Hashtag generation: sono teenagers gli autori che stanno conquistando il web

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Di storie di adolescenti ne abbiamo viste e lette di tutti i tipi. Storie di giovani depressi che vedono conigli cattivi (Donnie Darko), storie di giovani ricchi e annoiati alle prese con lavori à la Briatore (Gossip Girl), storie di giovani che amano i vampiri (Twilight), storie di maghi e di streghe (Harry Potter), storie di liceali molto romani (Notte prima degli esami), storie di giovani con sogni più grandi di loro (Bend it like Beckham). E tante altre storie ancora, più o meno ben costruite, più o meno verosimili, più o meno emozionali.

Parlare con i ragazzi, oggi, non è certo semplice. Ma scrivere e raccontare per loro storie in cui si possano davvero identificare è addirittura più complicato.

Per questo si tende all’iperbole (giovani ricchissimi o poverissimi) oppure si sposta la trama in mondi e realtà fantastiche, irreali, impossibili, utopiche (ma anche distopiche).

Hogwart, ad esempio.

Credits: Misa Lynn

Dopo un po’ però, i giovani si stufano anche di questo. Di storie per loro e su di loro, scritte da altri, dagli “adulti”, non sembrano volerne leggere (e manco vedere) più.

Nel cinema, il passaggio da cinema sui giovani a cinema dei giovani è avvenuto già da qualche tempo. Kids (1995) è stato scritto da Harmony Korine (quello di Spring Breakers, tanto per capirci) nel 1993, quando lui aveva 19 anni. E le webserie come Freaks hanno scosso e sovvertito le regole del gioco, rendendo gli adolescenti youtuber non solo degli influencer, ma anche e soprattutto dei produttori e dei costruttori di storie. User generated certo, ma con la giusta marcia in più per conquistare i giovani millenials annoiati o delusi dalle narrazioni più convenzionali.

Nella letteratura invece, le prime reazioni interessanti si stanno manifestando in tempi più recenti. Ovviamente, grazie alla rete e alle sue nuove regole, strumenti e possibilità.

Il punto di partenza e il grado zero di questa “reinassance” letteraria peer-to-peer è la fan fiction. Storie scritte dai fan, super lettori che si trasformano – per amore dei personaggi e delle storie a cui si sono affezionati – in autori e narratori. Amplificando le storie e i mondi e attivando meccanismi di storytelling convergenti e transmediali.

I giovani, online, hanno riscritto Harry Potter, aggiunto nuovi personaggi a Twilight, reso più normali e vicini e simili a loro celebrity come Miley Cyrus e gli One Directions.

Hanno attinto dai prodotti culturali scritti e prodotti per loro dall’alto e hanno restituito una storia di ritorno, dal basso.

La consapevolezza di rispondere all’industria culturale con la produzione di una controcultura però, nella fan fiction adolescenziale ancora non c’era. Eppure, sotto la naivetè di storie e contenuti, già si intravedeva una esigenza chiave: avere storie più vicine a quello che i giovani vivono, vedono, sentono e fanno quotidianamente.

Poi, qualche tempo fa, è arrivato il diciassettenne John Hansen, autore di storie sugli adolescenti che ricadono nel genere “young adult” (YA) ma che cercano di riappropriarsene rendendolo finalmente realistico e vero, il tutto attraverso un approccio molto divertente, ironico e digitale.

John scrive sì, ma soprattutto su Twitter dove ha lanciato un hashtag #veryrealisticYA.

#veryrealisticYA è il modo attraverso cui John condivide la sua storia, quello che gli succede, quello che pensa. Racconta aneddoti e prende posizione (sul tema della diversità, ad esempio).

L’hashtag è un pretesto e uno strumento. Filtrando i suoi tweet con quel parametro si trovano le esperienze di vita vera e a volte anche banale (tipo fare i compiti) di John, sempre raccontate attraverso un approccio molto ludico e di dialogo empatico con i suoi fruitori, che sono teen come lui e che con lui si identificano. E che infatti partecipano attivamente al dialogo usando #veryrealisticYA e interagendo con John e con la rete, attraverso un meccanismo di social reading e di sviluppo ibrido della narrazione, simile a quello impostato da Twletteratura, ad esempio.

Il segreto del successo di John e del suo hashtag è doppio.Da un lato sa scrivere e sa usare al meglio il suo medium di comunicazione, con frasi brevi, decise, spiritose e efficaci. È consapevole del suo dono (la scrittura) e dello strumento che ha deciso di usare per metterlo a frutto (Twitter). Dall’altro John dichiara di non avere proprio niente di “cool”, e anzi spesso si autodefinisce un “awkward gay boy”. Un ragazzo come tanti, con problemi come tanti e difficoltà come tanti.

Il suo approccio funziona, è vincente, arriva, crea connessioni e soprattutto genera partecipazione.

Proprio per questo John è un po’ il simbolo di uno scarto che si sta creando tra la letteratura per ragazzi aspirazionale, fatta di giovani adolescenti “super” (super ricchi, super eroi,…) e la nuova letteratura “young adult” fatta – finalmente – dai giovani che è invece reale, ironica, dal basso.

Una peer-to-peer literature, romantica e disincantata, ma anche piena di verità.

Dopotutto anche Arthur Rimbaud non aveva che 15 anni quando ha iniziato a pubblicare le sue prime poesie. Immaginate a cosa avrebbe potuto fare se avesse avuto Twitter: #unastagioneallinferno.

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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