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Il mix Egizio, dalle techno-mummie 3D alla ricerca sulla materia

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Il museo è in primis un ente di ricerca. La ricerca è la vita stessa di un museo e la ricerca stessa ha come sua prima traduzione l’apparato espositivo, sia che si tratti di gallerie permanenti che di mostre temporanee. Questo però è solo uno degli aspetti del museo: il museo è innanzitutto costituito da donne e uomini, che quotidianamente studiano le collezioni, cercano di comprenderne le connessioni e la composizione, sia per motivi conservativi che per studiare nuovi metodi di engagement pubblico.

Il museo egizio, che pure si è rinnovato, ha scelto di usare la tecnologia solo quando essa dà un valore aggiunto alla collezione

“La ricerca e la scoperta di nuovi manufatti alimenta il lavoro di queste persone, con una direttrice internazionale che richiama il mandato costituzionale in cui si esalta la libertà di ricerca.

Il museo deve promuovere la ricerca a chiunque sia interessato a studiare o approfondire la propria conoscenza su dei reperti o degli aspetti delle collezioni, creando una rete che permetta di convogliare i migliori esperti di un determinato tema, perché questo venga studiato e pubblicato al meglio”, racconta Christian Greco, direttore del Museo Egizio di Torino. Grazie a un approccio innovativo legato alle tecnologie e al concept stesso di attività museale, Greco è riuscito in tempi brevissimi a rilanciare il museo egizio di Torino, che si estende oggi su un’area doppia rispetto alla precedente e sta rivoluzionando il modo di intendere questo spazio culturale. “Il museo egizio, che pure si è rinnovato, ha scelto di usare la tecnologia solo quando essa dà un valore aggiunto alla collezione: il vero punto di forza dei musei è costituito dalla cultura materiale, che dev’essere fruita e trasmessa al fine di sottolinearne le peculiarità e l’importanza, soprattutto nelle sue caratteristiche di serialità e materialità”, racconta Greco.

COLLEZIONI E NUOVE TECNOLOGIE

Le peculiarità morfologiche delle collezioni, che spesso non sono perfette, vanno esaltate in quanto caratterizzate da una propria massa, uno specifico peso e delle tipicità che derivano direttamente dal tipo di materiale che l’uomo ha scelto attentamente per tale manufatto. “La copia digitale o la visione virtuale dell’oggetto non può trasmetterci questo. La tecnologia ci permette però di vedere delle cose che noi non potremmo altrimenti osservare: possiamo ad esempio ricostituire un contesto archeologico, in una quarta dimensione che altrimenti non potrebbe esistere”, continua Greco. Grazie alle tecnologie, è possibile ad esempio rivivere il momento della scoperta archeologica, a cui non avremmo potuto assistere altrimenti. “Quando abbiamo dei reperti tridimensionali fruibili in un museo sappiamo che questi sono stati ritrovati un luogo topografico preciso, in un momento storico definito.

Abbiamo già svolto questo tipo di progetto, grazie alla collaborazione con l’Istituto IBAM di Catania, che fa capo al Cnr. I video che abbiamo realizzato sulla tomba di Ka e la tridimensionalizzazione delle foto che furono scattate da Schiapparelli in quel 15 febbraio del 1906, quando per la prima volta entrò nella camera sepolcrale, hanno permesso di ricostruire il momento di quella storica scoperta archeologica”, spiega Greco.

Quello che possiamo fare grazie alla tecnologia è riconnettere tra loro i reperti che una volta appartenevano allo stesso corpus, e hanno finito per essere ospitati in collezioni diverse

Ma l’importanza della tecnologia in ambito museale crea importanti ponti, connessioni tra le opere, in grado di creare percorsi di senso che non avrebbero potuto esistere altrimenti. “Ogni grande collezione di un museo nazionale come il nostro, che si è formata nel IXX secolo, ha portato alla disiecta membra, ovvero a un insieme di oggetti che provengono da un corpus originariamente unitario, ma che poi per varie vicissitudini del mercato antiquario si sono trovate a essere disperse in diverse collezioni sparse per il continente europeo. Quello che possiamo fare grazie alla tecnologia è riconnettere tra loro i reperti che una volta appartenevano allo stesso corpus, e hanno finito per essere ospitati in collezioni diverse e lontane geograficamente. Un museo del XXI secolo può insomma riparare ai danni che sono stati fatti nel IXX”, continua Greco.

PERCORSI DIVERSI PER VISITATORI DIVERSI

Una delle sfide principali per i musei, oggi giorno, è costituita dal confronto con un pubblico che vanta esigenze intellettuali molto diverse rispetto al passato. In primis, il visitatore oggi è molteplice: non si può parlare di una sola categoria di visitatore, c’è infatti una ricca variegatura non solo anagrafica tra i fruitori del museo, ma anche culturale e geografica. “Quello che abbiamo cercato di fare è stata l’individuazione di alcuni percorsi diversi, che possano suscitare l’interesse di un pubblico variegato. Abbiamo cercato di modulare i testi in modo tale che risultino comprensibili a tutti, e nel contempo permettano quel tipo di approfondimento che spesso viene ricercato da chi visita un museo – continua Greco – I giovani, ad esempio, vogliono una fruizione più veloce e un’interazione maggiore con un apparato virtuale, un pubblico più adulto invece preferisce l’approfondimento. Cerchiamo di presentare le varie chiavi di lettura con le quali si può interagire nel contesto museale, consapevoli che ogni riallestimento è solo una delle storie che si potrebbero raccontare.La tecnologia permette la costruzione di percorsi di senso “on demand”

Oltre al valore intrinseco della collezione qui custodita, possiamo raccontare il valore della prosopografia, ovvero delle donne e degli uomini che hanno fatto un museo e che per centinaia di anni qui hanno lavorato. Altre storie possono scaturire dall’interconnessione esistente tra la cultura materiale e il tessuto socio-economico in cui essa è inserita”. La videoguida, ad esempio, è lo strumento tecnologico principe in questo contesto: permette un approfondimento maggiore rispetto a quello concepibile col solo testo presente sul pannello. È possibile fornire al visitatore l’informazione breve ma accurata per una visita veloce e un approfondimento con intervista agli esperti per chi vuole restare più a lungo. La tecnologia permette la costruzione di percorsi di senso on demand.

L’ESPERIENZA ALL’ESTERO

Al museo egizio, spiega il direttore, viene in primis chi è curioso e appassionato della storia egizia, ma non solo: tra i visitatori ci sono anche quelli che vogliono saperne di più sulle prime fotografie scattate nella storia, il pubblico appassionato alla storia Napoleonica, del Risorgimento e del periodo compreso tra i due conflitti mondiali. La lunga esperienza estera di Greco permette un confronto dagli esiti poco scontati: secondo il direttore, infatti: “ho a lungo lavorato in un museo olandese molto tradizionalista, facciamo molto più uso noi della tecnologia di quanto non facessi altrove. All’inizio del XXI secolo in Olanda si usavano molto i tavoli multimediali, che sono scomparsi nel tempo, perché ci si è resi conto che la loro presenza – se non vengono sostituiti a intervalli regolari – risulta obsoleta. Non ritengo che l’Italia sia indietro in questo ambito, anzi possiede delle eccellenze a livello internazionale per quanto riguarda la fruizione virtuale”.

Sui giovani si deve investire per il futuro dei beni culturali del Paese

Forte di queste eccellenze, però, l’Italia deve destarsi ora da un lungo sonno nel quale era crollata, certa di poter vivere di rendita data la portata dell’immenso patrimonio culturale nazionale. Ci siamo adagiati pensando all’immensità del nostro patrimonio, convinti che questo potesse parlare da sé. “Le cose non stanno così: il patrimonio culturale dev’essere capito, conosciuto, preservato, valorizzato. In questo si deve investire. Ho letto che il nuovo concorso per i funzionari ha raccolto 20mila giovani che si sono iscritti per 500 posti: si tratta di giovani molto preparati a cui sono stati posti molti paletti, che non trovano posto in questo Paese. Su di loro si deve investire per il futuro dei beni culturali del Paese”, continua Greco.

RADDOPPIO VISITATORI, RADDOPPIO PERSONALE

In Italia esiste però un deficit di investimenti nella ricerca, sia pubblici che privati. “Su questo dovremmo intervenire noi tutti: invece di fare una semplice lamentatio, ci si deve rendere conto che la risposta è in mano a ognuno di noi. Sarebbe possibile per ognuno prendere in mano le redini della situazione: se tutti i giovani d’Italia decidessero un giorno al mese di dedicare 10-15 euro a una visita museale o all’acquisto di un libro, si genererebbe un aumento tale di introiti da permettere l’investimento in ricerca. Nel suo piccolo, l’esperienza del Museo Egizio ne è una prova: il raddoppio dei visitatori ha permesso il raddoppio del personale – commenta Greco – È sempre molto facile incolpare un ente giuridico esterno, noi tutti siamo lo Stato e dobbiamo cambiare le cose”.

La tecnologia oltrepassa i limiti imposti dai nostri sensi e arriva a rendere esplorabile ciò che si riterrebbe invisibile

La tecnologia oltrepassa i limiti imposti dai nostri sensi e arriva a rendere esplorabile ciò che si riterrebbe invisibile: questo è uno degli obiettivi del Museo Egizio. “In un futuro molto prossimo, una delle immersioni che mi piacerebbe costituire sarebbe la creazione di un percorso dedicato all’archeologia dell’invisibile: quotidianamente compiamo studi archeometrici, riscopriamo i nostri reperti e conosciamo sempre di più il materiale di cui sono fatti. Guardando un vaso, ad esempio, ne osserviamo l’aspetto esterno, ma ne studiamo la composizione, comprendendo il tipo di argilla con cui è stato lavorato e il tipo di reazioni che ha avuto nei secoli. Lo stesso tipo di lavoro è stato svolto sulle mummie: grazie a delle Tac, abbiamo scoperto che sotto le bende ci sono dei gioielli splendidi e abbiamo carpito informazioni preziose sul loro stato di salute. Tutto questo sarebbe visibile anche ai visitatori proprio grazie a un percorso mirato”, spiega Greco.

IL PONTE CON IL MIT DI BOSTON

L’importanza dello sviluppo delle relazioni internazionali nel settore della ricerca ha trovato concreta applicazione in una speciale summer school che il museo Egizio ha organizzato per alcuni ingegneri del Mit, che a inizio luglio hanno creato un primo importante ponte tra Boston e Torino. “Abbiamo avutola fortuna di ospitare le eccellenze di Boston: i ragazzi avevano già sviluppato un device che permetteva la modellazione 3D delle sale in diretta, con la geolocalizzazione dei reperti, mentre il gruppo camminava per il museo. Con loro abbiamo discusso sulle modalità necessarie per far sì che la tecnologia non si sostituisca alla cultura materiale, ma diventi un ponte per renderla più fruibile ai nativi digitali. Speriamo di poter continuare a collaborare in futuro su questo tipo di progetti, anche grazie all’ ideazione di percorsi dottorali e post-dottorali congiunti. Questo permetterebbe di mettere in luce l’innata multidisciplinarietà dell’ambiente museale: qui l’archeologo può incontrare l’ingegnere di tecnologie virtuali e insieme possono studiare un sistema per conservare e valorizzare i beni conservati”, spiega Greco.

Il direttore Christian Greco

La tecnologia aiuta molto nella conservazione passiva per il monitoraggio costante, per esempio grazie al wireless

La tecnologia non cambia solo il rapporto tra visitatore e collezioni, ma rivoluziona la vita di chi lavora ogni giorno nel contesto museale. La tecnologia, ad esempio, aiuta molto nella conservazione passiva per il monitoraggio costante: è possibile infatti mantenere inalterata la temperatura e l’umidità delle teche, controllando questi parametri a distanza, grazie alle tecnologie wireless. “Dalla nostra scrivania, possiamo controllare ogni singola vetrina presente nel museo e capire dove ci sia necessità d’intervento. Anche la diagnostica archeometrica sta completamente rivoluzionando il metodo di approccio alla conservazione: non si va a consolidare un pezzo senza prima aver eseguito una serie di analisi che permettono di capire la composizione originaria dei pigmenti e gli interventi eseguiti con collanti e pigmenti lungo la storia dell’oggetto. Riusciamo così a ricostituire in pieno la biografia di intere collezioni, capendo in che modo possiamo intervenire per rendere l’oggetto più sicuro, affinché esso possa continuare a esistere per le generazioni future”, continua Greco.

MUSEI INCUBATORI CULTURALI

I musei devono tornare a essere incubatori culturali; essi sono stati visti per molto tempo come il luogo della valorizzazione e dell’esposizione, ma non concepiti come culle della ricerca. “La ricerca è innovazione e, quindi, attraverso dei percorsi mirati, il museo ritorna a essere il luogo in cui si forniscono risposte alle grandi domande esistenziali dell’uomo. In questo contesto, le scienze umane assumono un ruolo fondamentale: al di là dell’ambito specifico in cui può svolgersi la ricerca, l’uomo è interessato a capire chi è e al senso della sua esistenza. La ricerca, infatti, non è solo tecnologica: è anche comprendere un testo che si riteneva perduto per migliaia di anni, integrare la storia dell’uomo, ridatare e ricomporre una cronologia storica. In fondo, comprendere il nostro passato è indispensabile per affrontare il futuro”, commenta Greco. E se la ricerca è il cuore pulsante del museo, questa dev’essere visibile e condivisa.

Metteremo a disposizione di tutti materiale che sarà interamente scaricabile dal nostro sito

Con quest’obiettivo, il Museo Egizio sta lavorando per rendere disponibile al grande pubblico 39 metri lineari di archivio e 14.000 lastre fotografiche. “Stiamo cominciando a scansionare e spero quanto prima – ma ci vorranno almeno un paio d’anni – di poter mettere a disposizione di tutti tutto questo materiale, che sarà interamente scaricabile dal nostro sito. Proprio in questi giorni stiamo selezionando un fotografo, che sarà chiamato a fotografare tutti i nostri reperti ad alta definizione, in modo che tutti possano avere accesso a questi dati. Chiunque gestisca i beni culturali, lo fa a servizio del cittadino. Abbiamo inoltre lanciato una piattaforma di public archeology, dove poniamo al centro l’archeologia compartecipativa. Si tratta di un vero e proprio crowdsourcing, perché chiediamo a chiunque sia interessato alla ricerca di aiutarci a trascrivere i nostri archivi e a scontornare delle foto perché poi all’interno del museo si possa procedere alla modellazione 3D. Questo è il solo modo in cui i musei possono e devono affrontare il futuro”, conclude Greco.

SARA MORACA

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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