In vino veritas: tecnologia sostenibile, consumatori consapevoli e storytelling

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Con l’avvicinarsi dell’Expo, si moltiplicano le occasioni per ragionare sull’incontro fra cibo (in tutte le sue varianti), economia e innovazione. Non si tratta di un terreno di discussione particolarmente agevole. La nostra economia il cibo spesso lo spreca e, altrettanto spesso, lo distribuisce con criteri discutibili. Quanto all’innovazione, i problemi sono simili: cibo e ricerca tecnologica sono termini che non vanno necessariamente d’accordo, soprattutto nel nostro paese. Il tema è talmente delicato e controverso da diventare per molti il punto di partenza per una critica del nostro sistema sociale più che una palestra per ragionare di futuro.

Per una volta può essere interessante adottare un punto di vista diverso. A ben guardare il settore del food ha un bel po’ da insegnare, soprattutto a chi vuole capire il senso dei grandi cambiamenti prodotti dalla rete.

L’Italia, contrariamente a quello che spesso pensiamo, è stata apripista di trasformazioni che molto hanno da insegnare a chi punta a essere protagonista della cosiddetta terza rivoluzione industriale.

Prendiamo il settore del vino, in questi anni ha svolto da apripista per tutta una serie di altri prodotti di qualità (birra, cioccolata, pasta, olio e altri ancora).Che ci insegna il vino? Un sacco di cose.La prima ha a che fare con la decrescita, per una volta, davvero felice. Il settore del vino è uno dei pochi comparti economici dove la riduzione delle quantità prodotte e consumate ha coinciso con l’aumento deI valore generato dalle imprese.In effetti, il consumo di vino in questi anni è calato sensibilmente nel nostro paese; pure la produzione è calata.

Nonostante ciò, il business del vino è cresciuto di valore e i nostri produttori, passo dopo passo, hanno saputo conquistato posizioni rilevanti sui mercati internazionali. Davvero un bell’esempio di economia sostenibile.

Credits: eweb4.com

Come è successo tutto questo? Contrariamente a quello che molti immaginavano, il successo del vino non è passato per la crescita e il consolidamento di pochi grandi campioni nazionali, quanto piuttosto attraverso un’ampia schiera di produttori che hanno scommesso sulla varietà dei vigneti autoctoni, legati a territori specifici.

Questa varietà, è importante sottolinearlo, è diventata valore economico grazie a innovazioni tecnologiche molto Made in Italy. Dopo aver pasticciato pericolosamente con la chimica per addomesticare le fermentazioni (un approccio molto in linea con la seconda rivoluzione industriale), i nostri produttori hanno imparato a controllare i processi di vinificazione con la tecnologia del freddo.

Abbiamo imparato a rispettare le differenze nella materia prima e a dargli un valore economico grazie a tecnologie accessibili.

E’ lecito domandarsi come sia possibile che la domanda abbia riconosciuto in tempi relativamente brevi il valore di questi percorsi di differenziazione. Qui le analogie con quanto accade oggi in rete si fanno ancora più stringenti.Se oggi beviamo meglio (e beviamo meno) è perché in Italia sono nate le community del consumo consapevole. Community off line, ante litteram potremmo dire. Grazie alla visione e all’intraprendenza di Veronelli e di molti suoi seguaci, si è diffusa nel paese una cultura sociale della degustazione che si è tradotta in linguaggi condivisi, momenti di apprendimento e di aggregazione sociale. Pochi settori come quello del vino hanno saputo rinnovare le pratiche del consumo, prima off line e ora on line.

E il marketing? Un’altra lezione del vino è quella di aver giocato d’anticipo sul terreno dello storytelling. Il vino, molto prima di altri prodotti, è stato proposto come parte di una storia complessa i cui protagonisti sono la terra, gli uomini, il lavoro, le cantine. Molto prima di altri prodotti, il vino ha rinunciato ad utilizzare la marca come sipario per distogliere il consumatore dal tema della produzione. I produttori di vino, al contrario, hanno costruito il proprio valore raccontando per primi il proprio prodotto, il proprio territorio e un modo specifico di lavorare. Le cantine, i luoghi della produzione, diventano spazi di accoglienza e di socializzazione (si pensi al successo di Cantine Aperte).

Cantine Aperte. Credits: Movimento Turismo del Vino

Insomma, il vino, e col vino tanti altri prodotti italiani, hanno avviato in questi anni un percorso di rilancio che ha coinciso con una nuova idea di valore economico. La scommessa sulla varietà (a scapito delle economie di scala), su un consumatore consapevole e curioso (che non si limita ad assorbire passivamente pubblicità) e su nuove forme di comunicazione (il racconto a scapito dell’advertising) è la scommessa con cui si dovranno confrontare tanti artigiani di nuovo conio che oggi si avvicinano al potenziale del digital manufacturing.Per questo la lezione del cibo italiano va presa molto sul serio.

STEFANO MICELLI

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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