Il summit sugli Open Data e perché liberarli fa bene all’economia

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Si è concluso da pochi giorni l’ODI Summit – evento annuale (arrivato alla sua seconda edizione) di resoconto delle attività dell’ODI, ovvero Open Data Institute – e ancora vivo dell’energia che ho ricevuto in quella giornata di Londra.

Ho partecipato all’evento in rappresentanza di nodo ufficiale dell’Open Data Institute. E quest’anno ero lì con le due persone che hanno permesso a Trento di entrare in questo network di rilevanza internazionale: Francesca De Chiara (vera artefice di questa operazione) e Paolo Traverso (che in qualità di direttore del centro ICT di Fondazione Bruno Kessler ci ha creduto).

Quel giorno fra speaker e partecipanti c’erano molti degli attori importanti della scena Open Data internazionale: Tim Bernes-Lee e Nigel Shadbolt (fondatori dell’iniziativa), tutto l’ODI Team capitanato dall’instancabile Gavin Starks, Wendy Hall (direttrice del Web Science Institute), Joel Gurin (autore del libro Open Data Now e direttore del progetto Open Data 500 del GovLab), Max Ogden (uno degli sviluppatori più attivi di Code4America), Chris Taggart (CEO di OpenCorporates) e molte molte altre persone.

Quello che chiunque percepiva durante il Summit era una grande energia di condivisione dei saperi e la sensazione che lì, le tante promesse su Open Data come strumento per la crescita, davvero prendevano forma.

Riassumere tutti gli interventi è molto difficile. Il consiglio è quello di andare a vedere ogni singolo video che l’ODI ha messo a disposizione ancora il giorno dopo il Summit. Il benvenuto, prima del keynote di Tim Bernes-Lee, è stato fatto da Gavin Starks. Le sue slide hanno riassunto in brevissimo tempo i successi raggiunti dall’iniziativa. L’immagine che mi ha colpito è stata quella esteticamente più semplice, ma che in brevissimo riassume quello che l’ODI è riuscita a fare: un investimento di 10 milioni di sterline da parte del governo inglese, che ha il compito di essere raddoppiato come ritorno di valore.

E per come stanno lavorando questo sembra sia realmente realizzabile.

L’open by default è la parola d’ordine dell’ODI e, ogni azione, ogni obiettivo viene misurata e resa pubblica

Tutto questo è accessibile tramite le dashboard generate in automatico. Numero di persone raggiunte, quantità di denaro mossa (contratti, investimenti, collaborazioni, progetti acquisiti …), dimensioni del network creato (startup, nodi dell’ODI, affiliazioni …), persone coinvolte… I numeri sono impressionati.

Riuscire a capire come questo sia possibile era poi chiaramente espresso negli interventi successivi. Quattro le sessioni: open innovation in business, Open Data – so what? Real life applications of Open Data, Challenges, culture and the Open Data revolution, The future of Open Data. Quattro obiettivi, o forse meglio di dire modi di interpretare l’Open Data, di quello che è il percorso disegnato dal governo inglese per accelerare il processo di crescita che i dati aperti possono innescare, per rispettare quello che era lo slogan al lancio del loro portale nazionale dei dati aperti “Unlocking Innovation”.

Le parole chiave di questo evento sono state senza ombra di dubbio “business” e “culture”

Non è stato quindi un caso che gli interventi legati al tema della Pubblica Amministrazione siano stati solo due: quello dell’azione open data in corso in Burkina Faso in un progetto finanziato da World Bank e quello dello stato dell’arte e prossimi passi delle azioni sul tema open data del governo UK. Entrambi una vera rivoluzione, in due modi diversi, di processi per favorire la crescita di un bene comune digitali quale l’open data.

La politica di apertura dei dati del governo inglese – illustrata da Mike Bracken, direttore esecutivo del digitale del governo britannico – è fortemente guidata dal desiderio di aprire i dati nell’idea di soddisfare la richiesta di domanda di dati. Lo sforzo per raggiungerlo costa di molta fatica nella revisione dei processi, nella creazione di servizi di pubblicazione dei dati via API in maniera automatizzata e nella creazione di una governance più snella. Tutto questo però con uno slogan di fondo, rivolto all’operatore del settore pubblico “Basically, it’s your turn” (“in fondo, è il tuo turno”)

Tutto il tema del valore degli open data come per la crescita economica era ben documentata sia nella necessità di tecnologie abilitanti che in studi e casi concreti d’uso. E’ il caso di opendata500, ripreso poi in diverse altri nazioni, fra cui naturalmente anche l’Inghilterra tramite l’ODI. O come questi dati aperti impattano in ogni settore dell’economia. Argomento però che necessità di molta consapevolezza, condivisione di conoscenza e dell’intersezione fra web science, tecnologia e open data (intervento trasmetto in diretta internazionale dalla BBC).

A favorire questo processo il lancio di concorsi assieme a Nesta accompagnati dall’apertura di dati in ambito dei beni culturali, creazione di performance artistiche con i dati aperti, l’uso dei dati aperti per migliorare la società, l’insegnamento verso i giovani e i giovanissimi. Su quest’ultimo tema, una bella conversazione intitolata “Tomorrow’s world: I am the future” fra la 15enne Amy Mather (vincitrice del titolo ragazza digitale 2013) e la baronessa, imprenditrice e prima digital champion in Europa Martha Lane Fox.

Il loro dialogo, conclusosi fra gli applausi in piedi del pubblico, ha messo in evidenza la necessità percepita da questa ragazza (programmatrice python alle prese ogni giorno con raspberry pi e stampanti 3D) di avere l’insegnamento della programmazione nel percorso scolastico. ”Non tutti vogliono imparare il latino, non tutti vogliono imparare python, ma tutti dovrebbero avere l’opportunità”, ha dichiarato.

Il keynote di chiusura del Summit è stata fatto da Nigel Shadbolt, altro padrone di casa in quanto fondatore dell’ODI, che ha riportato l’attenzione sull’importanza di continuare a lavorare nell’apertura dei dati e nella qualità con questo va fatto mostrandone il percorso, credendo nel concetto di open innovation

Nigel Shadbolt ha ricordato che i dati di cui abbiamo bisogno continuano a non essere disponibili

Un percorso che all’ODI è ben chiaro e che dal 2015 avrà ancora più energia grazie al progetto ODInE – Open Data Incubator for Europe che ha ottenuto un finanziamento europeo di 14,4 milioni di euro (tramite una call HORIZON2020) nato al fine di accelerare la nascita di nuove startup agendo su tre variabili: un programma europeo di di startup basato sul programma adottato dall’ODI, il rafforzamento della rete di ricerca nel settore web of data e la creazione di una nuova accademia per la creazione di una nuova generazione di scienziati dei dati.

Negli intervalli del Summit tantissime sono state le occasioni di confronto, il desiderio di creare nuovi reti era negli occhi di ciascuno. Si parlava per qualche decina di minuti, una stretta di mano, una breve presentazione, l’individuazione di punti comuni, lo scambio di biglietti da visita e poi nuove persone da conoscere, condivisione di idee, voglia di fare e di espandere questo network, nel desiderio di vedere l’open data una realtà sempre più tangibile.

La sera è proseguita con la cena di gala presso il London Museum e con la premiazione per gli award dell’open data: GeoLytix (business), Shoothill – for Gauge Map (innovation), Plantwise (social impact), Wikidata (publisher) e, come individual champion, Irina Bolychevski di Open Knowledge e product manager di CKAN.

E noi dell’ODI node di Trento? Eravamo lì alla cena di gala a respirare questa energia, a rallegraci di vedere comparire il nome di Trento nell’elenco dei nodi, a programmare la nostra attività (il giorno dopo ci sono stati gli ODI nodes strategies days) e di stare al tavolo con gli amici del GovLab di New York con cui abbiamo programmato una interessante collaborazione (ma questa la racconto alla prossima occasione).

MAURIZIO NAPOLITANO

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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