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Il movimento per la conoscenza aperta e la democrazia secondo Aaron Swartz

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Sono giorni che ci penso, e mi viene sempre in mente questa frase: If you think education is expensive, try ignorance ( Derek Bok)

Non ho mai trovato una frase migliore di questa per spiegare (a me stesso, prima che agli altri) quello che facciamo come membri di quel movimento di persone, idee e tastiere che chiamiamo open knowledge. Non so se Aaron Swartz la conoscesse (so che ne conosceva l’autore), ma mi sento sicuro nel dire che avrebbe approvato.

Aaron non era il solito hacker (e qui usiamo il termine nella sua accezione originaria: smanettone, genio informatico, qualcuno che prende una cosa, la smonta, capisce come è fatta, la migliora). Ci viene facile usare (è stata usata e abusata) la parola genio.

Aaron scrisse le specifiche del RSS 1.0 a 14 anni, fu nel gruppo tecnico delle Creative Commons a 15, cofondò Reddit a 19, contribuì a costruire una biblioteca digitale libera e a coordinare la protesta contro SOPA a 25. Forse è uno dei motivi per cui ci piace così tanto: i geni ci affascinano, ma li teniamo lontani. Sono alieni, non li capiamo. Aaron è diventato un eroe: genio, altruista, giovane e bello (gli eroi son tutti giovani e belli).

Senza togliere nulla a questo, c’è una cosa che credo davvero importante. C’è una cosa di Aaron che mi affascina moltissimo. Personalmente, credo che il genio straordinario di Aaron Swartz si riveli soprattutto nella sua meravigliosa, incredibile, feroce curiosità. Basta scorrere le sue recensioni su Amazon per vederlo: commenti a libri di filosofia politica, sociologia, pedagogia, storia dell’educazione.

Libri letti da un ragazzo per capire il mondo che lo circonda. O meglio, libri letti per capire come cambiare quel mondo, modificarlo, migliorarlo (cioè il più autentico significato dell’essere hacker).

Forse è questo il punto fondamentale.

Aaron parlava di conoscenza aperta, accesso alla letteratura scientifica, attenzione ai diritti (digitali e non). Non erano discorsi fini a se stessi. Lui parlava di cambiare il mondo, letteralmente, un pezzo alla volta. Una visione splendida di una società basata sulla collaborazione, la condivisione e i commons, i beni comuni.

Riusciamo forse a scorgere in Aaron (ce ne ha parlato lui stesso) la contraddizione di una visione utopistica, di un’intelligenza dolorosa, di una depressione che non lo lasciava in pace e che un’ultima tragica volta se l’è portato via.

Ci viene facile accostarlo al suo adorato David Foster Wallace, altro genio-meteora che attraversò bruciando i confini di vita mondo e letteratura.

C’è un lato umano di Aaron Swartz che non conosceremo mai, e di cui non possiamo parlare. Rimane giusto fermarsi davanti al mistero del suicidio (piedi scalzi, scarpe in mano, occhi chiusi), ché nessuno di noi è nessuno per dire una parola che varchi quella soglia. Di fronte al dolore (il suo, dei suoi) non sappiamo cosa fare.

Ma credo che ricordare Aaron si possa (si debba), senza farne un eroe. Possiamo continuare a parlare di ciò che parlava lui, costruire ciò che ha lasciato a metà. Possiamo leggere i suoi scritti e cercare di comprendere meglio le idee di un grandissimo intellettuale di questi anni (e ammirare la sua sconfinata curiosità, il suo nuotare leggero fra culture diversissime, il saltellare fra libri e codici, fra programmazione e impegno politico).

Possiamo ricordarci che quando parliamo di open data per la pubblica amministrazione, o di un diritto d’autore più flessibile e aggiornato, o di biblioteche digitali accessibili e gratuite, o di open source, o di accesso aperto alla letteratura scientifica, in realtà indichiamo sfaccettature diverse di un unico cristallo, varie declinazioni di un movimento comune, quello della conoscenza libera.

Possiamo ricordarci che è necessario garantire a tutti l’accesso alla conoscenza per avere democrazia, perché l’informazione è potere. E un cittadino informato è un cittadino attivo, e prezioso.

Internet è fatta di persone, oltre che di cavi e bit. E sono le persone a decidere come usarlo e per cosa. Aaron credeva che fosse uno straordinario strumento di collaborazione e condivisione. Un modo per cambiare le cose. Ora dobbiamo capirlo noi.

ANDREA ZANNI

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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