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Il verbo futurare? Trenta giovani lo declinano con Libera i

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Questo è il racconto di una settimana a Robadao, in provincia di Agrigento. La storia dei sette giorni della Summer School “GIA’ – Giovani, Imprenditoria ed innovAzione” organizzata da Libera. GIA’ è un acronimo, anzi un tentativo di acronimo. La A, infatti, sta per Azione.

Il bus di Libera

Due ore ci vogliono per arrivare alla meta. Che poi la meta non ha una via specifica da cercare su Google Maps. La via è una strada di campagna piena di buche e fossi che è difficile da percorrere. La macchina, infatti, saltella qua e là mentre dai finestrini entra l’aria dei vigneti e dei campi coltivati affianco. Per giungerci, a Robadao, ci vogliono le coordinate GPS. In quel posto c’è un bene confiscato alla cosa nostra siciliana, la mafia per intenderci.

Il proprietario, anzi il vecchio proprietario, è uno di quelli che rappresenta le tante tonalità del fare mafioso. Non un grande boss, ne un colletto bianco. Uno di quelli nel mezzo. Mafioso, anch’egli. Adesso, per essere precisi, il proprietario è lo Stato che ha ceduto le chiavi del cancello ai ragazzi di una delle ormai tante cooperative del progetto Libera Terra.

Rosario Livatino è il nome di questa impresa sociale che è dedicata ad un magistrato ucciso 24 anni fa. Uno dei tanti, dei troppi, sul cui solco coraggioso i ragazzi dedicano le loro quotidiane energie. Facce arrossate dal sole, mani spellate dal lavoro, cuori grandi e tanto tanto ossigeno nei polmoni.

Innovatori? Certo che si. Innovatori nella gestione della terra che un tempo era cosa di mafia e che ora è cosa di tutti.

Innovatori coi piedi saldi e la testa fra le nuvole. Innovatori che controvento ogni giorno, e dico ogni giorno, insistono nel coccolare la terra che è nostra, cosa di tutti.

La comunità di Libera

Anche a loro si sono ispirati 30 e più ragazzi provenienti da ogni angolo dalla Sicilia. A dire il vero all’allegra ciurma si sono aggiunti altri con la residenza per così dire nordica. Lombardi, emiliani, umbri a cui è stata data la cittadinanza onoraria di quest’Isola. Loro, siciliani per scelta, ci hanno insegnato che questo triangolo appoggiato sul Mediterraneo è più che un segno geografico. E che la lotta contro le illegalità e l’amore per cambiarla in meglio, la Sicilia, raccoglie in un grande abbraccio tutti quelli che hanno testa e cuore per dedicarle tempo ed energie.

E di tempo ed energia a questa terra i quaranta ragazzi di GIA’ ne hanno speso.

Il compito di quest’anno era costruire una città. Anzi, rendere visibile di una città la sua bellezza nascosta sotto le croste. Ciò che contava era che nascesse un’idea collettiva, includente, declinata al plurale. Un’innovazione che fosse intanto di processo. E non è poco. Una nuova prassi che guardasse al bene comune. Facile a dirsi ma difficile a tradursi in tempi di crisi dove ognuno guarda al proprio minuscolo orticello pensando a sopravvivere alla burrasca che tutto travolge. Perché un’impresa che nasce non può vivere nel deserto, un’impresa che cammina non può inciampare nelle macerie di altre cadute un attimo prima. L’idea è innovativa se crea felicità per tutti e tutte, e la felicità non è solo benessere economico, ovviamente.

Innovare diventa quindi un gesto politico. Innovare è avere a cuore il destino della comunità. Innovare è innamorarsi dei desideri del vicino di pianerottolo, fare proprie le aspirazioni di chi hai accanto. Innovazione è avere occhi nuovi per guardare meglio ciò che abbiamo sempre visto. Innovazione forse al contrario è perdere la vista e, come diceva il protagonista Alfredo di Nuovo Cinema Paradiso di Tornatore, per questo vederci “meglio”.

Ci hanno visto “meglio” quei trenta visionari. Ed il progetto è venuto su. Quello della città visibile. E comincia così.

Dalla città invisibile ieri si fuggiva. La città visibile è dove oggi tutti ritornano. La città visibile è casa di tutt* e tutt* se ne prendono cura. La città visibile è coraggiosa e scommette sulla politica come forma più alta di servizio. La città visibile ricorda e s’impegna. La città visibile è meticcia, curiosa e rispettosa di tutt*. La città visibile è senza età e abbraccia in un unico grande abbraccio bambini, giovani ed anziani. La città visibile è consapevole della modernità della sua storia. La città visibile crede nella bellezza della musica, dell’arte, della letteratura. La città visibile è accogliente e non discrimina. La città visibile è competente e non si accontenta di un sapere di prima mano. La città visibile si informa ed informa. La città visibile educa. La città visibile si muove criticamente e valorizza la terra, ama la terra. La città visibile è tecnologica. La città visibile non ha paura di chiedere aiuto e sa che è una delle tante città che fanno il mondo. La città visibile ha la porta aperta. La città visibile non ha mura, non ha centro e periferia. La città visibile è dietro l’angolo… in fondo alla strada… qualche passo più in là.

Quei 30 ragazzi hanno incastonato i propri sogni l’uno sull’altro. Hanno capito che bisogna fare comunità, che essere comunità alternativa a quella mafiosa e corrotta è un imperativo, un obbligo che si traduce in quegli elementi magici che ci fanno diversi, migliori e più numerosi di coloro ci spengono piano piano ogni giorno. Hanno capito che innovare è poggiare sulle spalle dei giganti sbirciare dal cannocchiale per avvicinarsi alla luna. E’ avere i piedi per terra ed ascoltare il racconto della storia dei nostri territori. Perché, forse, non bisogna sforzarsi più di tanto ad inventarsi chissà cosa. Forse innovare è guardare al meglio che i nostri nonni ci hanno lasciato. E’ sforzarsi di mettere le ali alle nostre radici.

Per tutto questo hanno coniato una parola: futurare. Un segno importante per questa terra che ha dimenticato i verbi al futuro.

Forse più che un segno per ogni siciliano che è costretto a tradurre ogni gesto che sarà in un presente spalmato nostalgicamente nel passato, quello che però ha il sapore malinconico della resa, dell’eterno ritorno all’identico. Futurare allora lo si traduce con un infinito. Quanto sono infinite le capacità, le risorse, le forze e la bellezza che quest’Isola può raccontare al mondo.

Ed ecco che quel quasi acronimo di GIA’ prende ulteriore forma. GIA’ è un “adesso” ma è ciò che può diventare se lo si legge al futuro. GIA’ è già nel futuro. Ed è GIA’ futurare. Futurare, olè!

UMBERTO DI MAGGIO

Umberto Di Maggio è il coordinatore regionale in Sicilia di Libera, associazioni nomi e numeri contro le mafie.

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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