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Ian Murdock, papà di Debian e della “do-ocracy”, ci ha lasciati

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Apro il mio armadio e recupero una vecchia maglietta. L’ho comprata 10 anni fa sapendo che, quell’acquisto, coincideva anche con una donazione ad un progetto di software libero molto importante. È grigia, con un logo porpora chiaro che qualcuno interpreta come una “chiave di basso”, anche se il termine più corretto è “swirl” (vortice). Si sviluppa come se fosse un “fumo magico” che parte dal puntino sopra la “i” della parola DEBIAN sotto riportata.Chi è cresciuto nelle comunità hacker, chi si è avvicinato al mondo dell’open source per poi capire che è più corretto chiamarlo software libero, sa bene di cosa sto parlando. Si tratta di una distribuzione GNU/Linux – quindi un sistema operativo – con delle caratteristiche particolari per quella che è la modalità di sviluppo e manutenzione.

Una storia molto bella che in questi giorni sta versando delle lacrime.

Il creatore di Debian ci ha lasciati e non sappiamo perchè

Debian è l’unione di due nomi di battesimo: Debra e Ian.Ian Murdock è la persona che, nel 1993, fondò il progetto; Debra invece era la findanzata del tempo divenuta poi la sua (ex-)moglie.La comunità Debian e tutta quella del software libero sta piangendo la scomparsa di Ian a soli 42 anni. Le circostanze del sue decesso sono poco chiare (si parla di suicidio, depressione ecc.).

Non sono qui però per raccontare di questo. La mia intenzione è, invece, sottolineare come questa persona ha dato vita ad un progetto dirompente che ha coinvolto tantissime persone nel mondo e che continua a dare grandissimi contributi.Bruce Perens – una delle persone di maggior rilievo nel movimento open source – lo ricorda per la sua capacità di creare qualsiasi cosa dal nulla:

Ian is one of those rare people who can make something from nothing.

Lo stesso logo di Debian non è altro che la metafora di questa capacità di Ian.Sempre Perens vede quel turbine come un “fumo magico”. In ingegneria elettronica si considera quel fumo magico che avviene con l’ultima saldatura di un componente quella sorta di “spirito” in grado di farle funzionare. Debian pertanto assume quel “potere” di dare vita ad un computer.

La capacità di Ian è stata, prima di tutto, di creare un progetto collaborativo dove l’intelligenza collettiva da vita a questa magia.

Ian non ha creato Debian come il progetto di un singolo o di una singola azienda, ma come il progetto di un collettivo. Il punto di partenza è dato dal manifesto che lui ha scritto. Un testo che evidenzia la necessità di creare una comunità di persone che lavora nella creazione e manutenzione di un bene comune: una raccolta di software eterogeneo, ma di qualità e che rispetta la libertà dell’utente da installare su qualsiasi tipo di dispositivo dotato di un microprocessore (dal laptop allo smartphone).

Il progetto Debian è, pertanto, prima di tutto una comunità in costante crescita che si è data delle regole e dei leader (fra questi il già citato Bruce Perens e l’italiano Stefano Zacchiroli).

Partecipare al progetto vuol dire sottoscrivere il Contratto Sociale Debian, di cui riporto solo i cinque principi fondamentali:

1. Debian rimarrà libera al 100%,2. Renderemo alla Comunità Free Software,3. Non nasconderemo i problemi,4. Le nostre priorità sono gli utenti ed il software libero,5. Opere che non rispettano i nostri standard free software.

Cinque principi che evidenziano l’impegno di costruire un bene comune.

Una regola importante fra gli oltre 1.000 sviluppatori che contribuiscono a Debian è quella della do-ocracy, la fare-crazia ovvero la democrazia del fare.

Si tratta di una forma di organizzazione dove i singoli, quando propongono, poi si prendono anche la responsabilità di portare a termine il risultato incontrando spesso l’appoggio degli altri.

Molti sono i contributi che Debian ha dato e sta dando alla nascita di molti progetti. Il più famoso è, senza ombra di dubbio, il progetto Ubuntu dell’azienda Canonical.

Sul piano strettamente tecnico, una delle più grandi genialate è stato l’Advanced Packaging Tool, meglio noto fra gli “smanettoni” come apt-get attraverso cui installare il software disponibile attraverso il download su internet. Funzione che ha ispirato le modalità di installazione di software (app) per i vari sistemi operativi di smartphone.

Ian Murdock ci ha regalato questo molto altro ancora (attualmente stava lavorando per Docker). Lui ora non c’è più, ma ha tracciato un percorso molto importante per le società odierne. Quello che l’economista statunitense Jeremy Rifkin vede come il percorso attuale dell’innovazione fatto dalla condivisione piuttosto che sull’individualismo creando beni comuni.

Grazie Ian, buon riposo.

Continuerò ad essere orgoglioso di quella mia vecchia maglietta del suo “potere magico”.

Nota dell’editor: A causa di una svista il giorno della pubblicazione dell’articolo, era stata erroneamente indicata la città di New York come luogo del decesso di Ian Murdock, che invece è decedeuto nella città di San Francisco. Ce ne scusiamo con gli amici e i lettori.

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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Scritto da chef

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