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Intelligenza, impegno e fatica: la vera storia di Astrosamantha, icona femminile in un mondo maschile

scienze

Non capisco come mai il documentario Astrosamantha sia stato programmato in date anonime come 1 e 2 Marzo. Dopo tutto, sarebbe bastato aspettare una settimana per cadere su una data molto più simbolica: la Festa della donna. Festeggiare l’8 marzo con un documentario sulla prima astronauta italiana avrebbe offerto una perfetta occasione per sottolineare un modello femminile così inconsueto, ma così presente nell’immaginario collettivo.

Anche se nel documentario tutto scorre in modo pacato e naturale, apparentemente senza tensioni e senza difficoltà, fare l’astronauta non è una carriera semplice e le donne che hanno partecipato a missioni in orbita sono circa il 10% del totale degli astronauti (59 femminucce contro 477 maschietti).

La prima donna nello spazio è stata la russa Valentina Tereskova nel 1963, una bandiera dell’uguaglianza uomo-donna nell’Unione Sovietica.

Esempio non imitato dalla NASA che per molti anni ha rifiutato persino di considerare candidature femminili per il corpo degli astronauti.

La chiusura è stata così totale che nessuno ha mai saputo degli sforzi, purtroppo finiti nel nulla, fatti tra il 1960 ed il 1962 da un gruppo di 13 donne piloti che Martha Ackmann descrive nel libro Mercury 13. La vera storia di tredici donne e del sogno di volare nello spazio, Springer, uscito nel 2012.

È una storia di maschilismo anni ’60 quando, nella selezione dei candidati astronauti, nessuno aveva nemmeno lontanamente pensato che forse sarebbe stato opportuno considerare anche candidature di esseri di genere femminile.

I primi astronauti erano tutti piloti collaudatori, una professione all’epoca preclusa alle donne. Non che mancassero donne con la passione del volo, semplicemente mancava la volontà di riconoscere e valorizzare le loro capacità.

Vuoi per maschilismo, vuoi per conformismo, vuoi per pigrizia, la NASA proprio non aveva voluto saperne di considerare le donne nel corpo degli astronauti.

Una delle 13 aviatrici era moglie di un senatore democratico (oltre ad essere madre di otto figli) ed ebbe l’idea di tentare la strada della politica. Prima incontrarono l’allora vicepresidente Lyndon Johnson, che non si dimostrò affatto sensibile alle loro istanze, poi ottennero una audizione parlamentare per discutere di possibili discriminazioni messe in atto dalla NASA nella selezione degli astronauti. Alla fine, la Nasa semplicemente ammise che aprire alle donne lo spazio non “era una priorità”, e tale rimase per molti anni.

La prima astronauta americana sarà Sally Ride che volerà nel 1983, 20 anni dopo Valentina.

Bisogna aggiungere che anche i russi, dopo l’exploit propagandistico, hanno fatto passare 19 anni prima di fare volare la loro seconda astronauta che è partita nel 1982. La nostra Samantha è stata la 59esima donna astronauta, la prima italiana dopo 4 russe, 43 americane, 2 canadesi, 2 giapponesi, 1 inglese, 1 francese, 1 indiana, 1 coreana, 2 cinesi (volate su navette cinesi) e una turista spaziale iraniana-americana.

Samatha Cristoforetti, scelta tra 8500 candidati

La storia di Astrosamantha inizia nel 2009 quando, insieme ad altri cinque aspiranti astronauti, viene selezionata tra 8500 candidati. Per lei, la vita cambia ed inizia un periodo di addestramento a tutto campo. Perché il volo possa svolgersi in condizioni di relativa sicurezza, la carriera degli astronauti, uomini e donne, richiede lunghi e minuziosi addestramenti, in varie parti del mondo.

Gli europei iniziano l’addestramento al centro astronauti dell’ESA a Colonia, in Germania, poi passano nelle mani della NASA a Houston ed infine approdano in Russia alla Città delle Stelle, vicino a Mosca dove fanno l’ultima sessione di prove e preparativi prima del trasferimento alla base di lancio di Baikonur, la stessa dalla quale è partito Yuri Gagarin, nel 1961. Da quando la Shuttle è andato in pensione, nel 2011, è da Baikonur che devono partire tutti gli astronauti che vogliono raggiungere la Stazione Spaziale Internazionale.

Questo percorso di preparazione senza frontiere ha interessanti implicazioni linguistiche dal momento che gli astronauti devono essere in grado di interagire con il centro di controllo americano e con quello russo, sostenendo conversazioni concitate, in caso di emergenza, leggere manuali in inglese ed in russo, gestire computer con schermate in russo.

Aggiungiamo che l’addestramento non è solo tecnologico: gli astronauti devono anche fare dei corsi di sopravvivenza perché devono potersela cavare in caso l’atterraggio non vada benissimo e la loro navicella finisca lontano dal punto previsto, magari in mezzo ad una foresta.

Come tutti gli astronauti, Samantha ha dovuto imparare come funzionano tutti i sottosistemi che rendono abitabile la stazione spaziale, dall’idraulica, all’elettronica alla meccanica, per sapere dove intervenire in caso di guasto ma, soprattutto, per sopravvivere durante un’emergenza. Cosa bisogna fare in caso di incendio a bordo, di depressurizzazione, di perdita di ammoniaca (che viene usata nei circuiti refrigeranti che devono mantenere costante la temperatura della ISS impedendo che si surriscaldi quando è al Sole)?

Gli astronauti non devono avere esitazioni, dalla rapidità di risposta dipende la loro salvezza. Per questo, le situazioni di emergenza vengono simulate nella fedele ricostruzione della stazione spaziale disponibile nel centro di addestramento di Houston. A parte la gravità, che tiene gli astronauti ancorati a terra, è tutto come in orbita. In effetti, la Stazione Spaziale è ricostruita anche in una mega piscina dove gli astronauti si addestrano sott’acqua, cioè nell’ambiente che, sulla terra, meglio simula la mancanza di gravità.

Dal momento che gli astronauti raggiungono la ISS con la Soyuz russa, tutti devono passare dalla Città delle Stelle, non lontano da Mosca. Samantha arriva in Russia alla fine dell’estate 2014, quando già le sanzioni avevano interrotto le relazioni commerciali tra la Russia e l’occidente. Tuttavia non notiamo nulla di strano. Mentre Obama tuonava contro Putin, la NASA si affrettava a dire che la collaborazione spaziale con la Russia non era in discussione e un riluttante congresso, a maggioranza repubblicana, doveva approvare il pagamento all’agenzia spaziale russa dei sempre più salati biglietti di andata e ritorno per gli astronauti americani.

Campionessa femminile di permanenza nello spazio (199 giorni)

Per poter continuare ad avere astronauti sulla stazione spaziale, la politica ha dovuto esentare lo spazio dalle sanzioni. Alla Città delle Stelle la vita scorre tranquilla tra un test in centrifuga e un esame medico. L’ambiente è diverso dal centro di Houston, ma Samantha non fa una piega, inforca la bicicletta e si muove con grande naturalezza tra le betulle russe. Le sequenze girate nella Città delle Stelle ricordano quelle di un altro documentario di qualche anno fa, Space Tourists dedicato, appunto all’addestramento dei turisti spaziali, con particolare riferimento alla prima donna, Anoushes Ansari, una ricca imprenditrice americana di origine iraniana.

Come si intuisce dal titolo, si tratta della storia dei turisti spaziali che i russi, per vile moneta, portavano in visita alla ISS. Una settimana tutto compreso si aggirava su qualche decina di milioni di dollari. All’inizio di parlava di 20 milioni, ma poi i prezzi sono saliti anche perché, con tutto il traffico di astronauti non russi, i posti sulle Soyuz (rigorosamente tre per viaggio) sono tutti prenotati.

Samantha si sottopone di buon grado al cerimoniale dei cosmonauti che, prima di partire, portano garofani rossi sulla tomba di Gagarin, il primo cosmonauta, e di Sergei Koraliov, il grande progettista dell’avventura spaziale russa. A Baikonur saluta i genitori, comprensibilmente commossi, e riceve la benedizione del Pope, un particolare che non avevo mai visto prima, né in filmati di epoca sovietica, né in quelli più recenti. Poi si parte su una colonna di fuoco. L’abitacolo è piccolissimo e l’arrivo nella stazione, ben più spaziosa, è una liberazione.

Così sono cominciati i 199 giorni in orbita che hanno reso la nostra astronauta la campionessa femminile di permanenza nello spazio. Samantha, benché irraggiungibile nella sua casa orbitante, è stata una presenza costante. Seguitissima sull’account Twitter @AstroSamantha, ci ha permesso di condividere la sua avventura e di godere di panorami fantastici magari sopra una tazza di caffè, il primo espresso nella spazio. L’abbiamo vista partecipare, più o meno in tempo reale, a trasmissioni televisive, a eventi ufficiali, a incontri con studenti di scuole di ogni ordine e grado. Il sorriso, il tono pacato della voce, la disponibilità che ha sempre dimostrato l’hanno resa un’icona.

Dobbiamo ringraziarla perché rappresenta un bellissimo modello femminile, un esempio di donna che insegue i suoi sogni e, pur continuando a sorridere, riesce a imporsi in un ambiente tutto maschile.

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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