Un intruso. Negli anni, chi ha subito un sinistro spesso si è sentiti come un intruso, soffocato in un rapporto fra periti, intermediari e assicuratori. L’innovazione e la tecnologia nel claims management hanno apportato un nuovo valore: una propensione alla centralità del cliente. È tenendo a mente questo punto che opera Insoore, piattaforma che consente alle compagnie assicurative di gestire con efficienza la gestione dei sinistri. A Think ne parla Enrico Scianaro, CEO di Insoore.
Qual è la vostra mission?
“Migliorare il processo di gestione dei sinistri rendendolo snello, all’avanguardia e tenendo alta l’attenzione alla customer experience.
Noi siamo una realtà insurtech – quindi lavoriamo per portare innovazione nel campo assicurativo – e in particolare operiamo nel claims management, la gestione dei sinistri“.
In che modo avete cambiato il mercato di riferimento?
“Il nostro modello si concentra su tre aspetti: efficienza, velocità, assistenza diretta. In cosa si traduce? Provo a spiegarlo in breve. L’assicurato denuncia un sinistro alla propria compagnia, la quale in tempo reale ci affida l’incarico. Tramite il nostro back office, contattiamo subito l’assicurato per fissare un appuntamento ed effettuare l’ispezione. L’assicurato non deve preoccuparsi di nulla: siamo noi a raggiungerlo dove e quando preferisce. A casa, a lavoro, in vacanza: arriviamo ovunque. E questo è possibile perché abbiamo creato una community di esperti, che chiamiamo Insoorer, presenti capillarmente sul territorio.
La rilevazione viene effettuata tramite l’app di Insoore, e tutta la documentazione è disponibile così in tempo reale per il nostro team di periti che a quel punto redige la perizia e la consegna alla compagnia. Così, i tempi complessivi del processo sono notevolmente ridotti e in pochi giorni all’assicurato arriva il risarcimento dovuto. Con il nostro modello, le compagnie possono seguire tutti gli step del processo attraverso un’unica piattaforma. Non solo: hanno l’opportunità di offrire un servizio ancora più orientato alla customer satisfaction, di abbattere tempi e costi di gestione, di ridurre il rischio frodi. Un modello che sta dimostrando di funzionare bene: ci hanno scelto i più importanti gruppi assicurativi, aziende di fleet management, broker e case auto”.
Come operate?
“Tenendo presente l’importanza di fare squadra, valorizzando però sempre il singolo. La mia idea di azienda è di uno spazio nel quale si sta bene, si ha voglia di dare il meglio, di mettersi in gioco. Per questo, tengo particolarmente al fatto che dentro Insoore si lavori bene in team, si condividano le competenze, le idee. Organizziamo spesso momenti di team building. Dopo il lockdown, abbiamo chiesto tramite un questionario a tutto il team come avesse vissuto quei momenti e anche come si trovasse con lo smart working. Una delle risposte che mi ha reso felice riguardava proprio il rapporto tra colleghi: anche a distanza si è mantenuto un rapporto vivo, ci si è sentiti non solo per questioni legate al lavoro. E poi, tra i motivi più importanti per i quali valesse la pena tornare, insieme alle riunioni dal vivo e ai confronti, è stata segnalata proprio la voglia di rivedersi. Penso sia un enorme valore aggiunto, perché non è così comune che in ufficio ci sia una bella atmosfera. Sono felice per questo: siamo un grande team”
Quali sono gli scogli del settore assicurativo e in che modo il digitale può contribuire a superarli?
“Il settore assicurativo sta vivendo un momento di radicale cambiamento, dovuto alla ormai necessaria digitalizzazione. Una trasformazione che di certo non è semplice per un settore così complesso e pachidermico in fatto di rivoluzioni come è quello delle assicurazioni. Una trasformazione tuttavia inevitabile per almeno tre ragioni. La prima ha a che vedere con gli assicurati, che hanno ormai confidenza con il digitale e si aspettano che la propria compagnia sia all’avanguardia. La seconda ha a che fare con la concorrenza: diversi studi dimostrano che le compagnie che non investiranno nella digital transformation avranno difficoltà a rimanere competitive. Il terzo, infine, ha a che vedere a mio avviso con la natura stessa delle assicurazioni. Mi riferisco a tutte quelle tecnologie destinate con ogni probabilità a rendere predittive le compagnie. In futuro, molto si concentrerà sulla capacità di prevenire un evento negativo, grazie alla raccolta e all’analisi delle grandi quantità di dati che si avranno a disposizione. Ecco, penso che sta proprio qui il vero cambiamento: immaginare il mondo che sarà. E immaginare, di conseguenza, come starci nel modo migliore, mantenendo la propria identità. Con Insoore abbiamo iniziato questa avventura nel 2017, nella piena esplosione dell’insurtech. Posso dire di aver visto come è cambiato – e continua a cambiare – l’approccio delle assicurazioni nei confronti delle nuove tecnologie. L’iniziale diffidenza ha lasciato spazio alla crescente curiosità, che è diventata poi fiducia di fronte a evidenti ottimi risultati ottenuti dalle realtà nascenti e che via via andavano consolidandosi, come è successo a Insoore. L’emergenza Coronavirus credo abbia dato la definitiva dimostrazione del fatto che non si può più fare a meno di entrare nell’era digitale in modo deciso”.
Quanto è importante il trattamento del dato del cliente e dei sinistri?
“Fondamentale. Perché, come dicevo, è tramite le grandi quantità di dati che si potrà operare, per esempio, in termini predittivi. Nella gestione dei sinistri, le grandi quantità di dati permetteranno di sfruttare al meglio le possibilità offerte da tecnologie come l’intelligenza artificiale o il machine learning: si potrà stabilire l’entità di un danno in pochi secondi. E poi ci sono i chatbot, che proprio grazie alla conoscenza dei dati dei clienti potranno offrire un servizio più veloce, efficiente, ed evitare perdite di tempo. Ma è fondamentale non lasciarsi mai affascinare troppo dalla tecnologia e rimanere con l’attenzione alta verso quello che siamo: persone. Per questo, non ci si può dimenticare di trattare i dati nel pieno rispetto della persona, della sua sfera privata, della sua vita, della sua dignità“.
Insoore si basa su una community di esperti pronti a raggiungere gli assicurati nel luogo necessario. La pandemia ha accelerato questo approccio più customer-oriented?
“No, non lo ha accelerato. Abbiamo deciso di fermare la community nei giorni più critici del lockdown. Abbiamo creduto fosse importante proteggere i nostri Insoorer e anche gli assicurati. Però abbiamo fatto di tutto per non fermarci. In poco tempo abbiamo messo in piedi soluzioni utili per continuare a offrire i servizi ai nostri clienti. Si tratta comunque di servizi aggiuntivi, soluzioni temporanee: la community resta centrale nel nostro modello.
Siete nati nell’acceleratore di startup, Luiss Enlabs. È possibile fare innovazione in Italia?
“Certo che è possibile. Aver partecipato al programma di accelerazione è stata senza dubbio un’esperienza fondamentale. Per avviare il business e per entrare in contatto con investitori, clienti, altre startup. Nel percorso di accelerazione puoi vedere un’idea diventare un’impresa, puoi essere supportato da chi ha decennale esperienza, puoi conoscere possibili investitori. Non è poco”.
A tal proposito, quali difficoltà incontra una startup rispetto a quelle di altri Paesi?
“Io trovo che la principale difficoltà abbia a che vedere con una cultura imprenditoriale ancora non abituata al modello startup per come è nato e per come si è diffuso in altri Paesi. In Italia abbiamo minor propensione al rischio, cerchiamo garanzie. Ma questo non vuol dire che non ci sia la propensione a fare innovazione o ad aprirsi a nuovi modelli. Solo, a mio avviso il processo è più lento che altrove. E poi ci fidiamo poco anche dei giovani, delle loro intuizioni. Pensiamo che le grandi responsabilità richiedano parecchia esperienza, decennale esperienza. Non sempre è vero: ci sono ragazzi molto, molto in gamba, capaci di gestire enormi responsabilità seppur giovani. Vale ovviamente anche il contrario: le idee dirompenti non sempre arrivano dalle giovani menti. Aggiungerei un altro elemento: la burocrazia. Per come è pensata in Italia spesso non aiuta a fare innovazione o a mettere su un’impresa”.
Nella foto (da sinistra): Gerardo Gorga, EnricoScianaro, FedericoSantini e VitoArconzo