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In attesa di Masdar City, fate un salto all’autogrill Villoresi

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Cosa vuole dire dare forma fisica e abitata all’energia? Come l’architettura e il design possono contribuire a una delle tante rivoluzioni silenziose e inesorabili che cambieranno la nostra vita ed economia? Cosa succederà nei prossimi decenni, quando i combustibili fossili verranno progressivamente meno? Ecco alcune finestre aperte sul futuro che potrebbe essere – e che è già – in costruzione.

Anna Barbara – Prima finestra. Di recente ho fatto un giro a Masdar City, la città progettata da Foster and Partners che dovrebbe essere alimentata interamente ad energia solare, oltre che produrre zero emissioni e zero rifiuti. Si trova nel deserto degli Emirati Arabi Uniti, a qualche decina di chilometri da Abu Dhabi e ad una manciata dall’aeroporto internazionale della città. Mi incuriosisce parecchio, perché prova a scrivere un nuovo racconto del rapporto tra città ed energia.

Madinat Masdar è stata voluta dallo sceicco Mohammed Bin Zayed Al Nahyan ed è sostenuta economicamente dall’omonima compagnia energetica. L’obiettivo è farne uno degli esperimenti di città sostenibile più significativi al mondo. Via le auto, che verranno sostituite da navette per 150mila persone al giorno. Via il petrolio (che detto qui fa strano visto che il progetto è guidato dall’Abu Dhabi Future Energy Company – ADFEC). Il progetto dovrebbe essere terminato tra 4-5 anni con l’edificazione della parte residenziale, che al momento non è ancora stata avviata. Di Masdar se ne sa più fuori dal paese che dentro, tanto che sono stata proprio io a condurre i miei “accompagnatori” lungo un giro che non vedevano l’ora di fare.

Arriviamo in auto, che lasciamo in un grande parcheggio di un centro commerciale, e da lì accediamo direttamente al ground zero della città: quello logistico.

Diversamente, quello architettonico si trova a un livello +1. Tra qualche anno le auto non si potranno avvicinare così tanto, ma per ora di tutta la rete infrastrutturale esterna non c’è nulla. Il livello zero è quello più complesso perché vi si incrociano due mondi in termini di spazio e di tempo: quello automobilistico (a benzina con tanto di pilota umano) che ti lascia ai margini di quello veicolare elettrico e automatizzato, il PRT (Personal Rapid Transit).

Le immagini futuribili dei rendering che circolano in rete su Masdar City sono sminuite da un sistema un po’ comico. Infatti, le navette ti prelevano da una piattaforma e si muovono in un sistema viario senza pedoni che assomiglia a un circuito delle automobiline, girano in tondo, ognuna seguendo una linea invisibile che non ne incrocia mai un’altra (ecco perché non ci sono incidenti).

La voce di una signorina gentile ti accoglie, ti spiega, ti saluta, ti dice cosa fare e cosa non toccare. Mi turba moltissimo, perché una volta nella vita mi è capitato di progettare la voce di un co-pilota per una casa automobilistica americana e so quanto lavoro ci sia dietro. Bisogna valutare il tono, il volume, la sonorità perentoria e gentile, non metallica e giovane, ma non troppo… mai maschile.

Successivamente, la navetta arriva ad un’altra piattaforma e ti sbarca per farti accedere al piano superiore della città. I sei edifici che al momento costituiscono il quartier generale di Masdar ospitano il Masdar Institute of Science and Technology (in collaborazione con l’MIT), uffici, residenze temporanee e un centro religioso.

Sono veri e propri prototipi in scala 1:1 delle migliori applicazioni delle tecnologie green nel campo dell’eolico e del solare.

Il piano della città è una piccola roccaforte del futuro, con edifici in ETFE e pannelli solari, stradine strette in mezzo ad edifici non più alti di 5 piani. L’orientamento, così come il rapporto tra il costruito e lo spazio aperto, i portici e le finestrature, le moucharabieh riattualizzate sono disegnati e progettati per rendere efficiente l’intero sistema. Un sistema estremamente chiuso verso l’esterno se non fosse per una lunga passeggiata perimetrale che si affaccia sul deserto e sulla parte di cantiere ancora in corso.

Luca Molinari – Seconda finestra. Con un approccio che definirei opposto, guardo ai progetti che Italo Rota ha prodotto per Re-Power in questi ultimi anni nel sud Italia. Non esistono le visioni complessive, assolute e centraliste di Masdar City. Piuttosto, ci ritrovo un approccio al territorio frammentato, puntuale, ad agopuntura, come a risarcire quei luoghi che sono stati già troppo sfruttati e maltrattati.

Re-Power si presenta con una filosofia che, da una parte, indaga tutte le tecniche di sfruttamento energetico evolute, sempre meno invasive e che puntano a rivalutare l’esistente. Dall’altra, immagina nei suoi piani d’intervento tutta una serie di luoghi pubblici e comunitari che risarciscano la popolazione e le offrano nuove opportunità di piacere e scoperta del potere positivo dell’energia pulita. E il lavoro di Italo Rota si posiziona non tanto con una logica di risarcimento estetico dei nuovi impianti industriali, quanto con un approccio partecipativo, in cui i diversi interventi immaginati diventano luoghi inediti dove vivere insieme esperienze alternative e di qualità diffusa.

Il primo progetto su cui Rota e Re-Power hanno cominciato a lavorare è localizzato nel territorio beneventano. Si tratta della realizzazione della centrale idroelettrica di Campolattaro e la nascita di un nuovo, grande Parco delle Quattro Acque. Una riserva in cui la relazione con l’acqua genera spazi diversi che vanno dalle terme agli angoli ludici e informativi, passando per nuove residenze immerse nella natura e in segnali paesaggistici che danno forza alla percezione complessiva del Parco. Il progettista racconta di un lungo lavoro di ascolto della popolazione votato ad attivare un disegno partecipato di questi luoghi. La stessa logica che è stata applicata ai progetti di Gela (centrale termodinamica) e di Saline Joniche (centrale termoelettrica a carbone).

Questa filosofia d’intervento è stata mirabilmente raccontata in un piccolo allestimento prodotto presso la Triennale di Milano durante l’ultimo Salone del Mobile. In quella occasione sono stati realizzati alcuni diorami dalla grafica asciutta e sofisticata che dialogavano con una serie di modelli coloratissimi simulanti le potenzialità e la qualità visionaria di questi nuovi interventi. In effetti, il lavoro di Rota per Re-Power dimostra che l’architettura nei prossimi anni potrebbe esplorare le complesse relazioni tra energia e territori come in un laboratorio sperimentale potentissimo e dalla forte carica visionaria. Queste opere possono diventare simboli concreti di una trasformazione radicale delle nostre terre e della metamorfosi nella relazione che noi attiveremo nei prossimi decenni con l’idea stessa di uso-consumo-risparmio delle nostre risorse.

E non esiste disciplina più potente ed efficace dell’architettura nel produrre simboli che diano forma visibile a un tempo che sta cambiando.

Terza Finestra. Autostrada dei laghi, a nord di Milano, con uno dei suoi più riconoscibili landmark: l’autogrill Villoresi. Ecco, di fronte a quello che forse è un prototipo di caravanserraglio dei giorni nostri, si ergerà tra pochi mesi la costruzione di un nuovo modello di autogrill.

Villoresi Est, disegnato da Total Tool, sarà completamente autonomo dal punto di vista energetico e metterà a sistema quello che già vediamo applicato agli arredi stradali. Ossia coperture fotovoltaiche dei parcheggi, pavimentazioni catalitiche, recupero delle acque meteoriche (i progettisti di Total Tools sono gli stessi della KmZero Road, ossia le strade attive nella produzione di energia). Dal punto di vista sociale, i servizi offerti porranno una particolare attenzione a tutte le categorie di viaggiatori, analogici e non: le famiglie, i camionisti, i motociclisti, i bambini e i pet

Forse, la cosa che mi colpisce di più è il fatto che il progetto poggi sul senso di “luogo” di quello che sarebbe considerato un “non-luogo” per eccellenza: l’autogrill. Si tratta di un capovolgimento del principio che prevede l’esistenza di una comunità stanziale e le risorse viaggianti. Qui accade il contrario ossia, le persone sono mobili e le risorse assolutamente locali.

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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