Hate speech, come è cambiato l’odio online (e come arginarlo)

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Chi decide cosa lasciare online ha più potere del diritto e dei giudici. L’odio online è diventato una valuta, una merce di scambio. “Tutti parlano di bitcoin, ma oggi la vera valuta per ottenere consenso e profitto nel modo digitale è l’uso di espressioni d’odio”, commenta Giovanni Ziccardi, professore associato di informatica giuridica all’Università Statale di Milano. Il fenomeno delle espressioni d’odio online, il cosiddetto hate speech, è quanto mai attuale; per questo l’Unione Europea sta lavorando da qualche tempo a braccetto con i giganti tech come Facebook, Twitter e Google. L’obiettivo? La definizione di linee guida comuni per la gestione delle espressioni d’odio sulle piattaforme.

EUROPA ED USA

“L’idea vigente in Europa, secondo la quale lo Stato ha la possibilità di intervenire sulle espressioni d’odio, è molto diversa dall’approccio statunitense.

Le grandi piattaforme tecnologiche statunitensi però sono globali, nessuna di queste società ha mai pensato di avere una sede in Europa. Quindi, le grandi società tech americane hanno il monopolio sulle conversazioni degli europei. Questi accordi sono un’iniziativa positiva, ma le policy più recenti in tema di espressioni d’odio delle grandi compagnie tecnologiche si erano già avvicinate al modello europeo. Queste linee guida andranno a formalizzare una tendenza già in atto da un paio di anni, legata alla volontà da parte delle piattaforme di non urtare la sensibilità dei clienti europei e di rispettare alcuni tra i principi fondamentali indicati dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo”, spiega Ziccardi.

Tale formalizzazione influirà sulla stesura delle policy e renderà più chiara la dinamica di rimozione di alcuni contenuti dalla piattaforma.

Le piattaforme potrebbero decidere anche di attivare team dedicati al controllo delle espressioni d’odio. Questo è molto importante, perché ogni Paese richiede un’analisi specifica dei simboli e del linguaggio”, continua Ziccardi.

L’urgenza dell’intervento, spiega Ziccardi, è dovuta anche al fatto che siamo in un periodo storico particolare, l’odio online nei prossimi mesi tenderà ad aumentare: la crisi dei migranti, le elezioni negli Stati Uniti e in diversi Paesi d’Europa sono tutti avvenimenti in grado di generare sacche d’odio in rete. La necessità di creare un quadro normativo di riferimento ha posto gli esperti davanti a un bivio: conviene applicare all’odio online categorie giuridiche già esistenti – come le norme antiterrorismo o di antidiffamazione- o creare nuove fattispecie?

Quello che molti temono, nel prevedere una nuova fattispecie giuridica, è la possibilità di trasformare in martiri coloro che seminano l’odio

“Ci troviamo in un periodo storico caratterizzato da un’ iper-regolamentazione – commenta Ziccardi – L’idea del Far West giuridico online è una bufala, Internet è già abbondantemente regolamentato.

Molti vedono il problema delle espressioni d’odio come un terreno nuovo e chiedono, di conseguenza, una regolamentazione ad hoc. Siamo però nell’ambito dei reati d’opinione, è molto delicato introdurre nuove fattispecie. Per la stessa ragione, già da diverso tempo, è fermo in Parlamento il disegno di legge sull’omofobia: si è creato infatti un acceso dibattito sull’effettiva necessità di promulgare questa legge, spinti dalla paura che possa esserci un effetto opposto. Estendere alle espressioni d’odio norme già esistenti, forzandone la ratio, potrebbe essere davvero dannoso”.

La legge sull’omofobia, spiega Ziccardi, vorrebbe disciplinare l’aggravante di omofobia, perché nella tradizione delle espressioni d’odio in Europa si tendeva a coprire prettamente l’odio politico, razziale e religioso. Si ragiona ora sulla categoria dell’omofobia, perché il problema si è presentato da 15 anni a questa parte. “Quello che molti temono, nel prevedere una nuova fattispecie giuridica, è la possibilità di trasformare in martiri coloro che seminano l’odio: proibendo l’opinione o il dialogo si rischia sempre l’effetto contrario. In questo contesto, le linee guida discusse ora tra Unione Europea e giganti tech potrebbero essere una buona soluzione”.

come cambia l’odio online

Il focus dell’odio online si è spostato nel tempo, passando dalle tre macrocategorie indicate dalla normativa europea (odio politico, razziale, religioso) ad argomenti di tipo quotidiano. “Questo si deve alla facilità di discussione e di diffusione del pensiero che è insita nella rete – continua Ziccardi – Prima, l’odio legato alle tematiche comuni era confinato agli ambienti familiari o ai bar, mentre i temi politici, religiosi o razziali avevano già una diffusione molto ampia. Oggi internet ha equiparato le discussioni, basta che l’argomento diventi un topic di tendenza e arriva ad assumere un ruolo di primaria importanza nella panoramica online. Questo è, contemporaneamente, il bene e il male della rete”.

Celebre è il caso dell’odio online scaturito lo scorso anno, in seguito alle dichiarazioni di Miss Italia. “In quel caso si è trattato di odio sociale- spiega Ziccardi-. Non esiste più l’odio di una persona contro un’altra, ma ci sono decine di migliaia di persone che si coalizzano e condividono espressioni d’odio nei confronti del singolo. Anche questa è una caratteristica nuova, offerta proprio dalle dinamiche della rete: si crea un odio condiviso, che aumenta la potenza e la visibilità stessa delle espressioni d’odio”. La rete non solo amplifica il segnale degli hate speech, ma fa sì che il dato sia persistente: “Se qualcosa entra in rete e inizia a circolare, un domani potrà ripresentarsi ed è difficilissimo rimuoverlo. Il diritto all’oblio, relativamente alle espressioni di odio online, è una pura utopia”, spiega Ziccardi.

Il mondo della politica, della stampa e i grandi quotidiani hanno incorporato l’odio nei commenti, nel non intervento e negli articoli

Le persone e le istituzioni che avrebbero il compito di mitigare queste forme d’odio spesso sono i primi a fomentarle. ”Il mondo della politica, della stampa e i grandi quotidiani hanno incorporato l’odio nei commenti, nel non intervento e negli articoli. L’istituzionalizzazione dell’odio porta a un aumento del livello di tolleranza, che è molto facile da raggiungere ma molto difficile da rimuovere. Se ci abituiamo a un certo tipo di espressioni e la nostra asticella di tolleranza si alza, diventa poi difficile tornare indietro”.

Bambini, bullismo e mercato dell’odio

Secondo le statistiche Istat, i bambini ricevono oggi il primo tablet attorno agli otto anni. “I bambini si trovano immersi indirettamente in un vero e proprio mercato dell’odio, anche per questo l’Unione Europea sta promuovendo un abbassamento della soglia di tolleranza – continua Ziccardi – Questo obiettivo diventa complesso da raggiungere, dal momento che l’odio crea profitto e consenso. Alcuni politici europei sono stati condannati per l’uso di espressioni d’odio, ma alla tornata elettorale successiva hanno ottenuto percentuali altissime. Questo non deve stupire, l’odio paga”. Diversi fenomeni, come il bullismo, sono cambiati radicalmente nel tempo: non si tratta più solo di emarginare un ragazzino e non farlo giocare col gruppo, ma si parla di crimini, estorsioni su base sessuale e stalking. “Le scuole spesso si chiamano fuori dal problema e le famiglie sono le prime a dare l’esempio sbagliato sull’uso delle tecnologie”, spiega Ziccardi.

L’odio online si sviluppa e si diffonde attraverso tre fasi: volontà, incitamento e violenza

Ora siamo in un momento “in cui ci si sta facendo gli anticorpi”, come commenta Ziccardi: “Dato l’attuale contesto storico è possibile prevedere che saranno numerosi i problemi legati all’odio online , ma gli utenti apprenderanno così un più corretto utilizzo della rete”. L’odio online si sviluppa e si diffonde attraverso tre fasi: volontà, incitamento e violenza, che possono essere adeguatamente gestite attraverso tre modalità di reazione: educazione, diritto e tecnologia. “Un’opera di educazione su larga scala, soprattutto nei confronti delle nuove generazioni, inerente la comprensione del concetto di odio e dell’uso della controparola e del debunking, può direttamente influenzare la volontà di spargere odio. Il diritto invece entra in gioco quando la semplice volontà diventa un’istigazione concreta all’odio, fattispecie per la quale sono previste specifiche norme. Quando c’è la volontà, l’odio è stato istigato e sta circolando, la tecnologia può aiutare a intervenire in maniera piuttosto efficace con l’analisi semantica, l’individuazione di sacche d’odio e dei tweet che circolano in rete”, spiega Ziccardi. Gli algoritmi di analisi semantica vanno ancora perfezionati, perché a volte si registrano falsi positivi, ma un adeguato cocktail di educazione, diritto e tecnologia può essere una soluzione fruttuosa. “Non si sta ancora investendo abbastanza per migliorare l’individuazione e la ricognizione dell’odio: se si investisse la stessa cifra che al momento è destinata allo studio delle nostre abitudini commerciali, si potrebbero raggiungere risultati importanti. Il linguaggio è difficile da trattare, è molto più semplice tracciare gli acquisti su un qualsiasi sito di e-commerce, però questi esperimenti di analisi semantica sono ancora troppo indietro e meriterebbero ulteriori investimenti”, conclude Ziccardi.

SARA MORACA

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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