Immaginate un centro storico semi distrutto e quasi abbandonato. Un paese siciliano in crisi, come tutti i paesi del sud Italia. Immaginate uno di quei paesi da cui i giovani se ne vanno e ritornano solo d’estate e magari a Natale. Uno di quei paesi in cui si dice spesso “qua non c’è niente”. Immaginate un paese bruttino. Uno dei nostri paesi bruttini, cresciuti un po’ come veniva, senza preoccupazioni artistiche o attenzione sul piano urbanistico. Paesi di commercianti, di imprenditori edili… forse avete capito.
Scrivo da Favara, cittadina di 33.000 abitanti in provincia di Agrigento, a 10km dalla Valle dei Templi. Perché a Favara? Che c’è a Favara? Mi hanno chiesto con un tono di incredulità quelli che ancora non conoscono Farm Cultural Park.
Io ed Elena siamo state invitate qui da Andrea Bartoli e Florinda Saieva, le mine vaganti che stanno producendo un progetto di larghissimo respiro e di grande visione nel centro storico diroccato di Favara.
Forse avete capito che sto parlando di uno di quei paesi in cui la maggior parte di noi, “avendone la possibilità”, non farebbe crescere i propri figli. Per dare loro più opportunità, “un futuro”, “più stimoli”… perché “qua non c’è niente”.
Andrea e Florinda hanno due bambine. Andrea è un notaio, e Florinda è un avvocato. Avrebbero la possibilità, suppongo, di far crescere le loro bambine “all’estero”. E invece no.
Sapete che hanno deciso di fare invece? Hanno deciso di mettersi a comprare i ruderi del centro storico di Favara, e di metterli a posto, di trasformarli in una galleria d’arte contemporanea, una residenza per artisti di tutto il mondo, un museo d’arte contemporanea per bambini, un giardino dove ospitare eventi e feste, un centro d’innovazione internazionale.
Con semplicità, coraggio, e un’enorme quantità di lavoro Floriana, Andrea, i favaresi e gli agrigentini che stanno lavorando a Farm Cultural Park stanno costruendo un vero miracolo italiano. Chi, come me, è cresciuto in uno di questi paesi, sa quanto un’iniziativa di questo tipo possa fare la differenza tra la vita e la morte. Tra la vita e la morte di una comunità, tra la vita e la morte di un paese, ma anche tra la vita e la morte di tante singole persone: giovani è vero, ma anche anziani.
Quegli anziani che adesso stanno diventando guide del museo di arte contemporanea dei sette cortili, che spiegano ai visitatori con orgoglio “chi c’era prima” e “chi c’è mo’”.
Perché lo chiamo “miracolo italiano”? A livello planetario oggi si discute di come progettare interventi che rendano le comunità più resilienti: pronte ad affrontare le crisi, i disastri naturali, i cambiamenti come insiemi più o meno compatti che sono in grado di sviluppare intelligenza collettiva e di tutelare la propria diversità, identificando risorse inutilizzate, facendone uno strumento di crescita e sviluppo.
L’Italia, e il sud in particolare, stanno producendo esperimenti di altissimo livello in questo senso e stanno indicando una via non solo al resto dell’Italia, ma all’Europa e forse al mondo intero.
Una via che mette in discussione i principi secondo i quali si è pensato si potesse leggere lo sviluppo finora. Li mette in discussione con umiltà e coraggio, con intelligenza e determinazione, con un’attenzione profonda alle persone e a quelle dinamiche relazionali che possono diventare il fattore K per un nuovo corso della Storia.
Il Farm Cultural Park di Favara è un fiore all’occhiello di questo movimento, quindi per favore, votateli subito per fargli vincere il bando Che Fare, basta un minuto e sarete partecipi di una delle più dolci e profonde rivoluzioni alle quali potremo assistere nei prossimi anni.
Una rivoluzione che profuma di mandarino e d’arancio.
E andate a trovarli a Favara. Scoprirete che c’è chi si sta interrogando in modo serio sulla sostenibilità della cultura, su nuovi modelli di business, di comunicazione, di organizzazione del lavoro, di rigenerazione urbana, di ruderi, di educazione.
Domenica si sono susseguite le presentazioni di Esterni, di Timbuktu e di ExFadda, seguite da un intervento d’eccezione da parte di Gilda Farrell, che ha da poco concluso l’esperienza di dirigente del dipartimento della Coesione Sociale presso il Consiglio d’Europa. Insieme alla comunità che si è riunita per ascoltare le nostre storie abbiamo parlato di traiettorie possibili, di strategie, di trucchi, di opportunità. Abbiamo fatto prove di futuro.
Questo fine settimana mi lascia con le vertigini: nel senso di voglia di volare, e con molta meno paura di cadere. Viva Favara.
Il connettore di questo incontro è stato Roberto Covolo di ExFadda (ricordate la regola di far accadere almeno un incontro speciale al mese? Lui in questo viaggio ne ha fatti accadere una ventina).