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Imprese familiari: servono più investimenti in formazione per competere

Una ricerca Asfor, Cuoa e Tagliacarne evidenzia il gap con le altre aziende

federico visentin presidente cuoa business school

Sette imprese familiari su dieci stanno investendo in formazione e avevano fatto altrettanto nel
periodo precedente alla pandemia per migliorare le competenze del loro personale e affrontare le
sfide dei cambiamenti in corso. I giovani imprenditori mostrano una maggiore propensione
all’investimento in formazione (73%), mentre le donne alla guida delle imprese (66%) e le piccole
aziende (65%) sembrano incontrare più difficoltà, anche se avrebbero maggiormente bisogno di
sviluppare le competenze dei loro dipendenti per sostenere il loro sviluppo. Tuttavia, in generale,
la percentuale di imprese familiari che hanno investito nel periodo 2017-2019 e continueranno a
farlo nel 2022-2024 rimane inferiore rispetto alle imprese non familiari (69% contro 77%).

Imprese familiari: servono più investimenti in formazione per competere

Sembra, infatti, esserci una corrispondenza tra attenzione alla formazione e numero di addetti: le
politiche di formazione del personale fanno fatica ad affermarsi tra le aziende familiari più piccole
(con meno di 50 addetti). Solo 65% di queste investirà nel triennio 2022-24 e lo ha fatto nel
periodo 2017-19, contro l’86% di quelle medio-grandi.

È quanto emerge dal rapporto Strategie e politiche di formazione nelle imprese familiari realizzato
da ASFOR, Centro Studi Guglielmo Tagliacarne e CUOA Business School edito da Franco Angeli su
un campione di 4.000 imprese (3.000 manifatturiere + 1.000 servizi) tra i 5 e i 499 addetti,
integrato da un’analisi di 10 case history di imprese leader, e presentato oggi a Roma insieme ad
Unioncamere nel corso dell’evento “Il capitale umano e strategie nelle imprese familiari”.

Per il presidente del Centro Studi Tagliacarne, Giuseppe Molinari è “centrale investire nel capitale
umano anche attraverso percorsi di formazione in grado di fare elevare le competenze necessarie
a gestire, se non anticipare, i cambiamenti”. Per cui “occorre dunque supportare questo processo,
soprattutto in questo momento in cui osserviamo una flessione della quota delle imprese di
famiglia disposte a fare investimenti nella crescita e nello sviluppo professionale del personale”.
Su posizioni analoghe Federico Visentin, Presidente di CUOA Business School, che ha rimarcato
come “è necessario lavorare da un lato su solidi percorsi di formazione e sviluppo delle
competenze interne alle imprese e dall’altro su progetti volti ad aumentare le dimensioni delle
imprese stesse. In una competizione globale per le imprese crescere è l’unico modo per fare un
salto di qualità, che veda l’Italia come sistema economico ancora più competitivo sui mercati
internazionali”.

Dallo studio emerge che il 66% delle imprese familiari ha investito e investirà soprattutto tra in up-
skilling, ovvero nella formazione del personale dipendente per far crescere le attuali competenze
tecnico-professionali (contro il 75% delle imprese non familiari).Mentre il 52% punterà sul re-
skilling, cioè sullo sviluppo di nuove competenze tecnico-professionali (contro il 66%). Inoltre,
meno imprese sembrano interessate all’attività formativa che sta alla base dei veri e propri
cambiamenti. Solo il 35% sta programmando corsi per aumentare la responsabilizzazione, la
capacità di iniziativa e di innovazione delle proprie risorse umane, ovvero l’intrapreneurship
(contro il 53%).

Solo il 25% ha intenzione di migliorare la capacità manageriale di gestire nuovi modelli di business
idonei a cavalcare, per esempio, la duplice transizione (contro il 43%). Inoltre, il titolo di studio
dell’imprenditore sembra influenzare la decisione di investire in formazione: la quota di imprese
che investono in formazione è pari al 55% se l’imprenditore ha al massimo la licenza media e sale
al 68% se ha il diploma, fino ad arrivare al 78% se è laureato. E per quanto riguarda il
finanziamento dei percorsi formativi programmati, l’autofinanziamento è il principale canale scelto
dall’80% di queste imprese, mentre solo il 29% usufruirà dei fondi regionali e il 23% dei fondi
interprofessionali.

Le imprese familiari del Mezzogiorno e gli imprenditori under 35 sembrano avere maggiore
consapevolezza che per cambiare passo non è sufficiente puntare sulla manutenzione del bagaglio
delle competenze già acquisite. Anche per questo investono di più nell’intrapreneurship, rispetto a
quelle del Centro-Nord (il 39% delle imprese del Mezzogiorno investirà nel 2022-24 e vi ha
investito nel periodo 2017-19, contro il 34% di quelle del Centro-Nord) e nella formazione
manageriale per nuovi modelli di business (30% contro il 24%).

“La valorizzazione del capitale umano è oggi la vera sfida competitiva per le imprese familiari” ha
concluso Marco Vergeat, Presidente di ASFOR. “la formazione deve perciò aiutare le persone e le
aziende ad adattarsi di più e meglio a una realtà sempre più complessa, senza perdere di vista il
proprio ruolo trasformativo per fare crescere l’eccellenza e l’innovazione. Ciò comporta il
superamento della tradizionale idea di efficienza della prestazione lavorativa per ricomprendere
anche gli importanti aspetti intangibili”.

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Scritto da Redazione Think

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