Negli ultimi sette anni ho esplorato il regno della comunicazione della scienza, convinta dell’importanza di creare un ponte tra design e ricerca scientifica attraverso la collaborazione con scienziati e ricercatori. Mi sono immersa con ostinazione in luoghi spesso lontani dai circoli dove il design brilla in tutto il suo splendore, non senza alcune crisi di identità!
Creare ponti è una sfida, perché bisogna familiarizzare con diversi linguaggi, modi di pensare e di sostenere le proprie idee. La formazione in ingegneria e in design, la passione per la scienza e per la bellezza, l’amore per il pianeta e per i suoi invisibili miracoli sono il motore di quella ostinazione che porta me ed una vasta comunità di designers a vedere il design come strumento di innovazione sociale, advocacy, attivismo.
Il vantaggio di lavorare a stretto contatto, quotidiano, con gli scienziati è che si ha l’opportunità di scavare nei contenuti in un modo straordinario. Il dialogo non si ferma mai e, attraverso quel dialogo, diventa chiaro come utilizzare il design e i suoi processi al fine di progettare la comprensione di dati e informazioni, con lo scopo di fornire uno strumento di analisi o uno strumento decisionale.
Il mio viaggio è cominciato con le parole data-visualization ed info-graphics ed è continuato con un uso sempre più frequente delle parole presentation of data and information, perché la parola presentare mi sembra sia un po’ meno ancorata all’aspetto puramente visivo di ciò che può permetterci di comunicare con efficacia, generando comprensione. La comprensione è un tassello importante perché precede cambiamento ed azione ed è il risultato dell’equilibrio di molti fattori.
La scienza ci aiuta a capire la relazione tra questi fattori. Ci aiuta a capire come questo misterioso processo di comprensione avvenga, offrendo supporto a chi fa design dell’informazione o a chi si occupa di comunicare la scienza o informazione complessa.
Fare in modo che l’informazione che comunichiamo sia comprensibile per chi la riceve e sia comunicata in modo da toccare le corde giuste è vitale per dare al nostro interlocutore il potere di capire ed agire, per preparare il contesto in cui un cambiamento positivo possa avvenire, per generare soluzioni e progettare strumenti che mettano uno, cento, milioni di essere umani nella condizione di generare essi stessi delle soluzioni.
Quando l’oggetto della comunicazione è la scienza del cambiamento climatico o l’informazione medica basata su prove di efficacia (evidence-based medicine) progettare comprensione, affinché diventi azione e cambiamento, è un’impresa non semplice.
In questi ultimi sette anni ho collezionato insegnamenti preziosi ed ho soprattutto sperimentato il valore del contenuto ed il valore del significato.
Analizzare a fondo il contenuto con la guida degli scienziati e degli esperti è un passo imprescindibile per capire quale narrativa dobbiamo scegliere. Per capire come comunicare con chiarezza attraverso un giusto equilibrio tra immagini e parole. Come servirci del design, della bellezza, del senso di meraviglia.
Ho imparato quanto sia importante un solido dialogo con gli scienziati per pianificare una comunicazione corretta ed efficace. Senza quel dialogo comunicare la scienza può diventare una cosa rischiosa. Inconsapevolmente possiamo finire per concentrarci su miti piuttosto che verità, su messaggi che sono fuorvianti o dannosi.
Ho imparato che il contenuto, sia esso sotto forma di numeri o parole, contiene sempre un grado di incertezza ed errore ma ci può rivelare trend straordinari. Ho imparato come sia importante partire dai numeri, ma andare oltre i numeri, perché quei numeri sono contenitori di migliaia di storie.
Più di tutto ho imparato che essere o diventare esperti di un contenuto non è garanzia che ciò che comunicheremo verrà compreso. Ho imparato come sia difficile accendere la fiamma dell’interesse in chi ci ascolta. Ho imparato che comprendere è un processo alquanto complesso che coinvolge non solo la ragione, ma anche le emozioni e le percezioni.
Ho imparato che la complessità della natura umana può facilitare o minare la comprensione, anche quando sull’informazione comunicata c’è consenso scientifico.
Ed è qui che la sfera del significato entra in scena ed entra in scena con una breve storia che ho appreso da Arthur Lupia, professore di scienze politiche all’università del Michigan e professore all’UoM Institute for Social Research.
Una Passeggiata nel Bosco
Tornate indietro nel tempo a quando eravate ragazzi. Immaginate che la vostra casa era vicinissima ad un immenso bosco. Ciascuno di voi spendeva tanto tempo in questo bosco, a giocare ed esplorare. Una volta diventati adulti nessuno metterebbe in dubbio la vostra conoscenza del bosco.
Un giorno voi ed uno dei vostri più cari amici decidete di fare una camminata nel bosco e c’è una tempesta. Il vento è terribile, la pioggia e i tuoni sono forti a tal punto che voi ed il vostro carissimo amico vi perdete.
Voi conoscete il bosco benissimo e riuscite a ritrovare la strada per arrivare a casa, ma il vostro amico no. Il vostro amico è ancora lì intrappolato da qualche parte. Dunque il vostro compito è mettere il vostro amico in salvo. Bene, in questa situazione pensate: ‘chi meglio di me può mettere in salvo il mio amico, dopo tutto nessuno metterebbe in dubbio la mia conoscenza di questo bosco’.
Ma è questo il punto, per mettere in salvo il vostro amico ci sono due cose che dovete sapere:
– una è conoscere il bosco
– una è sapere dove si trova il vostro amico.
Arthur Lupia ci ricorda che uno degli errori che si commettono, soprattutto quando si raggiunge una certa competenza ed esperienza su un argomento, è di credere di sapere dove il nostro amico si trova.E allora è come urlare: ‘Fai tre passi a sinistra’ ed il nostro amico sbatte violentemente contro un albero o cade nel fiume, perché crediamo di sapere quale sia il suo punto di partenza, ma in realtà non sappiamo dove il nostro amico si trova, non sappiamo cosa vede. Dunque le indicazioni che offriamo, il consiglio che vogliamo dare, la scienza che cerchiamo di comunicare non fa click nella testa di chi ascolta, non arriva ai nostri interlocutori.
Esperienza e conoscenza non sono sufficienti per progettare comprensione, il punto di partenza è sapere cosa il nostro target audience vede.
Conoscere il più possibile a chi stiamo comunicando la nostra informazione e avvicinarci al nostro interlocutore sono punti imprescindibili al fine di comunicare con efficacia. Spesso ci si concentra sull’importanza dello story-telling, credo però che dovremmo parlare non solo di story-telling (il raccontare una storia) ma soprattutto del processo di story-listening (l’ascoltare una storia).
- Il primo è teller-centric, è incentrato su chi racconta.
- Il secondo è listener-centric, incentrato su chi ascolta.
Dovremmo cercare di anticipare il più possibile quello che la nostra storia diventerà nella mente di chi ascolta. Se comprensione e azione sono il nostro obiettivo, la storia che raccontiamo, sia essa fatta di parole o di numeri, di suoni o di immagini, dovrebbe diventare un viaggio nella mente di chi ascolta, guarda, legge, un viaggio che comprende tutte le fermate necessarie per permettere all’audience di raggiungere comprensione ed azione.
Fino a pochi anni fa credevo che la chiarezza fosse sufficiente per arrivare ai miei interlocutori. Ma mi sbagliavo. Ho imparato che la chiarezza può non sortire alcun effetto, non importa quanto il messaggio sia ben strutturato e bello da vedere, non importa quanto affidabile sia la fonte dei dati che uso, e non importa neppure quale sia il grado di scientific literacy o numeracy del nostro audience.
Ho imparato che l’informazione che vogliamo comunicare è importante, ma è importante soprattutto che il nostro audience capisca cosa fare di quella informazione ed è importante pianificare che tipo di esperienza, sensazioni, emozioni accompagneranno la comunicazione di quel messaggio.
La scienza ci dice che la capacità umana di comprendere non si basa puramente sulla facoltà di ragionamento logico, ma anche su meccanismi emotivi. Uno degli scienziati più autorevoli in merito è il Prof. Daniel Kahneman. Premio Nobel in Behavioural Economics, è considerato uno dei più influenti psicologi del mondo ed è autore di un libro popolarissimo, Pensieri Lenti e Veloci che riassume i risultati dei suoi studi straordinari.
Kahneman ci dice che ci sono due modalità di pensiero che caratterizzano l’essere umano e che lui chiama in maniera fittizia Sistema 1 e Sistema 2.
- Il Sistema 1 produce quelle azioni che chiamiamo automatiche e quei pensieri che chiamiamo intuitivi. Produce quelle azioni come evitare un ostacolo quando guidiamo, o evocare un’emozione se vediamo una foto di nostra madre. Il Sistema 1 è il sistema veloce.
- Il Sistema 2 produce il tipo di azioni che richiedono lavoro mentale e il tipo di pensieri che chiamiamo intenzionali. Il Sistema 2 produce azioni come leggere una mappa o compilare un modulo. Il Sistema 2 è il sistema lento.
Kahneman ci dice che quando pensiamo a noi stessi ci identifichiamo con il Sistema 2, il sé conscio e raziocinante che ha delle convinzioni, che opera delle scelte e decide cosa pensare e fare, ma quello che invece succede è che è l’istintivo e veloce Sistema 1 alla guida per la maggior parte del tempo.
E’ il Sistema 1 che fornisce le impressioni che si trasformano nelle nostre convinzioni, è il Sistema 1 a dare una tacita interpretazione di quello che accade intorno a noi e alla realtà intorno a noi, è il Sistema 1 la fonte degli impulsi che spesso diventano le nostre scelte e le nostre azioni. Crediamo al Sistema 1 e a quello che il sistema uno ci racconta.
Il Sistema 1 interpreta la realtà e le informazioni che ci vengono trasmesse producendo storie che siano coerenti e che si adattino al nostro network di idee a valori. Per il Sistema 1 la coerenza non è coerenza logica ma coerenza emozionale e associativa, vale a dire una forma di coerenza che dipende da quanto l’informazione che riceviamo è adattabile al nostro network di idee e valori. E’ una forma di coerenza che dipende dal senso, dal significato che noi attribuiamo a quella informazione.
Kahneman ci dice che quando comunichiamo non dovremmo mai dimenticare di parlare al Sistema 1 dei nostri interlocutori e non dovremmo mai dimenticare che, per il Sistema 1, il grado con cui l’informazione si avvicina al sistema di valori dell’interlocutore può avere un peso maggiore dell’evidenza scientifica su cui quell’informazione si basa. Comunicare l’evidenza non è condizione necessaria e sufficiente perché l’informazione venga compresa ed accettata.
Dan Kahan Professore in Psicologia alla Yale Law School e membro della US National Academy of Sciences è leader di un progetto che ha il nome di Cultural Cognition. Con il suo team conduce studi relativi alla scienza di comunicare la scienza e sottolinea che la scienza di comunicare la scienza poggia su diversi pilastri come la psicologia o le scienze sociali. Le sue ricerche hanno lo scopo di chiarire il processo attraverso cui noi cittadini siamo in grado di capire le scoperte scientifiche e di capire le conseguenze di quelle scoperte sulla nostra vita.
Dan Kahan suggerisce una comunicazione a due canali: il canale del Contenuto ed il canale del Significato.
Da un lato utilizzeremo il canale del Contenuto, vale a dire avere un messaggio chiaro, presentato in un modo che sia comprensibile per il nostro audience. Dobbiamo fare in modo che i dati vengano organizzati in chunks, in piccoli blocchi facili da assimilare. Dall’altro lato non dobbiamo trascurare il secondo canale, importantissimo, il canale del Significato. Noi esseri umani valutiamo l’informazione che ci viene comunicata, sempre, prima, ad un livello inconscio e valutiamo, a livello inconscio, quanto questa informazione potrebbe influenzare negativamente o positivamente la nostra vita, quello in cui crediamo e l’appartenenza ai gruppi sociali a cui siamo legati. Se l’informazione che riceviamo compromette i nostri valori, le nostre relazioni, anche se l’evidenza scientifica è forte, saremo portati a rigettare quell’informazione e non faremo che innescare quell’effetto che la psicologia definisce flying mechanism: reagiamo come un cerbiatto impaurito che rimane immobile pietrificato per qualche secondo e poi scappa via.
Paura, minaccia, severità, aggressività, previsioni catastrofiche e apocalittiche sono di solito il primo passo verso la non comprensione, verso il non ascolto, verso la non azione.
Gioia, senso di meraviglia, bellezza, ottimismo possono fare in modo che un messaggio chiaro e ben progettato venga ascoltato, venga accettato, venga assimilato e diventi azione.
La scienza ci può guidare nel progettare come comunicare con efficacia ed è la scienza che ci dimostra e ricorda che i nostri interlocutori hanno tutti qualcosa in comune, siano essi policy maker, bambini, insegnanti, imprenditori, agricoltori, maggiordomi, negozianti: sono tutti esseri umani, hanno in comune cuore e cervello. Contenuto e significato, storytelling e story-listening, rigore scientifico ed emozioni sono strumenti essenziali perché, semplicemente, possono soddisfare la complessità della natura umana.