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In favore dello storytelling dell’Italian Digital Day

innovaizone

Io all’Italiandigitalday di Venaria c’ero, ed ero molto attento, sveglio, pensante e critico.

Ho partecipato attivamente sin dalla prima giornata di venerdì (della quale nessuno in rete fa menzione). Vi ho partecipato come aderente all’associazione Digital Champions e ho portato il mio contributo, assieme a quello di molti altri associati, per la crescita, l’organizzazione, la trasformazione e/o rimodulazione di questa associazione. Venerdì ci siamo dati obbiettivi, strumenti e conoscenza.

Da un paio di giorni leggo in rete un sacco di critiche che, come tutte le critiche fondate e circonstaziate, mi interessano e mi incuriosiscono e dalle quali cerco sempre di imparare qualcosa. Gli insulti, invece non mi interessano. Peccato che spesso arrivino da persone di un certo spessore e che hanno anche ruoli importanti nel campo dell’innovazione digitale.

Tornando alle critiche spesso arrivano da gente che a Venaria non c’è stata e che ha seguito i lavori sui social o attraverso lo streaming del sabato. Comunque tutte le critiche sono incentrate sul sabato e nessuno fa menzione alla giornata di venerdì. Prendo atto che non interessi a nessuno sapere che dentro l’associazione si discute, si critica, si fanno proposte e si cerca di correggere errori che, ovviamente, son stati fatti.

Ammettere che abbiamo fatto anche errori in questo primo anno per noi è normale. Chi scrive solo articoli critici, invece, errori non ne fa mai, perchè si occupa solo di analizzare gli errori degli altri. Prendo atto anche di questo.

Veniamo al sabato e alla critica mossa da molti: ERA UNA NARRAZIONE, UNO STORYTELLING, NULLA PIU’!

Sembra un mantra che rimbalza da un blog a un altro, da un social ai giornali e persino in qualche radio nazionale, come Radio Radicale.

L’analisi che sto per fare non è di difesa a spada tratta dell’operato di Riccardo Luna e dell’Associazione Digital Champions, ma frutto di un analisi dei fatti e delle conseguenze che auspico.

Mi avvicinai a questo movimento/associazione un anno fa su invito di Riccardo e fui il primo a scrivere sul blog collettivo un pensiero costruttivo e una serie di motivazioni che riporto proprio come estratto di quel post:

Ciò che mi attrae è la mission che mai come questa volta punta dritta all’acculturamento, alla persuasione sentimentale, alla logica che sta alla base del ricercare un modo migliore per vivere come obbiettivo sociale e non individuale.

Troppo alto? Direi di no. Per anni ho sostenuto che il problema del digitale in Italia non fosse l’infrastruttura o la tecnologia, bensì la cultura e la propensione ad acculturarsi su temi e paradigmi che non sono legati al mondo dell’Information Technology, bensì a nuovi stili di vita, di lavoro e dunque a una nuova idea di società’.

Durante l’anno passato assieme a tante meravigliose persone (è incredibile quanta passione e quanta voglia di far bene ci sia in questo paese) ho maturato la convinzione, già bene strutturata nel mio pensiero, che la chiave di volta fosse la cultura e la conoscenza. E dunque ho partecipato assieme a un centinaio di membri veneti dell’associazione (chiamiamoli pure D.C. veneti) a diversi momenti di condivisione, conoscenza, acculturamento e riflessione.

Momenti indimenticabili e di forte impatto emotivo.

Altre volte, come a Venaria e non solo, ho seguito i momenti collettivi a livello nazionale che l’associazione si è data, e ho maturato ancora di più la convinzione di cui sopra: cultura e conoscenza sono la base su cui lavorare e insistere, prima di lanciarsi nella fase squisitamente tecnologica e attuativa.

Dunque ecco che mi diventa chiaro, chiarissimo il ruolo e la missione che Riccardo si è dato: alzare l’hype sui temi dell’innovazione digitale. Portare questi temi fra le masse, sui giornali, in televisione, nelle scuole. Parlando semplice e semplicemente a tutti. Usando meno sigle, acronimi e paradigmi tecnologici per rendere il tutto facile, comprensibile soprattutto attraverso la narrazione.

Riccardo usa questo format da anni. Porta sul palco chi ha una storia da raccontare. Una storia di successo da condividere e che sia di esempio per gli altri che ci stanno provando.

Ed è qui che viene attaccato dai soliti soloni:

È solo un cantastorie, uno storyteller, l’innovazione si fa con i fatti di tutti i giorni, non con le manifestazioni pubbliche

Ok, anzi per niente. Sono abbastanza stanco di sentire il termine ‘ventreaterra’, stra usato e abusato da chi non sa o non ha voglia di comunicare o da chi semplicemente fa il suo dovere, quello a cui è chiamato da una funzione o da un compito preciso.

La comunicazione è fondamentale, necessaria e funzionale al cambiamento.

Chi si sognerebbe di accusare Benigni quando rende popolare e comprensibile Dante? Eppur lo fanno, in Italia lo fanno da sempre. Chi si sognerebbe di accusare Angela di banalizzare la scienza? I soloni italiani, ovviamente. E poi giù tutti contro gli chef stellati o i calciatori che diventano opinionisti e lo Zichichi di turno che appare nelle trasmissioni patinate.

Eppure ci son diversi modi per rendere di massa temi complessi, ma son modi che noi italiani spesso schifiamo. Io stesso a volte resto basito dalla banalità e semplicità con la quale gli americani trattano la storia e la scienza attraverso format semplicistici, come nel caso di History Channel o Focus che molti credo conoscano. Eppure quel modo attrae la curiosità e ti permette di consolidare una base di conoscenza basica sulla quale poi specializzarti.

La narrazione basica, enfatica e persuasiva allarga la base di conoscenza. Permette a tutti di accedere a un pezzo della conoscenza che, diversamente, resterebbe patrimonio di pochi.

Il Digital Champion nazionale lo sa da sempre, e si è dato questo compito anche sabato a Venaria. Questa narrazione ha permesso anche al Presidente del consiglio di trattare (bene o male lo diranno i fatti) temi che non sono mai stati di massa.

Sabato scorso giornali e televisioni hanno parlato (si, anche sparlato e confuso) temi a noi cari e sui quali ci immoliamo da anni portando a casa ben pochi risultati. E’ un male questo? E’ così sbagliato?

Torniamo alle critiche. ‘Ma lo fa solo per se stesso, o per il suo cerchio magico e ne trarrà (trarranno) benefici personali‘. Non lo so, forse si, forse no, staremo a vedere, sinceramente mi interessa poco, perchè all’opportunismo e alla scalata sociale son da sempre poco attento e interessato.

Nel mio caso (se qualcuno mi attribuisse vicinanza al cerchio magico) questi sentimenti o ambizioni non ci sono. Il mio piccolo ruolo in questa associazione mi ha creato solo enormi problemi relazionali laddove opero come strutturato. E lo avevo previsto, con consapevolezza. Anzi certezza:

Ultima annotazione per spezzare le polemiche. La scelta che mi vede fra i primi 100 collaboratori di Riccardo mi creerà enormi problemi relazionali nel luogo di lavoro. E’ già successo in altre occasioni (primo fra i 100 non-fannulloni del PA, firmatario fra i primi 100 dell’Agenda Digitale, ecc.) dunque, come sempre ho la scorza dura e vado avanti. Lavorare nella PA ha i suoi pregi ma, diversamente da chi lavora come free-lance, consulente o imprenditore, ha anche i suoi risvolti negativi che sono spesso dettati, anche qui, dalla scarsa cultura che non riesce a vedere le missioni oltre alle persone che le guidano‘.

E proprio in questo specifico ambito vorrei significare un paio di sensazioni legate alla giornata di venerdì. Insomma alla giornata di lavoro e di programmazione futura.

Per la prima volta, da quando lavoro nel settore della PA, ho assistito a un momento che auspicavo da tempo. Quel momento si è concretizzato quando il direttore di Agid Antonio Samaritani, i suoi dirigenti e funzionari (quasi tutti in maglioncino e jeans) si sono presentati ai 300 DC convenuti e hanno presentato in modo semplice (o più semplice del solito) le azioni in progress per il cambiamento in senso digitale della PA italiana.

Di solito Agid è considerata un agenzia pubblica al solo servizio della PA e dei suoi processi interni. Sostanzialmente si occupa del cosiddetto Government To Business che si sostanzia con processi, azioni e tecnologie sconosciute al 99,9% degli italiani.

Proprio venerdì pomeriggio, prima che Samaritani salisse sul palco gli ho detto: ‘Direttore lo sa che per alle imprese Agid è un emerita sconosciuta? Lo sa che i benefici che le azioni in capo ad Agid potrebbero offrire alle imprese non sono percepiti?’

Infatti il suo intervento si è aperto con un sondaggio di conoscenza e poi con una illustrazione basica sulle possibilità offerte dalle azioni faro del Piano Crescita Digitale in senso non certo Gov/PA, ma più in generale in ottica di crescita per la società intera.

È male tutto ciò? La conoscenza e la condivisione con i Digital Champions che poi ne parleranno nei territori a cittadini e imprese per diffondere opportunità, è brutta cosa? Chi lo ha fatto prima di venerdì scorso?

Per sancire ed enfatizzare ancora di più questo aspetto finalmente più aperto e collaborativo di Agid, volevo farvi conoscere un punto di vista da strutturato della PA e dunque in piena crisi di identità visto che il ruolo di associato D.C. viene schifato e osteggiato dalla quasi totalità degli strutturati miei colleghi (non apro qui la parentesi sulla crisi identitaria degli innovatori della PA perchè sarebbe pallosa).

Dunque ieri ho ricevuto una mail da una delle newsletter di Agid (il tema della newsletter è relativo alle competenze digitali). Nella mail si richiamava l’attenzione al tema delle digital skills e si consigliava la lettura dell’ottimo lavoro svolto da Matteo Troia, Digital Champion di Pordenone. A voi sembra banale, ma non lo è per nulla.

Agid ha cominciato a collaborare con questa base volontaria di appassionati che Riccardo ha messo insieme, e probabilmente lo farà in modo più strutturato (tema questo di discussione attuale dentro l’associazione) portando probabilmente scompiglio e smarrimento. Finalmente dico io. Finalmente si rompe quel cerchio di autoreferenzialità pubblica del: ‘faccio tutto io perchè io sono io e voi non siete un c….. (cit.).

E passiamo a sabato e allo storytelling con implicazione politica.Sabato ho portato con me a Venaria due non addetti ai lavori, mia moglie e mio figlio. Loro erano presenti e diversamente da molti osservatori che stanno commentando solo per sentito dire, hanno visto, ascoltato e conosciuto questo mondo dell’innovazione digitale dal di dentro. Hanno anche filtrato alcune mie critiche che non li voleva condizionare ma solo far conoscere meglio l’ambiente in cui erano atterrati.

La giornata di sabato era anche per loro, e soprattutto per quelli che non masticano complessità tecnologica ma che vogliono scoprire cosa è stato fatto di bello in giro per il paese e che possa aiutarli a vivere meglio e, nel caso di mio figlio, studiare meglio.

Il format gli è piaciuto al punto che quando io insistevo per andarmene da Venaria e godere un po’ della bellissima giornata di sole, han voluto rimanere ancora. Solo il mio fastidioso mal di schiena li ha costretti a rinunciare verso le 14.00. Che significa questo parzialissimo punto di vista e di osservazione? Secondo me significa che la narrazione buca fuori dagli ambienti sacrali dei soliti soloni, fuori dagli ambienti ingessati dai soliti tecnocrati cha hanno saputo costruire solo complessità e ritardi ormai cronici nello sviluppo digitale di questo nostro bellissimo paese.

Certo, Riccardo ha il torto di raccontare il bello, perchè il brutto dovrebbe raccontarlo qualcun’altro che, purtroppo, quel sabato c’era e applaudiva anche dalle prime file.

Forse questo è il solo appunto che devo fare alla giornata di sabato. Un’altra volta meno incravattati in prima fila. Un’altra volta con il Presidente del Consiglio mettiamoci solo quelli che han fatto cose belle e che sono ancora in grado di farci sognare.

GIANLUIGI COGOVenezia, 26 Novembre 2015

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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