Il primo selfie, Dylan e il senso di OpenExpo per un’Italia migliore

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È di fine giugno il “selfy” che Riccardo Luna, Ernesto Belisario ed io, abbiamo scattato davanti al logo di Expo nella sede milanese della Società in Via Rovello, a due passi dal Cordusio. Facce un po’ perplesse e stralunate. Eravamo in missione per conto di Wikitalia, per capire se ci fosse effettivamente lo spazio per costruire il progetto “OpenExpo”, e dare un po’ di trasparenza a una iniziativa che, solo poche settimane prima, era stata terremotata da una serie di vicende decisamente brutte. Alla fine, come è ormai noto a tutti, l’Associazione ha deciso di provarci. La situazione è piuttosto complessa, un budget di più di mezzo miliardo solo per i cantieri, migliaia di affidamenti, una struttura piuttosto complicata.

Molti pensano che l’Open gov, la capacità per una PA (o di una società partecipata) di essere aperta, trasparente e interattiva nei confronti dei cittadini, sia un processo di tipo “ispettivo”: l’andare a vedere, far luce, lo “scoprire le pentole”, e finalmente pubblicare quello che c’è.

Come potrebbe essere per gli archivi della CIA, della STASI o del KGB. Ero un ragazzino quando uscì “007 Operazione Goldfinger” e mi colpì l’immagine di Fort Knox; un forziere inaccessibile dove, dietro mille cancelli blindati, c’è l’ultima porta di acciaio, quella tonda, spessa un metro, che dischiude finalmente il luccicante scenario di chilometri di ordinati scaffali zeppi di lingotti d’oro.

Purtroppo, in generale, non è così. Magari lo fosse. Per gli “Open data”, non c’è combinazione, codice, password che ha questo potere. Quei lingotti sono dispersi come coriandoli tra mille scrivanie, dischi fissi, server, cassetti. Addirittura nella testa delle persone. “Ho tutto qui, in testa!” si sente dire, magari dal Geometra Bistazzoni o dal Ragionier Frisgazzi, mentre si toccano la tempia con il dito indice.

Persone senz’altro fedeli, oneste e preparate ma semplicemente abituate, da sempre, a lavorare così.

La trasparenza parte dal basso. È qualcosa che intercetta i flussi di informazione nella loro genesi, prima che entrino nel ginepraio, e li identifica, li organizza, e li rende decifrabili subito, in quel momento, come dare il nome, una identità certa, a un bambino che nasce. Questo si chiama open by default ed è lo spirito di quello che abbiamo fatto e che stiamo facendo con OpenExpo.

Ci sono regole semplici per l’Open gov che si possono tuttavia distillare in una sola, l’unicità delle fonti. Il dato è uno, sta in un unico posto e tutti, dal DG, all’impiegato, al cittadino, guardano sempre e comunque la stessa cosa. Abbiamo inizialmente sperato (e fortemente perseguito) il fatto che questa fonte potesse essere pubblica, la piattaforma nazionale SIMOG che contiene (o dovrebbe contenere) una valanga di informazioni preziose.

In un post successivo spiegherò nei dettagli perché non sia al momento possibile e vi assicuro che merita. Abbiamo creato allora un data base relazionale in grado di intercettare alla fonte tutte queste informazioni (fino a un centinaio di campi per ogni affidamento) e che comunque fosse in grado di fare il percorso inverso, e cioè alimentare da lì la piattaforma nazionale.

Ovviamente è stato ed è tuttora un delirio. Riunione su riunione, passo per passo, abbiamo lavorato in Expo, con i tecnici, gli ingegneri, gli amministrativi per avviare la individuazione e la fornitura di questi dati. Dapprima niente, un moloch del tutto immobile, una roccia enorme, di massa apparentemente soverchiante per qualsiasi sforzo. Poi, alla fine di luglio, qualche scricchiolio, tremolii, timidi segnali di un movimento incipiente qua e là: confortanti ma niente più. Nelle ultime settimane, quando la piattaforma era praticamente ultimata, due o tre schianti violenti e il macigno ha iniziato incredibilmente a muoversi. Niente di travolgente, ma un qualcosa di chiaramente, decisamente, indubitabilmente percettibile. Lo abbiamo visto dalle tabelle, prima del tutto anemiche, che hanno iniziato a popolarsi che poi, digerite dal relazionale, davano segni di coerenza sempre più decisi. Nell’ultima settimana la cosa ha preso il via e il ritmo e l’accelerazione, tra mille sobbalzi, si è fatta più chiara e decisa, fino a diventare quasi stabile nei giorni immediatamente prima dell’evento di presentazione. Gli ultimi dati li abbiamo finiti di caricare un’ora prima della conferenza stampa. Ma va bene così. L’obiettivo di avviare il portale in 60 giorni era raggiunto.

È un movimento, quello di questa pietra smisurata, che va adesso conservato, guidato, reso puntuale e ordinato. Ma c’è. E, nel mio noto inguaribile ottimismo, è l’indice, magari timido, dell’avvio di una transizione organizzativa verso un modello intrinsecamente trasparente, open by default, appunto. Spente le luci della conferenza stampa, non restano quattro tabelle sparse di Excel, levate da questa o quella scrivania e buttate a caso su una pagina web, ma un modello forte e ragionato che, con mille limiti, abbiamo pensato, progettato e iniziato a costruire. Questo modo di procedere è un po’ il carattere, la cifra di Wikitalia ed è ciò di cui, perdonate la sottolineatura, siamo orgogliosi,

OpenExpo è una grande e bella esperienza, qualcosa che sta sotto gli occhi del mondo e che riguarda uno dei punti di forza più riconoscibili del nostro paese. Ed è una partita che, per quanto ci riguarda, non possiamo perdere. La stiamo portando avanti con un team che condivide, in ogni azione, poche parole d’ordine: la collaborazione tra competenze diverse, il riuso di ciò che è già disponibile, il puntare su prodotti a codice aperto, i dati aperti by default e l’etica dell’open government. La collaborazione sta nella struttura del gruppo che, oltre che dal direttivo dell’Associazione, è partito da una competenza statistica per assicurare la qualità dei dati, per integrare giuristi, amministrativi, sviluppatori, la maggior parte dei quali hanno operato volontariamente. Il riuso è stata una grande partita giocata nella collaborazione con Formez che ha condiviso la tecnologia della piattaforma http://dati.gov.it mettendo a disposizione l’entusiasmo e la competenza del loro team e la collaborazione di una giovane startup di grande creatività. AGID che ha offerto le risorse per l’hosting.

I dati sul portale sono quelli relativi a tutti i cantieri, e agli affidamenti per beni e servizi, per ora, sul 2014. I nostri dataset sono semplicemente delle query, delle finestre che si aprono sulla base dei dati. Sono finestre predefinite, apparentemente rigide. Ma per chi voglia andare in profondità, mettiamo a disposizione le API che consentono ai cittadini di costruire qualsiasi query sul database, come se fossero, nei fatti, amministratori. Abbiamo costruito anche delle dashboard per la sintesi dei dati dei cantieri da esplorare uno per uno.

Adesso inizia il lavoro più importante. Sono finiti i 100 metri corsi in apnea (in meno di 10”). Ora inizia la mezza maratona. Cambiano le regole, cambia tutto. C’è da rendere organico, robusto e stabile il sistema, e non si tratta di software, server o strutture di dati. Ma di gestire una filiera produttiva che, oltre qualsiasi considerazione sul passato recente, è oggettivamente di una complessità straordinaria. Abbiamo tempo fino al 31 dicembre. Per dire come ci sentiamo, penso alla domanda di Bob Dylan, in una delle sue più belle canzoni, How does it feel, to be on your own, like a complete unknown, like a rolling stone?

Milano, 15 settembre 2014Giovanni Menduni

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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