa scolastica.

Quali monumenti posso liberamente fotografare, quali libri sono disponibili nella biblioteca, quali bandi ci sono ora e che eventi culturali oggi sono presenti nella mia città. Nei portali OpenData tali dati sono in formato “non leggibile” dall’uomo (CSV, RDF, GeoJson)… per molti termini che sono simili all’arabo. Ma se poi apro un’app, un website e con un click ho tutte le informazione di cui sopra allora capisco l’importanza del perché i dati, per essere interoperabili da “macchine” (machine readable) devono avere quel particolare formato. In tutto questo il controllo civico è veramente una minimissima parte.

A mio avviso questo è stato l’errore fondamentale e drammatico dei miei “colleghi” per lo sviluppo dei dati aperti. Pensarli solo come strumento di trasparenza e controllo civico.

Era ovvio che ogni Politico e Amministratore, fosse frenato nell’intraprendere un processo di apertura del patrimonio informativo del proprio Ente….. Per fortuna professionisti del calibro di Ernesto Belisario, Giovanni Amenduni, Matteo Brunati, Alberto Cottica, Matteo Fortini , Matteo Tempestini, Simone Cortesi per citarne solo alcuni, hanno dimostrato alcune cose fondamentali: gli open data NON sono solo governativi ma anche comunitari (openstreetmap, Terremotocentro italia) e quando non sono presenti sul sito web del mio Comune, posso indirettamente richiederli tramite il nuovo “diritto-strumento” del FOIA. Gli open data sono una colonna portante dell’OpenGovernment e sono il “linguaggio comune” con cui l’amministrato e l’amministratore dialogano.

Il Comune rilascia i dati e la comunità li riusa remixandoli con altri dati che magari la comunità stessa provvedere a rilasciare (wikipedia, openstreetmap etc). Credo fermamente nell’operazione circolare con cui la comunità è al fianco della PA. Si vedano gli inserimenti delle varie Carte Tecniche comunali-regionali su Openstreetmap, oppure dell’inserimento dei Defibrillatori o della nuova orografia del territorio a seguito di un sisma o alluvione. Infine una cosa sottile, impalpabile ma fondamentale. Immaginate un Comune X che riceve sui socials lamentele ad esempio sulle buche del proprio territorio. Il Sindaco (o Dirigente) decide di mettere su uno strumento per ricevere formalmente queste lamentele. Che ne so un bot Telegram, una webapp insomma, qualsiasi cosa. Tutte le segnalazioni finiscono in open data su un cruscotto a tabella che alimenta un grafico ed una mappa (che mostri i punti delle segnalazioni). Si scopre alla fine che su 100 segnalazioni magari 20 sono sempre le stesse e su 80 il Comune interviene. Dati alla mano il Comune dimostra di non aver nulla da nascondere, magari mostra anche i costi di tale operazione manutentiva. L’amministrato da forcaiolo permanente, diventa piano piano un Cittadino: diritti e doveri. Aiuta segnalando e apprezza, monitora, giudica il proprio amministratore. Alla lunga si sviluppa una cosa di cui l’Italia avrebbe tanto bisogno: la FIDUCIA verso il proprio Comune. Vi pare poco? Molte di queste cose le abbiamo realizzate a Lecce ed alcune sono in fase di sviluppo su Galatone e Terlizzi. Pa di piccole dimensioni che stanno cercando di coinvolgere la comunità esterna senza nascondersi. A Lecce è andata molto bene. La ricetta ha funzionato bene . A parte il premio E-Gov per gli Open data collaborativi, è stata citata nello ICity Rate di ForumPA proprio per gli open data e nel censimento Italia http://it-city.census.okfn.org/ dimostra di rilasciare con costanza dataset che servono alla comunità.

2. Quando rilasciare Open data

Qui entriamo nei meccanismi del soggetto produttore del dato. Sei un cittadino che usa mapillary o in wheelmap, cioè app che ti permettono di inserire “oggetti” nel data base pubblico di openstreetmap (fotografie, luoghi non accessibili o accessibili da disabili)? allora puoi produrre dati aperti quando e come vuoi. Sei invece una PA? allora dipende se sei di medio-grande dimensione con un sistema informativo semi automatizzato e interoperabile piuttosto che una piccola PA che lavora con registri cartacei per esempio per la manomissione del suolo pubblico o delle nuove attività edilizie.

Cosa cambia? La qualità del dato e la frequenza di aggiornamento. Infatti mentre una Regione o una Città Metropolitana piuttosto che una Provincia “evoluta” come quella di Trento, possono fare accordi con fornitori esterni o aziende IT in house, per interfacciare gestionali, processi e procedure finalizzate alla pubblicazione automatica di dati aperti, in una PA piccolina bisogna prevedere processi “digital first” pur non avendo possibilità economiche di comprare software e gestionali. Quindi la frequenza di rilascio è molto demandata alla buona volontà, alle linee guide interne e alla “capacità” del funzionario di pubblicare quel dataset.

Vi faccio due esempi : uno negativo ed uno positivo. Comune X, anno 2013 o 2014 non ricordo. Chiedo un elenco di distributori di carburanti in Excel. Il funzionario mi guarda e mi dice : Excel? dovrei averlo installato. Un brivido percuote la mia schiena. Mi arriva in email un file xls con “incollata” come immagine nelle prima cella l’immagine di una carta intestata del Comune con l’elenco dei 13 distributori di carburanti presenti.

Ho capito che avevamo un problema che non erano gli open data ma che proprio il processo di apertura dei dati stava evidenziando: il basso alfabetismo digitale. Oggi le attività commerciali di nuova apertura sono tutte realtime intefacciate con impresainungiorno.gov.it e dataset come farmacie, benzinai, bed and breakfast sono online e aggiornati (ogni tanto) direttamente da quel funzionario. Vittoria ?. No. Se non c’è nessuno che controlla, e fa pressing, il dataset non viene aggiornato.. Caso positivo: Ufficio Scolastico ha una biblioteca che si chiama “L’acchiappalibri”. Gratuitamente i cittadini leccesi possono prendere in prestito un libro ma a patto di regalarne un altro al Comune. La banca dei libri diventa ogni giorno più grande. Oggi siamo ad oltre i 3000 libri quando 2 anni fa erano meno di 1000. Prima un cittadino doveva andare all’ufficio preposto, compilare una richiesta e aspettare il giorno dopo la disponibilità e l’eventuale data per il ritiro. Oggi tramite il bot Telegram del Comune o andando sul portale open data, il cittadino vede realtime le disponibilità e con un click prenota il libro. Online il funzionario contatta l’utente per pianificare il ritiro. Costo? zero. O meglio il costo della formazione del funzionario che ora, autonomamente, sa creare il dataset, lo aggiorna insieme ad altri 3 funzionari e sa anche gestire il form per la richiesta del libro. Ha “ripensato” tutto da solo il processo per eliminare la carta e fluidificare tutto il flusso di comunicazione con l’esterno. E’ al settimo cielo ed il primo che divulga la “sua” opera. Non credo che si fermerà più il processo.. Ovvio che si è investito sulla formazione. Questo ha un costo. Ma a livello software è tutto free. In questo caso il “quando” è giornaliero. La tempestività è d’obbligo.

Ma ci sono altri casi in cui i dati possono anche essere aggiornati trimestralmente. Si pensi alle Camere di Commercio con le statistiche aperture di aziende per tipologia (titolari stranieri, donne, codici ATECO etc) . Oggi le CCIAA lo fanno annualmente nel report spesso cartaceo mentre per esempio la CCIAA di Lecce lo fa in open data con cadenza mensile o trimestrale. Ogni argomento ha la sua “opportuna” frequenza di aggiornamento compatibilmente alla formazione del personale, ai sistemi informativi e quindi alle risorse disponibili. Aggiungo: alla necessaria utilità da parte dei portatori di interesse.

3. Come?

In parte ho risposto nel punto precedente. Il “come” dipende da chi produce i dati. Secondo la mia visione dettata dall’esperienza in trincea, le cornici nazionali come le Linee Guida AGID sono fondamentali ma mancano di alcune pezzetti per l’applicabilità. Da risorse economiche, a competenze interne, a processi che non permettono di arrivare alla pubblicazione perché troppo ancorati all’analogico. Non è una questione di software ma appunto di alfabetizzazione digitale (nel caso di una PA di piccole dimensioni) e di coordinamento regionale (poche Regioni hanno portali open data federati e delle politiche di accompagnamento per i Comuni). Non sono neanche tanto convinto che sia una cosa replicabile dappertutto. Prendiamo ad esempio il Trentino con ComunWeb, progetto che ha unito tutti i Comuni della PAT sotto un unico cappello di produzione dei dati sul catalogo provinciale. Ottima cosa, encomiabile e secondo me invidiabile ? Ma questo ha presupposto un lavoro che è durato anni da parte di chi gestiva il processo a livello provinciale. Immaginate una Regione come la Puglia che ha una sua partecipata e che ha fatto un piccolo (ottimo) portale Open data ma che manca completamente di una cornice di sviluppo locale a cui far riferimento per permettere ad un comune X di rilasciare dati. O anche una Basilicata o anche una Calabria. Quanti anni ci vorranno?. Tutti processi work in progress ma non definiti. Chi deve fare cosa? con quali risorse? Con quali compiti? Aspettando che il Commissario Piacentini magari entri nel merito di questa declinazione top down, rimane il quotidiano, legittimo, desiderio di un amministratore locale di dire: anche io voglio fare un governo aperto. Ma senza dati aperti, faccio un governo che parla lingue differenti con la sua comunità di riferimento. Quindi che si fa? si inizia dal basso. Che dati servono? cosa possiamo rilasciare? ce la facciamo da soli? quali sono i nostri “alleati” tra la società civile? quali risorse interne sono papabili di interessamento? abbiamo una figura manageriale che si occuperebbe del processo? Chi ci può accompagnare? quali altre PA di stesse dimensioni possiamo prendere a riferimento? etc. Le linee guida AGID possono ,anzi devono, dare la cornice formale e normativa, da seguire. Vanno aggiunte le persone. la cosa più preziosa nei processi. Molto più di norme, software e burocrazia. Senza soldati non si fa la guerra. Vanno individuati i più smart per ogni ufficio, va fatto un incontro in conferenza di servizi con dirigenti e chiamando uno dei tanti professionisti che vengono a spiegare l’utilità dei dati aperti. Non ho un elenco, sarei di parte. Ma vi prego ricordatevi il primo punto. Evitate tecnici e chi vede solo una parte di tutto l’ecosistema dei dati. se volete chiamatene molti, organizzatevi per l’open data day di marzo 2017 facendo magari convegni ed hackathon. Se volete ispirarvi potete leggere questo post per la giornata del 2016 a Lecce con ingegneri, architetti, giornalisti etc e i bravi professionisti invitati a fare formazione. Abbiamo creato il “nostro” indice partecipato sulla qualità della vita in città con tanto di mappa.

4. Con Chi?

Qui mi rifaccio agli insegnamenti ricevuti da tanti bravi professionisti che da molto prima di me lavorano e studiano in questo campo. Mi riferisco a Maurizio Napolitano, da sempre mio punto di riferimento per la teoria insieme a Matteo Brunati. A me piace applicare la teoria per cui ho sviluppato i loro insegnamenti e spesso si arriva anche a completare la teoria creando un sistema più completo, per renderlo applicabile. Purtroppo spesso i pionieri di questo mondo, vivono in contesti già molto smart (come appunto Trento o Milano). Ma gli altri 8000 Comuni non sono cosi.

In ogni PA serve individuare i “nostri uomini”. Di solito si parte da un Politico illuminato (meglio Assessore o Sindaco rispetto ad un solo Consigliere comunale). Poi vanno individuati in ordine alcuni Dirigenti (almeno uno) e vari funzionari. Come scegliere? la cosa più immediata che verrebbe in mente è quella di farli indicare dai dirigenti. Benissimo, ma non fermatevi qui. Cercate di chiedere l’autorizzazione di andare ufficio per ufficio per conoscere i primi riporti di struttura e i collaboratori più fidati. Cercate di capire chi avete di fronte: il raccomandato o lecchino del capo o persona capace che dopo 20 minuti di lamentele poi capite che è molto competente e non vede l’ora di mettere in mostra tramite il proprio lavoro la propria bravura e attività fatta nel tempo. Avete trovato chi almeno potenzialmente potrebbe avere la motivazione. Ora aggiungete una delibera che richiama le Linee Guida Agid , un incontro partecipato con stake holder individuati dalla parte Politica e avrete già la domanda e l’offerta iniziale sul piatto; le persone che riutilizzeranno i dati di loro interesse e i funzionari che non vedranno l’ora di mettersi in mostra per la loro bravura e capacità. Si chiama engagement interno ed esterno. Se volete qui trovate un bignami fatto durante il raduno annuale di Spaghetti Open data , la comunità madre (oltre 1200 iscritti) di quasi tutti gli opendatatari italiani

Questa tattica di fatto diventa una strategia nel caso di dirigenti ancora chiusi e sulla difensiva . Con la pressione dall’esterno e con il compiacimento politico di questo processo allargato, i dirigenti sono costretti a capitolare. Per lo meno diventano indifferenti e non più ostili. E’ la teoria dei vincoli insomma. I processi più duraturi sono quelli fatti dalle persone, non dagli adempimenti. Se però a tutto questo aggiungete che come “arma” ora c’è un quadro normativo, che anche se parziale e in via di affinamento, ha tracciato chiaramente la traiettoria in cui si dovranno muovere le PA, avete il quadro completo.

I portatori di interesse esterni possono essere una grande mano anche per la produzione dei dati. Esempio? immaginate un comune che volesse redigere il P.E.B.A. cioè il Piano Eliminazione Barriere Architettoniche e magari chiedere un finanziamento regionale. Sapete quanto costerebbe censire pali che restringono sotto i 90cm i marciapiedi, piuttosto che scivoli inesistenti? decine di migliaia di euro. Invece con un contributo legato alla sensibilizzazione del problema, all’ingaggio di associazioni che curano la disabilità, si possono mappare andando sul posto oltre 1440 barriere e si approfitta per dire quali attività commerciali sono accessibili da disabili in carrozzella, piuttosto che monumenti o musei o edifici pubblici. E’ quello che ha fatto il comune di Lecce con Movidabilia e 100 tra disabili e alunni di Istituti Superiori in un paio di giorni. Potete leggere qui come è andata la giornata. Tutti questi dati sono ovviamente sul portale dei dati aperti di lecce e sono anche nate delle apps per continuare nel tempo questo censimento.

Infine una strada che stiamo percorrendo a Galatone, molto innovativa e sperimentale, è quella di fare una triangolazione tra Comune, Istituto superiore Medi di Informatica e esperto esterno. I ragazzi vanno nel Comune in alternanza Scuola-Lavoro e aiutano nelle operazione quotidiane, la pubblicazione dei dataset. In questo caso aiuteranno anche il Settore Servizi Informativi a realizzare un proprio portale CKAN, il tutto con la supervisione dei professori. I ragazzi imparano a usare, produrre e riusare i dati e imparano come è difficile stare “dentro una PA”. I funzionari imparano metodo, si contaminano, si riaccendono. Faremo anche su Galatone un Bot Telegram come per Lecce per fornire “in un click” i dati grezzi rilasciati sul portale open data sotto forma di servizi per il cittadino.

5. Con cosa?

Qui devo elencare alcuni passaggi: atti amministrativi per le Linee Guida, inglobare nei PEG dei dirigenti anche gli Open data, redigere un piano di rilascio, analizzare i software non pronti per gli open data e dialogare con i fornitori per capire come adeguarli, cercare di mettere a bilancio costi per la formazione del personale, per eventi partecipati, per contest come quelli del Piemonte Visual Contest, Reggio Emilia, Lecce, Trentino etc. Bandi veri e propri in cui lasciare alla comunità di sviluppatori la libertà di fare da cerniera tra i dati grezzi e il cittadino. Da dati a servizi. Ovviamente pagando un gettone per questa opera. A Terlizzi gli open data saranno la base su cui si svilupperà il nuovo PUG di prossimo rilascio. Sono sfide nuove e non codificate. Ogni Comune è di esempio per alcuni e non può esserlo per altri. Non esiste un unico metodo. Esiste un paniere di buoni esempi applicabili. Se la PA è di medio grandi dimensioni, il ragionamento di lavorare su sistemi “automatici”, sui Linked Data, su WebServices trasversali ai settori, è sicuramente una parte importantissima del processo. Ma di PA o Ministeri o Regioni che rilasciano dati e che nessuno scarica o riusa , è piena l’Italia. Al pari del Cosa ci vuole il Con Chi?. Ecco perché non devono essere tecnici a gestire il processo ma un team multi disciplinare (parafrasando il termine dalla Scuola).

Ovvio che è la mia ricetta, con tante varianti. Ma sono torte realizzate in tante parti, non è solo teoria astratta. Migliorabile ? certamente . Purtroppo il punto è questo. Non ci sono molti “colleghi” in questo mondo. Ernesto Belisario mi adula sempre dicendo che conosce pochi open data manager come me, io rispondo: meno male per voi ?

Al di là delle battute, questo mondo è ancora studiato e poco applicato. Ci vogliono competenze nuove e non codificate in maniera universale. In tutto questo bisogna individuare il “Lorenzo il Magnifico” del digitale. Quel magnate 2.0 che ama attorniarsi di competenze che completano la sua attività politica, come dice Salvatore Marras del FormezPA parlando dell’E-Leader.

A Lecce ho incontrato l’ex Assessore Delli Noci o a Matera Tragni o in Basilicata Liberali. Ma quanti ce ne sono come loro? La PA a cambiare è molto resistente ed è ingabbiata nei suoi schemi.

L’altro giorno ho ascoltato una bella frase in un evento sulla legalità dal giudice Cosentino: la cosa giusta non è nel mezzo ma nel profondo.

La profondità l’avete solo nelle persone che sanno bene che “la superficie del mare non è il mare” come mi ripete sempre il mio amico fraterno Fedele Congedo (che invito ad ascoltare al TedXPotenza del 2016).

Cercate queste persone e con quelle iniziate i vostri prossimi passaggi per cambiare un pochettino il mondo… anche quello dei dati aperti della PA.

Approfondimenti:

ForumPA 2016 Academy – Gli Open data nella PA di piccole dimensioni

Open data Lecce – Case History – Il processo nel tempo

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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