I 10 indizi per stanare un bimbominkia (e un manifesto semi-serio per salvare i nativi digitali dalla deriva)

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La scorsa settimana abbiamo pubblicato qui su CheFuturo! due guestpost molto interessanti. Quello di Giovanni Caturano, il guru italiano degli online games, che suggerisce le 5 risposte da dare a chi dice che le tecnologie rendono stupidi, e poi il post di Rudy Bandiera sui nativi analogici e nativi digitali.Due punti di vista molto interessanti e facilmente sovrapponibili. Rudy ha scritto di quanto sia importante che i genitori, quelli che lui definisce gli ibridi, i tecnoanalogici, spieghino e declinino il passato e il valore delle proprie radici alle nuove generazioni. Mentre Giovanni, ricordandoci di non prenderci mai troppo sul serio, ha ragionato sugli stereotipi di sottomissione alla vita digitale, e di quanto invece le nuove tecnologie (se usate bene) possono anche aiutarci a vivere meglio.

NOI, FIGLI DI BIM BUM BAM. UNO “STARGATE GENERAZIONALE”

Ho una decina d’anni in meno di Giovanni e Rudy, gli stessi che a mia volta mi separano da quella che potremmo definire la “prima release” di nativi digitali. Sto in mezzo: come una sorta di stargate generazionale. E proprio per questo forse godo di un osservatorio privilegiato, che mi consente di percepire le differenze, sottilissime e al tempo stesso abissali, tra la generazione di Goldrake e quella Justin Bieber. Perchè? Perchè mi sento parte di entrambe e di nessuna, io che vengo dalla generazione Bim Bum Bam. E non per questo mi ritengo certo migliore o peggiore di loro.

Credits: paradigmmalibu.com

Ora, se per noi che in cinque anni siamo passati dall’Amiga 600 a Windows 95 può essere semplice vivere interconnessi e vivere consapevolmente l’era digitale, lo stesso non si può dire per i figli del ventunesimo secolo.

Di quei ragazzi nati a cavallo tra gli anni novanta e duemila che se da un lato vivono sempre connessi, completamente assorbiti da ipod, smartphone e social network, dall’altro rischiano di rimanere per sempre sconnessi, scollegati, dalla realtà.

IL DECALOGO DEL BIMBOMINKIA

Quando ho iniziato a scrivere questo post volevo adottare un registro di narrazione ironico, ed ho pensato subito alle cose più banali per raccontare la “fenomenologia del bimbominkia” e tracciarne un identikit. Ne è uscito fuori questo piccolo decalogo:

    1. Un bimbominkia è quello che per capire se lo è (o come iniziare ad esserlo) cerca “bimbominkia” su Google;
    1. I bimbimonkia che cercano “bimbominkia” su Google cliccano subito i primi risultati, che sono la pagina “bimbominkia” di Nonciclopedia e la domanda “Cosa vuol dire essere bimbominkia?” su Yahoo Answers (e a scrivere queste pagine saranno stati probabilmente altri bimbiminkia);
    1. Un buon bimbominkia che si rispetti utilizza le emoticon come se piovesse: le inserisce ovunque, nello status di What’sApp e finanche nel nickname, facendo a gara a chi lo addobba di più;
    1. Per essere un bimbominkia dovrai stravolgere la lingua italiana: non ti basterà scrivere rigorosamente “in codice fiscale”, ma dovrai imparare a combinarlo al “numerese” (X 3s, s3 l3gg qt cs tr4 pr3nts 6 d4vv 1 OK);
    1. L’unica cosa che di “skuola” interessa davvero al bimbominkia è ScuolaZoo (e non sei nessuno se il tuo video non ha almeno 1000 like su Youtube e altrettanti sulla pagina Facebook di ScuolaZoo);
    1. Se non condividi ogni giorno su Facebook i video di ScuolaZoo e quelli di Francesco Sole non sei un bimbominkia (come non sai chi è Francesco Sole?!? Non sei un bimbominkia! “Cazzata!”);
    1. Un bimbominkia crede che i video dei Nirkiop siano veri, e che i protagonisti in realtà siano dei pluri-ripetenti che passano il loro tempo a fare video per Youtube;
    1. Non sei un bimbominkia se non hai all’attivo almeno un centinaio di selfie davanti allo specchio del bagno (a petto nudo e con la faccia da duro, se sei maschietto, con un super push-up e le labbra “a culo di gallina” se sei femminuccia);
    1. Gli auricolari?! Ma va là, un buon bimbominkia che si rispetti usa cuffie enormi e dai colori sgargianti! E le usa anche se non ascolta la musica: perché sono fashion!
    1. Il bimbominkia gioca sempre “alla Play”: il bimbominkia e “la Play” sono una cosa sola.

      Se non hai “la Play” non sei nessuno. E se non giochi a Fifa in remoto (con altri bimbiminkia) sei uno sfigato.

Screenshot di un video di ScuolaZoo su Youtube

LA GENERAZIONE ASSENTE

Ho provato a giocare, ok, ma l’ironia serve a entrare meglio dentro il fenomeno: conoscerlo, destrutturarlo, comprenderlo. Osserviamoli bene, quelli che comunemente chiamiamo bimbiminkia. Proviamo un attimo ad andare oltre i loro ciuffi ingellati e laccati, oltre i pigiami color evidenziatore che usano al posto dei vestiti, alle converse slacciate.

Guardiamo dentro quei loro occhialoni da sole glitterati, guardiamoli negli occhi. Riuscite a vedere qualcosa?

Ho provato più volte ad andare oltre il riflesso degli schermi dei loro smartphone sulle pupille, e ci ho trovato spesso sguardi assenti, malinconia, addirittura inespressività: come vivessero con il pilota automatico.

Mancano gli esempi, i punti di riferimento, è vero, perché questa è la prima generazione – in una società dove i genitori a quarant’anni hanno un lavoro precario – pasciuta e cresciuta da quell’arma di distrazione di massa che è la televisione, e che quando non guarda la tv vive in simbiosi con i propri smartphone.

Lo smartphone è per loro mamma, fratello, migliore amico, insegnante.

IL PROBLEMA DELLA VITA DIGITALE: RIUSCIRE AD ANDARE OFFLINE

Foto: inhabitots.com

Da quando ho fondato “Ammazzateci tutti” giro spesso per le scuole italiane per incontrare gli studenti. Quegli studenti e quelle studentesse che ai tempi in cui ho iniziato a prestare il mio “apostolato della legalità” mi erano più o meno coetanei e che oggi hanno dieci quindici anni di meno.Qualche mese fa, quando ho incontrato quelli di Bergamo, trai relatori era con me anche il prof. Aluisi Tosolini, pedagogista e referente della Tavola della Pace. Mi ha colpito molto una frase di Tosolini, che, parlando ai ragazzi presenti, ha chiesto loro e se io provassi a mettervi offline, voi cosa fareste? Se non aveste più campo, se non ci fosse la wi-fi?. E’ un’ottima provocazione, che può essere rivolta non solo a loro, ma a tutti noi, anche a quelli che Rudy Bandiera ha definito tecnoanalogici e chi come me, nato a metà degli anni ’80, potrebbe definirsi “nativo informatico”.Pensiamoci un attimo. Confesso che io stesso, lavorando con Internet e su Internet, divento quasi bipolare quando ho problemi di connessione. Parafrasando il titolo di un post di Loretta Napoleoni qui su CheFuturo!, tutti, tutti noi che usiamo la tecnologia, viviamo un po’ il tempo dell’adolescenza digitale: tra euforia e depressione.

Foto: internet

E se provassimo davvero ad andare tutti offline? Beh, io forse uscirei a fare una passeggiata. Ogni tanto ci vuole, se non altro per ossigenare il sangue (e quindi il cuore e il cervello), e poi anche per stare nella realtà, prendere un thè con un amico, vedere una partita allo stadio.Ma per questa deriva iperconnessa della natività digitale, credete esista vita all’infuori dei social network e, in subordine, della tv? Quando ci renderemo conto che la tecnologia (purtroppo) sta letteralmente flashando il cervello di questi ragazzi, che confondono la vita reale con quella virtuale e che forse finanche sognano, in digitale? Non possiamo voltarci dall’altra parte, far finta di niente, pensare che sia l’ennesima moda passeggera.

Il bimbominkia non è uno stile di vita, come essere rockettaro, punk o hiphopper. La loro è un’abitudine, uno status perenne. Non lo fanno per emulazione, questa è vita per loro. Non c’è più distinzione tra avatar e reale.

Non si corteggiano, si “pokano” e si “likano”. Non si parlano, si taggano. Non fanno sport, lo guardano (al massimo giocano al Fantacalcio, anche dopo i vent’anni). Giocano a Poker, online ovviamente. Non si innamorano, chattano sul Messenger e su What’sApp.

Penso che più che nativi digitali sarebbe il caso di definirli primitivi digitali.

Per favore, rimbocchiamoci le maniche e pensiamo a cosa possiamo fare per farli uscire da Matrix. Seriamente, sto parlando proprio a noi, ai figli degli anni ottanta, a noi che giocavamo a Super Mario e che siamo stati i primi a possedere una Playstation, a noi che vedevamo Holly e Benjy, ma che poi uscivamo a giocare in cortile: questi primitivi digitali sono ragazzi che potrebbero tranquillamente essere i nostri fratelli minori, perché – sembrerà strano – appartengono alla nostra generazione. Se già per noi non vi è alcuna prospettiva, noi che a trent’anni ancora non riusciamo a trovare stabilità economica, affettiva, amicale, cosa ci aspettiamo per (o anche da) loro, che sono nati stanchi e che non sanno neanche se sono diretti verso il baratro o verso cosa?

Questo non è e non vuole essere il manifesto dei nostalgici del Super Nintendo contro gli addicted “della Play”, non è la generazione Simpsons contro quella dei Griffin: è un appello per salvare una generazione che si sta formattando senza neanche accorgersene. Una generazione che non vive più, ma si lascia vivere. Una generazione che ha ribaltato tutto ciò che la tecnologia ha portato di buono nelle nostre vite, giovani che anziché usare le tecnologie si lasciano usare da queste.

Questo è un appello per salvare il loro presente. E il nostro futuro. Aiutiamoli a crescere, a riuscire ad affrontare la vita (anche) offline, perché aiutando loro forse aiutiamo anche un po’ noi.

ALDO PECORARoma, 4 marzo 2015

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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