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Internet non è nata come progetto militare, mettetevelo in testa

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Chi di voi non ha mai sentito dire che Internet è nata da un progetto militare? L’avrete di sicuro sentito in un convegno, o in tv. Anche famosi giornalisti sono caduti nell’errore. E perseverano.

Però non è vero. Internet, la rete delle reti, è nata come un progetto di condivisione delle risorse scientifiche, accademiche e finanziarie della ricerca di base americana, finanziata da un’agenzia della Difesa ma senza l’obiettivo di essere usata a scopi militari.

In realtà Internet è il più grande progetto della storia basato sulla collaborazione di militari, accademici, hacker e industriali.

Ripercorriamone la storia. Era il 1957 quando il presidente Dwight David Eisenhower, l’uomo che da generale aveva guidato lo sbarco alleato in Normandia, preoccupato che l’America perdesse la supremazia tecnologica, e quindi economica, militare e politica dopo il lancio nello spazio del satellite russo Sputnik, decise di avviare un grande progetto di ricerca per contrastare la messa in campo di un milione di scienziati russi e ridare all’America il posto che le spettava.

Convocò alcune tra le menti più brillanti dell’epoca e spiegò loro quello che era necessario fare dimostrando di aver recepito l’appello di Vannevar Bush a investire nella ricerca di base che “porta a nuove conoscenze, genera capitale scientifico, crea la riserva dalla quale le applicazioni pratiche del sapere devono essere attinte.” (Manifesto per la rinascita di una nazione, Torino, Bollati Boringhieri, 2013).

Bush, il “generale della fisica” già a capo del progetto Manhattan, e teorico del personal computer, era convinto che la fisica nucleare, i laser, i radar e l’informatica fossero necessari alla difesa nazionale, ma anche che essendo frutto di nuove acquisizioni e conoscenze in ogni campo della scienza, fossero fondamentali per lo sviluppo industriale e l’egemonia economica del paese.

Superate le resistenze del presidente Truman, questo approccio fu la base per lo sviluppo postbellico di molti enti di ricerca americani come la Rand corporation, lo Stanford Research Center, l’Augmentation research Center e lo Xerox Park, tutte realtà che avrebbe contribuito poi allo sviluppo di Internet.

Torniamo ad Eisenhower. Nominò il rettore del Mit James Killian suo consigliere scientifico e per espandere la capacità tecnica e scientifica del paese creò l’ARPA – Advanced Research Project Agency che Killian inserì nel contesto del Pentagono. L’Arpa, la futura culla di Internet, nasce nel 1958 e sarà solo nel 1972 che acquisirà il nome DARPA – Defence Advanced Research Project Agency per indicare che il suo scopo era la difesa militare.

In questo nome c’è il primo equivoco che vuole Internet nato come progetto militare perché finanziata da un’agenzia militare: l’Arpa non lo era.

Arrivano gli psicologi

Nel 1962 a capo della sezione Command and Control fu posto uno psicologo, Joseph R. Licklider, che aveva lavorato al Mit quando gli hacker del Tech Model Railroad Club creavano Spacewar e inventavano i sistemi per il time sharing informatico.Licklider era un teorico delle reti decentralizzate e dell’interazione uomo macchina, uno che aveva il pallino di semplificare le interfacce tra uomini e computer. Non è un caso che fosse amico di Norbert Wiener, il creatore della parola cibernetica. Licklider divenne capo dell’ufficio che finanziò Arpanet, la madre di Internet.

Prima di allora si occupava di come i computer avrebbero trasformato le bblioteche, un concetto che preconizzava Internet e che in The Libraries of the future (1965) ipotizzò i motori di ricerca.

Dopo essere stato chiamato a dirigere l’Ufficio elaborazione informazioni del’Arpa (Command and control research) creò l’IPTO (Information Processing Tecquines Office) per lavorare sul concetto di network, o meglio all’Intergalactic Computer network, come lui lo chiamava. A quell’epoca era l’Arpa che finanziava l’acquisto dei grandi mainframe universitari, computer che occupavano stanzoni chiusi a chiave e che erano l’obiettivo notturno degli studenti di informatica, i reality hackers, che aspiravano ad usarli senza permesso forzandone le porte e migliorandone le prestazioni (S. Levy, 1984).

A sviluppare l’idea di un network di computer intergalattico gli successe Robert Taylor, psicologo esperto di psicoacustica e fattori umani, che ne raffinò le intuizioni, convinto che fosse dispendioso moltiplicare i centri di ricerca e dotarli ciascuno di elaboratori potentissimi che facevano bene una e una sola cosa, quando le loro capacità computazionali potevano essere condivise, in rete, con la tecnologia che aveva sostituito il batch processing, cioè il time sharing, come aveva immaginato Licklider. Il time sharing non era altro che la condivisione delle risorse di calcolo di un computer che rispondeva alle richieste degli utenti in maniera sequenziale eliminando i tempi morti tra differenti input.

L’illuminazione gli venne quando, frustrato da dover usare tre diversi terminali con tre diverse password per svolgere tre diversi compiti collegato a tre diversi sistemi, pensò: “Dovrei poter accedere a qualsiasi sistema da un unico terminale!” (Walter Isaacson, Gli Innovatori, Mondadori, 2014). Andò dal direttore dell’ARPA Charles Herzfeld e gli fece un accalorato discorso sull’importanza di un unico network finanziato dall’Arpa che obbligasse tutti i suoi contractors a usarlo condividendo le proprie risorse informatiche. Herzfeld fu d’accordo e per farlo usò i soldi destinati allo sviluppo di un sistema missilistico.

Nel 1966 arriva all’Arpa Larry Roberts, ingegnere, il prototipo del genio, un maker diremmo oggi, che, adolescente, aveva già costruito un televisore, una radio, un sistema telefonico, nella cantina di casa. Nel 1967 presentò il suo piano per ARPA Net (poi Arpanet): una rete distribuita di computer per evitare gli spostamenti umani e usare le risorse di calcolo laddove c’erano già. A questo punto rimaneva da capire come far comunicare i grandi computer dei centri di ricerca a distanza attraverso delle linee telefoniche. Gli vennero in aiuto gli studi di Leonard Kleinrock (1961), Paul Baran (1964) e Donald Davies (1968) sulla Commutazione di pacchetto, la tecnologia rivoluzionaria che è alla base della trasmissione dei dati su Internet (e a cui i tre ricercatori erano arrivati in maniera indipendente, ma “packet Switching” fu coniata da Davies).

Trenini di dati

La Commutazione di pacchetto era basata su un assunto molto semplice: trasformare i messaggi in un trenino di dati i cui “vagoni”, di fronte a un ostacolo, un nodo occupato o fuori uso, potevano correre separati e poi ricongiungersi a destinazione grazie a dei metadati che indicavano dove essere recapitati. “La maggior parte del blocco dei messaggi (a 1024 bit, ndr), sarà occupata dai contenuti da trasmettere, mentre la parte residua conterrà informazioni di gestione, come il rilevamento di un errore o i dati di instradamento” spiegava Paul Baran in Distributed communication nel 1964 e che Larry Roberts aveva letto nel 1967.

Ecco l’equivoco di una rete costruita per resistere a un attacco termonucleare globale.

Primo perché Baran lavorava per la Rand Corporation, un complesso militare-industriale che aveva stretti legami col Pentagono e sede a Santa Barbara in California, secondo, perché era convinto che un sistema di comunicazione indistruttibile avrebbe convinto russi e americani a non attaccare per primi visto che l’attacco, incapace di distruggere le funzioni di comunicazione dei rispettivi eserciti, non avrebbe impedito l’inevitabile rappresaglia.

Era la logica della guerra fredda. Baran voleva che i russi lo sapessero e ha sempre insistito per mantenere la sua ricerca pubblica e non segreta. E ci riuscì, grazie a Larry Robert e Robert Taylor. E riuscì a superare le resistenze delle compagnie telefoniche che, volendo affermare una rete proprietaria con protocolli di comunicazione proprietari (usavano la tecnologia a commutazione di circuito) cercarono addirittura di sabotarne gli studi.

La trasmissione dei dati e i router

Ma anche se ci sono sono molti modi di inviare dati attraverso una rete, a farlo sono dei computer che funzionano da hub, nodi, collegati da una linea di comunicazione (telefonica). All’epoca erano pochi e tenuti sotto stretta sorveglianza considerati i costi. Taylor e Roberts riuscirono però a convincere le università che non ci avrebbero rimesso offrendo potenza computazionale ai vicini, grazie all’intuizione di Wes Clark, il progettista degli IMP, gli Interface Messagge Processor. Gli Imp erano computer intermedi capaci di instradare il traffico tra le macchine e che oggi chiamiamo router: avevano il triplice vantaggio di non sovraccaricare i mainframe, standardizzare il network e instradare il traffico in maniera distribuita. Gli Imp vennero realizzati da una piccola azienda, la Bolton, Baraneck e Newman nel gennaio del 1969.

Così i primi nodi di Arpanet vennero scelti: l’UCLA, University of California Los Angeles, lo SRI, Stanford Research Center, l’Università dello Utah e l’UCSB, Università della Calaifornia, Santa Barbara.

Nell’aprile del 1969, grazie all’intuizione di Stephen Crocker, attuale direttore dell’Icann, il brainstorming prodotto dalla sua prima Request For Comments, una richiesta informale di commenti tecnici recapitata per posta ordinaria ai membri dell’Internet Working Group, affrontava il problema di come collegare gli host agli Imp.

Stabilito come dovessero comportarsi, il 29 Ottobre 1969 venivano collegati i primi due nodi della rete fra l’Ucla e lo SRI. Era nata Arpanet.

Quindi l’idea della comunicazione distribuita, i protocolli liberi, le richieste di commento, la commutazione di pacchetto e i router sono alla base di quella che diventerà l’Internet che usiamo tutti i giorni e che i ricercatori avevano pensato per impedire la guerra e non per farla.

Da Arpanet a Internet

A quel punto Internet, che si chiamava ancora Arpanet, era solo una delle tante reti esistenti come ALOHANET, PRNET, SATNET, incompatibili e non interoperabili tra di loro. Perciò rimaneva il problema di farle comunicare. A questo ovviarono gli studi di Robert Kahn prima e di Vinton Cerf poi, i quali elaborarono un protocollo aperto, l’Internet Protocol, per consentire il dialogo tra diversi computer e gli sovrapposero un protocollo di controllo, il Transfer Control Protocol (da qui il nome TCP/IP). Grazie a questo protocollo le reti proprietarie e isolate dei grandi centri di ricerca poterono parlarsi con un linguaggio comune. Insieme a Cerf, Bob Kahn scrisse le RFC per meglio definire i protocolli di Internet e il giorno in cui disegnarono insieme la ragnatela che rappresentava i nodi host e i gateway che trasferivano i pacchetti da un nodo all’altro possiamo dire che era per davvero nata Internet. Era l’ottobre del 1973.

Quando Kahn cominciò a lavorare al progetto agli inizi del 1973 lo chiamò Internetwork: il nome Internet, con la I maiuscola, viene da qui.

Internet sostituì il nome Arpanet solo nel 1983 per differenziarla da Milnet, la rete eplicitamente usata a scopi militari.

Quindi, nonostante qualcuno nel futuro vorrà rivendicare il ruolo avuto dai finanziamenti della Difesa per dire che Internet nacque da un progetto militare si sbaglia: Internet è la più grande impresa scientifica collaborativa mai realizzata al mondo. Già dal 1968 per gli psicologi che furono a capo sia dell’ufficio che la finanziava che del progetto stesso, Licklider e Taylor, era un apparato di comunicazione per far dialogare gli scienziati tra di loro e, vista la naturale tendenza a creare connessioni paritarie e comunità online (The computer as a communication device, 1968) sarebbe diventata la base della collaborazione mondiale di comunità di interessi.

Per togliersi ogni dubbio basta leggere cosa ne scrisse Charles Herzfeld, austriaco trapiantato negli Usa alla guida di Arpanet dagli inizi di questa storia: “Arpanet non è nata con l’obiettivo di creare un sistema di comando e controllo in grado di sopravvivere a un attacco nucleare. Realizzare un tale sistema era una necessità dell’esercito, ma non era una missione dell’Arpa.” Più chiaro di così.

La storia di Arpanet in una timeline

Bibliografia ragionata

Walter Isaacson, Gli Innovatori, Mondadori, 2014

Vannevar Bush, Manifesto per la rinascita di una nazione, Torino, Bollati Boringhieri, 2013

Mariella Berra, Angelo Raffaele Meo, “Informatica solidale. Storia e prospettive del software libero”, Torino, Bollati Boringhieri 2001

Steven Levy, Hackers, gli erori della rivoluzione informatica, Milano, Shake Edizioni Underground, 1996

Licklider, J., R., The Libraries of the future, Cambride, MA,M.I.T. Press, 1965

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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