Che il clima stia cambiando non è certo una novità. Chi ama il giardinaggio si accorge che ogni anno la stagione inizia un po’ prima degli anni precedenti, chi ama la montagna, e ritorna spesso negli stessi luoghi, si rende conto che i ghiacciai si stanno riducendo e, contemporaneamente, la vegetazione sta salendo, grazie all’aumento delle temperature.
Benchè questi effetti siano sotto gli occhi di tutti, gli scettici del cambiamento climatico non mancano: dicono che si tratta di effetti per lo più locali che si inseriscono nel panorama delle normali fluttuazioni del clima. Per convincerli che non si tratta né di effetti locali, né di fluttuazioni, sono stati sviluppati degli affascinanti progetti fotografici che sfruttano il patrimonio di immagini storiche disponibili per moltissime regioni del mondo.
Trovata una foto datata di una determinata localiltà, basta ritornare nello stesso posto nello stesso periodo dell’anno e fotografare di nuovo lo stesso paesaggio. Qualsiasi coppia di foto contiene informazioni interessanti. In Cina si sono concentrati sulle risaie e hanno scoperto che, mentre 100 anni fa in giugno le foto riprendevano i contadini che piantavano il riso, adesso a giugno le piante sono già cresciute a provare un avanzamento di circa un mese nei tempi della coltivazione.
La cosa importante è avere la data della foto, non solo l’anno, ma il mese e, se possibile, il giorno.
Se trovate foto di nonni nel giorno del matrimonio o in viaggio di nozze, oppure avete foto ripetute in luoghi di vacanza abituali, potrebbe valere la pena di osservare con attenzione i dettagli del paesaggio.
Gli alberi, i fiori del prato, le montagne sullo sfondo potrebbero permettervi di fare una stima “personale” del cambiamento climatico e convincervi che non si tratta di un fenomeno passeggero.
Sono effetti di quello che si chiama riscaldamento globale dovuto alla continua produzione di gas serra da parte dell’uomo. Diminuire, o almeno non aumentare, la quantità di anidride carbonica che viene liberata nell’atmosfera è stato argomento di animate discussioni in numerose riunioni internazionali che hanno prodotto risoluzioni e protocolli il cui successo è stato alquanto limitato. Per limitare l’immissione di gas serra occorre fare investimenti verso le energie alternative. Investimenti significano spese e non è un mistero che molte nazioni, a cominciare dagli Stati Uniti, sono state restie a sottoscrivere impegni che avrebbero rischiato di rendere meno competitive le loro industrie.
Gli sforzi delle nazioni più ricche sono stati ulteriormente indeboliti dalla crisi economica e ogni effetto benefico è stato cancellato dall’aumento di emissioni dalle nazioni in crescita come Cina e India. Risultato: l’immissione di anidride carbonica non diminuisce e la temperatura del nostro pianeta continua a crescere. Questo provoca lo scioglimento dei ghiacciai (specialmente in Groenlandia) con aumento del livello del mare, lo scioglimento del permafrost del nord siberiano e canadese, con liberazione del metano intrappolato da epoche geologiche. Dal momento che il metano è un potente gas serra, la sua immissione nell’atmosfera è destinata a peggiorare la situazione. Anche se, come per magia, si riuscisse a controllare da subito la quantità di anidride carbonica, i danni già fatti sono qui per restare e l’umanità si deve organizzare per imparare a vivere in un mondo più caldo, con il livello dei mari in aumento e con una maggiore frequenza di eventi climatici estremi.
Per questo, il nuovo rapporto (il quinto) dello Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) si intitola Climate Change 2014: Impacts, Adaptation and Vulnerability.
E’ un titolo che fa pensare perché è la prima volta che un rapporto sul cambiamento climatico (preparato da 309 autori provenienti da 70 nazioni) si concentra sugli impatti del riscaldamento globale e sulle azioni da fare per cercare di adattarsi alle nuove condizioni che creano nuove aree di vulnerabilità. E’ un cambiamento importante rispetto ai rapporti precedenti che si concentravano sulle azioni da fare per limitare l’immissione di gas serra, adesso si parla delle azioni da fare per prepararsi ad affrontare le conseguenze dell’aumento della temperatura (continuando, ovviamente, a fare sforzi per limitare i gas serra). E le conseguenze potrebbero essere drammatiche perché “nobody on this planet is going to be untouched by the impacts of climate change” come ha dichiarato Rjendra Pachauri il capo dello IPCC, il gruppo che, insieme ad al Gore, ha ricevuto il Premio Nobel per la pace nel 2007.
Quasi tutto quello che coltiviamo reagisce malissimo alle ondate di calore e alla scarsità di acqua. E’ quindi facile prevedere che temperature più elevate causeranno una diminuzione delle produttività agricola. Un’umanità che continuerà a crescere avrà a disposizione meno cibo. Le risorse idriche, già piuttosto problematiche, sono destinate a diminuire, rendendo l’acqua sempre più preziosa. Assisteremo alla desertificazione di vaste aree nella regione mediterranea, mentre l’innalzamento del livello del mare metterà a rischio aree vastissime e molto popolate come il Bangladesh, oltre a numerose isole. Anche l’Olanda è a rischio, potreste pensare. Avete ragione, ma l’Olanda è preparata, ha investito moltissimo sulle protezioni costiere, una cosa impensabile per il Bangladesh.
(Questa mappa è opera del graphic designer slovacco Jay Simons che ha immaginato l’Italia nel 2100)
Questo ci porta al nocciolo della questione: i più poveri del mondo, che non hanno contribuito per nulla al riscaldamento globale, saranno le sue prime vittime. Saranno le nazioni meno sviluppate a soffrire di più per la scarsità di cibo e di acqua, oltre ad essere le più vulnerabili agli eventi climatici estremi, quali siccità o piogge torrenziali. Nel rapporto si cerca di quantificare quanto potrebbe essere per un equo indennizzo e si arriva a 100 miliardi di dollari all’anno.
Agire per mitigare gli effetti del riscaldamento globale è costoso, ma non agire, e lasciare che gli eventi ci colgano impreparati, potrebbe costare molto di più, dicono gli esperti. Ovviamente non tutti sono d’accordo (specialmente le nazioni che dovrebbero pagare) e la cifra, benché presente nella versione integrale di 2.500 pagine del rapporto, è stata cancellata nella versione riassunta di 48 pagine, che sarà quella più letta dai politici. La decisione di evitare cifre esplicite nello executive summary è il risultato di una serrata negoziazione, ma non eviterà che i leader delle nazioni più a rischio torneranno a presentare il conto.
Ne va della loro sopravvivenza e del futuro di noi tutti.
Roma, aprile 2014Patrizia Caraveo