La settimana scorsa, è spopolata la notizia relativa a Neuralink, nuova venture di Elon Musk, che ha mostrato un video di un macao che gioca a Pong. Come? Grazie ad un dispositivo wireless impiantato nella mente che riesce a leggerne i segnali e a interpretarne i comandi. Le tecnologie che rendono possibile una tale comunicazione fra un computer e il cervello sono chiamate “interfaccia neuralì” (Brain-Computer Interface).
Che cos’è un’interfaccia neurale?
Un’interfaccia neurale è una tecnologia progettata per essere collegata direttamente al sistema nervoso, ovvero: al cervello, alla retina dell’occhio (che in realtà è una parte del cervello stesso), alla spina dorsale o al sistema nervoso periferico. Le tecnologie di Neuralink sono progettate per leggere e decodificare segnali neurali a partire da singoli neuroni, in determinate parti del cervello, nel tentativo di capire gli output della nostra mente.
Gli output, anziché andare alle braccia della scimmia o alla persona che controlla il joy stick con cui gioca a Pong, vanno al computer che gioca al posto loro.
Come sono riusciti a fare ciò? Elettrodi specificatamente progettati vengono impiantati in una specifica regione del cervello dove vengono registrati i segnali neurali. Questi segnali vengono, a loro volta, decodificati. A questo punto, le risposte del cervello vengono interpretate da modelli matematici e algoritmi informatici che traggono vantaggio dalle diffuse conoscenze sul funzionamento del cervello. Infine, i comandi interpretati dal computer sono usati per eseguire le funzioni desiderate come controllare un braccio robotico, generare un discorso o giocare a un video games.
Essendo l’interfaccia neurale una tecnologia molto invasiva, il suo utilizzo viene perlopiù impiegato con i pazienti che soffrono di debilitanti malattie neurologiche.
In particolare, si tratta di malattie che impediscono la motricità come paralisi dovute a infortuni alla spina dorsale o incidenti. L’impatto che queste tecnologie possono avere sulla qualità della vita di questi pazienti e in quella delle loro famiglia non deve, però, essere sopravvalutato.
L’evoluzione da interfacce a connessione cablata a interfacce wireless
Fino a tempi relativamente recenti, le interfacce neurali impiantabili chirurgicamente richiedevano connessioni cablate tra il cervello e il computer a cui erano collegati i fili. Questo comportava diversi rischi e svantaggi. Gli elettrodi possono muoversi in moti imprevedibili quando le forze meccaniche vengono esercitate sui fili. Ciò può condurre a significativi rischi di infezione e danni. Ma, più recentemente, le interfacce neurali sono state impiantate in modalità wireless.
L’intero dispositivo è autonomo all’interno del cranio e del cervello senza fili esterni e sporgenti. Ad oggi, le interfacce comunicano con i computer esterni usando vari protocolli e algoritmi che si trasmettono “attraverso l’area”. La modalità è la stessa con cui funzionano i dispositivi connessi tramite Bluetooth e Wi-fi.
L’interfaccia neurale non invasivo è molto diverso da quello invasivo impiantato chirurgicamente. Le interfacce neurali non invasive, per leggere e interpretare le onde cerebrali si basano sull’elettroencefalografia (EEG) e su metodi correlati. Non richiedono elettrodi impiantati chirurgicamente, ma elettrodi esterni integrati in fattori di forma che un utente può indossare e togliere se necessario, come un berretto.
I principali problemi legati all’utilizzo dell’interfaccia neurale
A causa della complessità iniziale e dello sforzo richiesto nella costruzione di questi dispositivi, una volta costruiti e testati, i dettagli di progettazione e ingegneria sono praticamente fissi. Ciò significa che anche la funzionalità della tecnologia, cosa può fare e come opera, è limitata ai vincoli imposti dalle sue specifiche di progetto. Ciò si rivela un problema considerando che i requisiti e le esigenze dei diversi pazienti variano in misura significativa da individuo a individuo. Anche per i pazienti a cui è stata diagnosticata la stessa malattia.
Tuttavia, con l’integrazione del machine learning alle interfacce neurali, un giorno queste potrebbero essere in grado di apprendere e anticipare i bisogni contestuali alle situazioni in cui si trova un paziente. Tali interfacce saranno in grado di regolare i loro output e le loro funzioni quasi in tempo reale per adattarsi ai cambiamenti cognitivi e fisici che avvengono nelle persone. Oppure ancora, saranno in grado di applicare ciò che apprendono in uno scenario e in un insieme specifico di condizioni alle esigenze del paziente in un diverso scenario e diverso insieme di condizioni. Tutto senza che sia necessaria l’interpretazione o il coinvolgimento di un altro essere umano.
Un giorno, col proseguire della ricerca, i futuri pazienti che necessitano dell’utilizzo di interfacce neurali potenziate, così come le loro famiglie, saranno i beneficiari finali di queste tecnologie e della confluenza degli sforzi di migliaia di scienziati, ingegneri e medici. Questa è una speranza che vale la pena perseguire collettivamente.
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