Ringrazio Riccardo Luna per aver portato un nuovo contributo su di un tema, il reddito garantito, che compare anche nel programma di un importante movimento politico ma che in Italia non riesce a ricevere la necessaria attenzione.
Forse per l’approccio divisivo con cui viene promosso, più probabilmente perché la nostra opinione pubblica soffre dell’incapacità di pensare a medio/lungo termine teamtiche complesse. Soffriamo di un’attenzione molto mutevole, che insegue l’immediato, mentre il recente, notevole, sviluppo dell’IA, rischia di distruggere posti di lavoro più rapidamente di quanti se ne creino di nuovi (ne parlavo già qui su Chefuturo!).
Come mia abitudine, proverò a raccogliere un po’ di argomenti, dividendoli tra “pro” e “contro”.
Le argomentazioni a favore del reddito garantito
Il reddito minimo garantito a chiunque porta sicuramente maggiore tranquillità.
Ci permette di non essere ossessionati dal rischio di rimanere senza mangiare, senza un’abitazione, e di inseguire con maggiore serenità le nostre passioni e i progetti più ambiziosi. Migliora quindi sensibilmente le condizioni di senza tetto e marginalizzati, e potrebbe permettere loro di rientrare nel mercato del lavoro e nella vita sociale. Dà più tranquillità ad aspiranti imprenditori, potrebbe avere l’effetto positivo di spingere verso scelte lavorative di maggiore qualità, rifiutando i lavori più degradanti che, molto probabilmente, verranno affidati a robot.
Le conseguenze di quanto sopra descritto non sono difficili da prevedere: ci troveremmo molto probabilmente di fronte a un abbassamento della tensione sociale e un miglioramento del nostro benessere psicologico.Al di là di alcuni dettagli su come decidere il “minimo” (ci sono già indicazioni dell’Unione Europea in tal senso), se il reddito medio italiano, a inflazione attuale, è di circa 20.000 euro, sono abbastanza sicuro che ci sia già abbastanza ricchezza per tutti, con una leggera rimodulazione della tassazione.
Le argomentazioni contrarie al reddito garantito
Il reddito garantito abbassa la tensione sociale: siamo sicuri che sia un vantaggio escluderla dalla nostra società?
Non auspico di certo un peggioramento del benessere al fine di fare una qualche “Rivoluzione”, ma forse il rischio del reddito minimo è di anestetizzarci tutti. Le tensioni sono motori del cambiamento, e le migliori conquiste in termini di diritti sono sempre seguite a momenti di forte scontro, o li hanno talvolta alimentati. Consiglio a chi avesse interesse ad approfondire questo aspetto un recente pezzo di Evgeny Morozov sul Guardian. In breve, sostiene che il basic income è utile per rendere meno pesante la conversione di moltissimi lavoratori a tempo indeterminato in agenti della “gig economy” (o “on demand economy”) a disposizione delle start up stile Uber.
In secondo luogo, concentrare l’attenzione sul denaro non rischia di farci dimenticare i bisogni più complessi del genere umano? Se i “poveri” hanno la pancia piena, sono allo stesso tempo acculturati, capaci di godere delle bellezze che li circondano? Ne avrebbero l’occasione – il tempo non mancherebbe – ma che ne è degli strumenti?Il benessere, lo sappiamo sempre meglio, deriva dalla capacità di avere relazioni umane appaganti, dall’ambiente, dal panorama, dall’arte in tutte le sue forme.
Persone che non entrassero mai nel mercato del lavoro rischierebbero di non riuscire a far parte della società in modo completo: una gabbia dorata.
Il lavoro non è solo uno strumento per procacciarci il cibo. Forma la nostra mente, ci insegna abilità utili nella vita di tutti i giorni: la serietà, il rispetto delle scadenze, la programmazione, la negoziazione, la gestione di rapporti umani problematici; ci consente di realizzarci, di conoscere altre persone, di sentire che la nostra vita è utile a qualcuno, e molto altro.
Gli effetti potenziali del non-lavoro
L’assenza del lavoro per lustri o decenni che effetti motivazionali può avere? Non ci basta vedere il morale di molti pensionati che si trascinano nelle loro giornate? E se anche cominciassimo a 18 anni a ricevere il reddito garantito, dopo anni a godersi (limitatamente) la vita, non rischieremmo di annoiarci? Come rientrare allora sul mondo del lavoro, senza competenze né soft skill?
A mio avviso, ci sono rischi per la qualità della democrazia: perché cercare rappresentanza politica se si è mantenuti? Perché studiare alla scuola dell’obbligo se non mi serve per avere un lavoro? Poi però gli analfabeti funzionali lasciano governare i genietti della Silicon Valley, che controllano le nostre vite con i propri sistemi informativi e influenzano le nostre decisioni interagendo, per esempio, su un celebre social network a cui siamo tutti connessi o filtrando con un motore di ricerca le nostre informazioni… Oppure, peggio ancora, regalandoci un’immersione nella realtà virtuale.
Mi risulta anche difficile capire la sostenibilità economica in caso di inflazione: un cospicuo aumento della disponibilità economica di tutti i consumatori indistintamente porterebbe a una positiva ripresa dei consumi, ma anche dell’inflazione, per cui il reddito minimo rischierebbe di perdere valore, soprattutto per chi ne avesse più bisogno (perché non ha altri redditi); se venisse adattato all’inflazione, porterebbe a una spirale inflattiva stile “scala mobile”.
Un’analisi in rete porta due esempi di introduzione di reddito di base che non hanno provocato inflazione. Sono esempi però piuttosto estremi, per la piccola dimensione del campione e per la distribuzione del reddito: dubito che in Kuwait sia paragonabile a Stati Uniti o Europa.
E una proposta ibrida di reddito garantito potrebbe funzionare?
Premesso che solo una rigorosa e ampia sperimentazione può consentirci di decidere, allo stesso tempo sappiamo bene che esperimenti su grandi numeri di persone richiedono molta cautela, essendo difficile a volte rimediare agli errori commessi. E quindi serve un ampio dibattito informato.
Se vogliamo evitare che una parte della popolazione rischi l’indigenza, perché disoccupata saltuariamente a causa della gig economy o, sui tempi lunghi, a causa di IA e robotica, possiamo costruire soluzioni più articolate: un voucher abitativo, il rilancio dell’edilizia popolare o, più semplicemente, un obbligo di legge che preveda l’inserimento di una quota di appartamenti a prezzi calmierati in tutti i nuovi fabbricati – e l’esproprio dell’invenduto. Per avere una maggiore inclusione sociale ed evitare ghetti.
Per garantire cibo a tutti è possibile utilizzare la social card (in tal modo i soldi non verrebbero spesi per droghe, slot machine ecc). Chiamerei questi strumenti “Stile di vita minimo” (SVM), aggiungendo anche voucher per spostarsi (treni, aerei). Per evitare rischi inflattivi sceglierei di fornire lo SVM solo ad alcune fasce della popolazione: ai lavoratori precari (magari come complemento reddituale calcolato mensilmente in base alle fatture emesse), a tutti i disoccupati senza distinzioni (favorendo anche la diffusione di strumenti complementari come per la previdenza), a tutti i diciottenni.
Il basic income potrebbe rivelarsi uno strumento di mobilità sociale e geografica fortissimo se venisse offerto a tutti i giovani.
Perché possano spostarsi per cercare la migliore università o il miglior posto di lavoro. Un sostegno all’autonomia, non uno strumento assistenzialistico. Saremo capaci di portare in Italia un dibattito complesso e trovare delle soluzioni adatte alla nostra realtà, capaci di rispettare le esigenze sociali (di pace) e individuali (di auto-realizzazione)?