«Non si crea una comunità. Le comunità esistono già e fanno ciò che vogliono». E se lo dice Mark Zuckerberg, papà di Facebook, conviene credergli. Però è anche vero che se le comunità fanno ciò che vogliono, intercettare i loro interessi e aggregarli, appassionando i partecipanti e ingaggiando con loro una dialogo costante, diventa un’arte nobile e complessa. E, in fondo, necessaria.
Perché che lo si voglia o no una community salverà il brand. Da una campagna istituzionale o commerciale, da un lancio di un prodotto o di un servizio. Ma una community sanzionerà anche il brand, magari rispetto ad una dichiarazione poco felice se non addirittura inappropriata, determinando sempre di più un impatto nelle strategie comunicative e di business dell’azienda.
E’ successo qualche mese fa per il World Nutella Day, e pochi giorni fa per il boicottaggio Barilla. Se l’impresa ha saputo intercettare nel tempo e con costanza una community ad alto valore, motivandola e gratificandola, ecco che quella stessa community diventerà ambasciatrice del brand. E questo vale un po’ per tuti gli ambiti e settori, dalle multinazionale alle Piccole e Medie Imprese, dalle organizzazioni del Terzo Settore fino alle Pubbliche Amministrazioni più illuminate.
Ascoltare, condividere, dare un feedback non è cosa semplice e non è affatto operazione scontata. Lo abbiamo più volte raccontato anche dalle colonne di Che Futuro sia parlando delle azioni di una community, sia esponendo i passi falsi da evitare. Però questo terreno è sempre impervio, scivoloso, fatto di eccezioni più che di regole.
E così a parlare spesso sono le best practices, le esperienze di successo che sono riuscite ad imporsi e a diventare di fatto sistema. E’ attraverso l’analisi degli attori che con successo operano nell’ecosistema digitale che si riescono a capire le buone pratiche.
Così ho deciso di raccontare trenta casi di successo di brand community italiane, trenta esempi da seguire se si vuole imparare a dialogare in rete, nella nuova edizione del mio manuale “Vendere con le community” edito da Gruppo24Ore.
Il libro prende in esame il ruolo delle community come scelta strategica per incrementare il business, suggerendo come il dialogo sul web permetta di vendere un prodotto o un servizio, un’idea, addirittura un brand. Il manuale racconta web tv, blog, piattaforme social, forum e contest che hanno saputo intercettare community online.
«Costruire una comunità intorno al proprio business richiede un grande sforzo ma paga sia in coinvolgimento da parte dei già sostenitori del brand sia come percezione positiva tra i potenziali clienti» ha dichiarato Shannon Good. «Anche mentre si dorme vi è una community là fuori pronta a promuovere e raccomandare il prodotto attraverso i canali digitali», ha affermato Jennifer Lopez Sable di SEOmoz. Ed è vero: le brand community non si fermano mai, sono costantemente attive perché espressione di una moltitudine di “netizen” che partecipano.
Ma allora come è possibile costruire mattoncino dopo mattoncino una brand community? Ecco che in questo post pubblicato su Savvypanda.com sono suggeriti cinque consigli. La traduzione è una mia personale rielaborazione, ma qui trovate il post in originale.
Consiglio uno: essere accessibili
Offrire un servizio clienti anche online efficiente e feedback costanti e in tempi celeri: solo così si comprenderà che l’organizzazione si prende davvero cura del cliente. Per essere efficace occorre comunicare attraverso molteplici punti di contatto, sui diversi social e piattaforme.
Consiglio due: fare della propria personalità una priorità
La tecnologia di comunicazione automatizzata è stata una manna dal cielo, ma non può e non deve sostituire il tipo di rapporto costruito attraverso conversazioni reali. Occorre prendersi il tempo di comunicare in modo autentico ai clienti: solo così il brand risulterà davvero amico e non un mero prodotto.
Consiglio tre: Non basta riconoscersi, occorre impegnarsi
Anche se la condivisione di contenuti generati dagli utenti è un ottimo modo per far esprimere apprezzamento per la vostra community, queste azioni non esauriscono la motivazione all’ingaggio. Occorre stimolare il confronto, presidiando la conversazione.
Consiglio quattro: essere generosi, ma non troppo generosi
Quando i clienti chiedono sempre più l’azienda tende a promettere (salvo poi non sempre mantenere). E poi ci sono anche alcune aziende che fanno l’errore di dare troppo gratuitamente, nel tentativo di comprare la fidelizzazione al marchio. Questa strategia non è sostenibile. Va bene premiare coloro che hanno promosso il tuo brand, ma in modo misurato, senza creare precedenti.
Consiglio cinque: padroneggiare l’elemento sorpresa
Le aziende smart si stanno concentrando su come sorprendere i propri clienti in modi inaspettato. E’ il famoso effetto wow, quello che crea novità e coinvolgimento reale. Anche offline. Perché – è bene ricordarlo sempre – una community vive in ambiente digitale, ma le conseguenze delle sue conversazioni, quando sono efficaci, sono visibili anche in un contesto reale.
GIAMPALO COLLETTI