I Social Media hanno cambiato (forse per sempre) il mondo della comunicazione. Lo hanno cambiato perché costituiscono uno “shift in power“: il controllo delle informazioni non è più in mano all’editore, ma è soggetto a regole flessibili e dinamiche. A determinare queste regole concorrriamo tutti assieme: da chi è fonte di una notizia, agli editori che sanno cavalcare le onde del Web, fino a chi le notizie le fruisce. Tutto accade in sintonia, dal momento che, con un semplice click, chiunque può diventare a sua volta un’ulteriore antenna di trasmissione.
Questa rivoluzione si è manifestata in pochi anni (4 o 5 circa, dal 2007 in poi), ma oggi siamo di fronte ad una sua nuova evoluzione ancora più sorprendente. Questo processo di decentramento e distribuzione delle informazioni è stato enfatizzato e reso socialmente capillare grazie alle tecnologie mobili (smartphone e tablet).
Ciò avviene per vari motivi: aumento del tempo di connessione giornaliero, aumento della profilazione e delle informazioni personali condivise, geolocalizzazione dei contenuti e dei collegamenti.
Fin qui nulla di nuovo, ma la terza cloud – come l’ha chiamata David Reed del MIT – cioè l’avvento dell’Internet mobile, sta introducendo un nuovo fenomeno: la social discovery. Per social discovery intendiamo lo scoprire informazioni rilevanti attraverso le reti sociali.
L’esempio più famoso? TripAdvisor. Oggi molti di noi scelgono un albergo attraverso le recensioni lasciate da altre persone. Più siamo collegati a quelle persone (e TripAdvisor per ogni review ci dice se di quella persona siamo amici su facebook, o amici di amici) più ci fidiamo della recensione. Così la nostra scelta finirà per essere influenzata da questa cerchia di conoscenze.
Ma la social discovery su Trip Advisor va ben oltre questo. Possiamo scoprire tutti i luoghi dove è stato quel nostro amico delle cui recensioni ci fidiamo e finire per andare in vacanza in un posto diverso dal solito. Un posto scoperto grazie proprio ai social network.
Questo meccanismo si applica a moltissimi settori e decisioni – nonché a moltissimi momenti della nostra vita – e fa affidamento sulla sempre maggiore diffusione delle tecnologie mobili. Geolocalizzando la nostra posizione in una città scopriamo non solo i luoghi dove finiremo per cenare o dormire, ma anche gli amici che incontreremo mentre siamo lì. In alcuni casi le funzioni di segnalazione di “ciò che ci circonda” avvengono in automatico e non dovremo nemmeno segnalare dove siamo.
Sarà il nostro smartphone ad “avvisarci” per dirci cosa c’è di interessante attorno a noi. Un vero radar sociale.
Cosa succede, però, quando le scelte influenzate dalla social discovery non sono solo quelle di ristoranti e alberghi, ma cominciano a comprendere attività politiche, procedure di accesso alle informazioni della PA, relazioni sentimentali o scelte che possono influenzare la nostra salute?
Delle App di dating e “people discovery” ne aveva parlato Vincenzo Cosenza qualche mese fa qui su CheFuturo!. La strada l’aveva aperta Grindr, diventando in pochissimo tempo un vero fenomeno per il dating nella comunità gay mondiale. La luce gialla inconfondibile che emana dallo schermo dello smartphone al lancio dell’applicazione rappresenta un modo per scoprire chi all’interno di certi locali stesse consultando l’app. In sostanza, funziona da alert aprendo una nuova dimensione di discovery. Ora la stessa tecnologia è disponibile anche per gli etero con Blendr.
Ma le applicazioni della Social Discovery ormai sono ovunque. Il nostro vicino di posto in aereo lo possiamo scegliere in base al grado di relazione che ha con noi sui social network. L’olandese KLM ha lanciato Meet&Seat. La spesa che facciamo la facciamo portando con noi i consigli di amici e conoscenti che ci indicano anche prodotti più adatti a noi: l’applcazione per smartphone Fooducate sta, infatti, proliferando nei supermercati USA.
La Social Discovery funziona anche in ambiti ristretti quali il vicinato, grazie alle opinioni dei nostri vicini. Su siti quali Nextdoor.com possiamo scoprire la migliore clinica o scuola o i negozi dove ci serviremo, ma anche la via migliore dove comperare la prossima casa. Insomma, quello che mangiamo, le persone che frequentiamo e sposiamo, la scuola dei nostri figli e molto altro saranno sempre più frutto di scelte (o scoperte) rese possibili dalle tecnologie sociali e mobili.
La riflessione conclusiva che voglio condurre qui con voi trascende, però, le singole applicazioni. Quanto abbiamo visto comporta grandi opportuntià e grandi rischi e richiede un elevato grado di consapevolezza. I problemi non riguardano solo la gestione di dati sensibili da parte delle Telco e degli Over the Top. Infatti, la customizzazione delle informazioni – cioè l’elebaorazione dei dati che forniamo e che ci restituisce informazioni sempre più profilate – rappresenta sia un vantaggio che uno svantaggio.
Il giornalista e autore americano Eli Pariser la chiama Filter Bubble, titolo del suo best seller. Eli ci mette in guardia da un pericolo molto subdolo che si è infiltrato dentro il grande vantaggio rappresentato dalla gestione digitale delle informazioni. Tutti questi servizi sanno ciò che noi abbiamo detto loro, ma i dati da noi condivisi sul Web sono gli unici che essi conoscano. Quindi, questi servizi ci conoscono abbastanza poco, e basano le proprie elaborazioni su un profilo parziale.
In sostanza, più i sistemi digitali ci restituiscono informazioni profilate sui nostri interessi condivisi pubblicamente (social discovery), più perdiamo la possibilità di scoprire davvero cose nuove e sconosciute (serendipity).
Ci verranno segnalate cose, luoghi e persone sempre più vicine a quelle che conosciamo già e saremo noi stessi a stringere il cappio del sistema ogni volta che questo eliminerà di default le alternative e la diversità.
Il problema poi risulta ancora più ampio se pensiamo alle manipolazioni che possono essere condotte a danno di questi servizi sfruttando abilmente le pieghe della social discovery e della customizzazione delle informazioni. Un candidato politico potrebbe pronunciarsi a favore di un determinato provvedimento e targettare con quell’informazione solo i favorevoli e, al tempo stesso, produrre un messaggio contrario rivolgendosi in modo mirato a chi la pensa in modo diametralmente opposto.
Insomma, la social discovery ci fa sicuramente scoprire molte cose, ma al contempo ce ne nasconde altre. Oltre a leggere il libro di Pariser, non c’è un vero rimedio a questo dilemma se non prendere consapevolezza della serendipity: ogni tanto navigate a caso, comportatevi in modo imprevedibile. Magari scoprirete qualcosa che non immaginavate e che allargherà i vostri orizzonti.