Il pifferaio Marco Balich e la promessa di Rio 2016

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Cala il sipario su Londra ed è una scena che mette tristezza. Cantano i Coldplay: “Viva la vida”, una canzone che mette di buonumore. Uno stato d’animo guadagnato dal mondo paralimpico che si è conquistato una luce definitiva, con i suoi Pistorius e pure con i suoi Zanardi. E pure con i tanti ragazzi già in pista e quelli che arriveranno adesso, sognando appunto di poter essere come loro: abili per quello che sanno fare, e non disabili per come la società li ha per troppo tempo etichettati. Tutto per la semplice paura di non saper affrontare la loro voglia di vivere.

Cala il sipario e sappiamo già, e più di una speranza, che niente sarà più come prima. Non potremmo perdonarcelo, dopo aver scoperto il bello di un we-event, dove abbiamo visti applicati i principi wiki dell’economia: ognuno ha fatto la propria parte, e ognuno era funzionale all’altro.

Bravi, persino belli nella maggior parte dei casi, gli atleti. Da ammirare i volontari, che qui hanno chiamato gamemakers, ovvero i responsabili dei Giochi, costruiti anche e soprattutto sul loro entusiasmo.

Entusiasmanti, addirittura commoventi gli spettatori. Un gioco di squadra esaltato da un cross party approach, dal coinvolgimento tardivo ma comunque presente della politica, governo e opposizione insieme. La sfida è adesso: tornare al Parlamento che è vecchio – in tutti i sensi, vista la ristrutturazione che incombe sul palazzo – oppure partire dalle recenti memorie e dalla freschezza dell’Olympic Park? Di sicuro qui abbiamo visto realizzato un gioco di squadra, simbolo e anticipazione della Big Society che qualche politico ha immaginato, pensando anche di poter fare a meno dello sport. Sport che invece si è preso, per non mollarlo più, il ruolo di motore e laboratorio di una società sempre più inclusiva.

Intanto, c’è già un italiano medaglia d’oro a Rio, dove saranno le Olimpiadi del 2016. Possibile? Segnatevi il nome: Marco Balich. Quando c’è di mezzo lui è possibile di tutto. Non è un atleta, eppure è il primo a gareggiare. Di mestiere fa il produttore esecutivo, nel caso specifico delle cerimonie, apertura e chiusura, di Rio. Ma in questa definizione c’è molto di più di quello che si possa immaginare: bisogna essere leader per guidare circa 20mila persone chiamate a interpretare per quattro ore l’identità presente e futura di un paese. Bisogna essere indovini e mettersi in scia dietro qualche certezza, per poi indicare tendenze sociali che dovranno essere ancor più nette tra 4 anni. Perchè si tratterà di traghettare un intero contiente, e non solo il Brasile, in quella sfida che Rio 2020 già rappresenta a livello ambientale.

Balich ha rotto il monopolio anglosassone in un settore che rappresenta un’industria non marginale dello showbiz. A Londra c’era una società apposita, London Ceremonies, con un buget enorme da gestire (circa 100 milioni di sterline) e il cui controllo non era neppure affidato al comitato organizzatore dei Giochi, ma alle sale vicine a Downing Street. Lui ha esordito a Salt Lake City nel 2002 come regista del flag handover, ovvero del passaggio di consegne tra gli americani ospiti di Giochi scandalosi e Torino. Da qui, nel 2006, proprio grazie al tocco di Balich l’Olimpiade invernale ha raggiunto un altro e alto piano.

Marco abiterà a Rio da gennaio 2015, e già questo basta a invidiarlo. Poi ti racconta che dovrà studiare la storia del Brasile, andare a scovare i “registi” fin nell’Amazzonia, dove vivono certi capivillaggio non sanno nemmeno di avere in mano le identità delle proprie comunità. Balich invece questo fa: un censimento dell’immaginario collettivo vissuto dagli abitanti del posto e recepito dal resto del mondo. Potrebbe sembrare un lavoro quantitativo, invece, serve il bilancino del poeta per dosare le emozioni.

Il suo motto, un po’ olimpico, è inevitabilmente: “l’importante è cominciare”. Partire bene vuol dire far diventare un evento come Torino 2006 un’esperienza memorabile. Vuol dire lanciare con successo lo Juventus Stadium, e bisogna fermarsi qui. Non per dire che i successi siano registrati solo in Piemonte ma, al contrario, per non dimenticare nessuno dei paesi in cui Balich ha piantato le bandierine sue e della sua azienda, la Film Master, un altro esempio di made in Italy di successo.

Danny Boyle lo ha citato (e nel suo settore non è un semplice omaggio) attribuendogli un riconoscimento per aver suggerito un indirizzo quando ha fatto entrare allo stadio olimpico le Mini. Nel 2006 a Torino avevamo visto addirittura la Ferrari in campo. E poi Pavarotti e Peter Gabriel, Carla Bruni non ancora premiere dame e Sophia Loren, tanta Italia e tanta Italia riconosciuta nel mondo. Adesso la sfida sta nel raccogliere gli ingredienti del Brasile e farli diventare una torta buona per il mondo nei prossimi anni. È un lavoro bellissimo e tremendo: bisogna conoscere e poi riconoscere le tante anime di un paese, e poi metterle insieme come fossero la musica di un pifferaio magico.

Intanto qui, a Londra 2012, quattro anni prima di Balich, hanno chiamato i Coldplay a chiudere un’estate straordinaria e in particolare le Paralimpiadi: Viva la vida. Bello così. Giusto così.

Londra, 9 settembre 2012LUCA CORSOLINI

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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