Il dettaglio, il bersaglio e la nuova partita del giornalismo (ancora sui 600 posti della Apple)

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Il dibattito svoltosi in rete tra il digital champion Riccardo Luna e l’organizzatrice del Festival del giornalismo di Perugia, Arianna Ciccone, sul tema degli investimenti napoletani di Apple ha fatto emergere posizioni diverse sul ruolo del giornalismo nel raccontare il mondo che cambia. Ecco di seguito l’opinione di Riccardo Luna sotto forma di lettera ad Arianna Ciccone.

Credits: irevolutions.org

Cara Arianna

Dopo aver pubblicato la tua precisazione (non una rettifica, per me), vorrei provare a spiegarti il mio punto di vista sui 600 posti di lavoro della Apple a Napoli. Perché secondo me ci sono due profili che chi cura il più importante festival italinao del mondo di giornalismo non può sottovalutare. Anche se detesta, o giù di lì, il presidente del consiglio.

Ma a me non interessa il presidente del Consiglio in questa vicenda.

Mi interessa con te, che te ne occupi con passione ogni giorno da anni, capire come si fa buon giornalismo.

Allora ti riepilogo come ho vissuto questa cosa io. Il giorno in cui Tim Cook era a palazzo Chigi c’ero anche io come è noto e in quell’occasione a tutti noi lì presenti era chiaro di cosa si trattava: dell’apertura di una scuola per sviluppatori di applicazioni, per 600 studenti l’anno. Era chiaro perché così recitava il comunicato ufficiale della Apple diramato il giorno prima e perché così aveva dichiarato a caldo il presidente del Consiglio al mattino. (Mi ero perso la puntata notturna di Porta a Porta ma questo, come ti dirò dopo, non lo trovo influente nella vicenda).

Insomma, una scuola per 600 studenti che così potranno imparare a sviluppare applicazioni per telefonino e crearsi un lavoro. Perché questa è la digital economy. E perché sul mercato c’è un bisogno incredibile di bravi sviluppatori e perché se sei un bravo sviluppatore il tuo mercato non è l’Italia ma il mondo. Insomma, questo era.

I titoli dei giornali sui posti di lavoro creati da Apple

Quel giorno tutti i giornali o quasi titolavano sui 600 posti di lavoro. Tralascio i commenti di quelli che hanno detto che Apple apriva in Italia e al sud perché così paga meno tasse (il concordato fiscale è tutta un’altra storia, come sa chiunque si informi); e quelli che hanno detto che vengono da noi perché gli sviluppatori costano meno (e mica li paga Apple! Venderanno le loro app sul mercato).

Tralascio la spazzatura che ho letto a caldo da parte di chi aspetta qualunque notizia per criticare e che quindi si sarebbe indignata allo stesso modo se Apple avesse scelto Lisbona o Berlino, gridando allo scandalo perché venivamo snobbati. Quella roba non merita risposta perché palesemente in malafede.

La questione del buon giornalismo e dei posti di lavoro invece mi interessano perché presuppongono un salto culturale che non tutti hanno fatto evidentemente.

Insomma succede che un eccellente collega su un grande quotidiano fa un commento indignato o quasi per i posti di lavoro annunciati dal premier che non esistono; e chiosa contro il fatto che diventare uno sviluppatore non vuol dire avere un lavoro, anzi. Quel giorno su Medium leggo una risposta di Luca Alagna che mi ha fatto sobbalzare. Non conosco personalmente Alagna, ma quel post per certi versi era da incorniciare. Perché centra perfettamente il punto in questione. Intanto prende la prima dichiarazione di Matteo Renzi. C’è un video in rete e lo sbobina. Il Presidente del consiglio non parla di posti di lavoro ma di 600 persone. Ma qui avviene la prima incrinatura, qui sobbalzo la prima volta. Perché i siti di tutti i giornali o quasi prendono quella dichiarazione e il comunicato di Apple e titolano sui 600 posti di lavoro. Questo dimostra Alagna. E questo secondo me è grave. Tu mi hai scritto che “è un sofisma”. Secondo me no:

se il presidente del Consiglio o l’ultimo passante ti dicono una cosa tu non titoli un’altra cosa perché fa più figo o fa più clic sul sito. Mai.

E tu lo sai visto che frequenti il meglio del giornalismo anglosassone. E guarda che in questo caso io non punto il dito contro nessuno. Quell’errore lo avrò fatto anche io tantissime volte. Ma resta un errore. Che in un giornale anglosassone non ci avrebbero permesso.

Il fact checking e il posto fisso di Checco Zalone

Tu che sei attenta, hai poi fatto il fact-checking del fact-checking e nel video di Porta a Porta, dove Matteo Renzi è stato la sera della dichiarazione su Apple, hai trovato una frase in cui anche il premier parla effettivamente di posti di lavoro. E qui veniamo al secondo punto evidenziato da Alagna e che dovrebbe farci riflettere. Tecnicamente quei 600 posti alla scuola di Apple sono per studenti, non ci piove. E il comunicato lo dice chiaramente.

Ma in senso lato chi oggi diventa uno sviluppatore di app un lavoro già ce l’ha.

Non è un lavoro con un contratto da dipendente, non è un lavoro che ottieni con un concorso, non è un lavoro come quello di Checco Zalone nel posto fisso. Ma grazie al cielo l’economia è andata avanti rispetto al quadro che ha fatto ridere milioni di italiani in “Quo Vado”. La prima repubblica forse non si scorda mai, ma il mondo è cambiato e non raccontarlo vuol dire tradire la propria missione informativa. Ecco io credo che in questi anni di cambiamenti rapidissimi, accanto all’indignazione, alla rabbia e alla paura, che sono sentimenti in servizio permanente effettivo del nostro lavoro purtroppo, il compito dei giornalisti sia di raccontare le opportunità di questo nuovo mondo. Dove accanto al diritto al lavoro, in molti casi c’è il dovere di provarci a lavorare se hai le competenze giuste. E uno sviluppatore di app può farlo, deve farlo.

Per questo concordo con chi in queste ore ha detto che 600 posti sono una stima riduttiva dell’impatto che questa scuola potrà avere (Paolo Barberis).

È un sofisma accanirsi su un virgolettato del premier e non andare alla sostanza, al messaggio intrinsecamente sbagliato che abbiamo fatto passare in questa vicenda (ovvero che l’unico posto di lavoro è il posto fisso)? No, tu aggiungendo un dettaglio hai fatto bene il tuo mestiere. Ma resta un dettaglio. Per colpire un bersaglio politico. Ma la partita che dovremmo giocare è un’altra.

Insomma, cara Arianna, io credo che aldilà delle diverse opinioni che abbiamo sul Presidente del consiglio, questa vicenda sia un invito aperto a riflettere sui nuovi confini e le nuove opportunità del giornalismo. Se ne hai voglia, possiamo continuare questo discorso al tuo festival a Perugia.

Un caro saluto.

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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