Scrivo questo articolo per il fatto che la macchinetta mi ha appena rubato 51 centesimi, senza darmi la mia Cotta Cola, oppure, più probabilmente, saranno i 10 euro e 90 che ho appena speso per rispedire a B-Link il modem router che mi ha fatto penare per cinque mesi.
Mi brucia ancora il furtarello di Rind, che nel foglio informativo del mio contratto si è bellamente dimenticata di metterci l’IVA, rendendo molto meno conveniente l’acquisto del mio telefono. La stessa Rind che ha poi deciso di addebitarmi sulla carta di credito, senza chiedermi l’autorizzazione, 65 euro di “costi di disattivazione”, un modo furbo per definire le penali, vietate dal c.d. decreto Bersani sulla concorrenza. Hanno anche il coraggio di telefonarmi per dirmi che è scritto nel contratto.
Forse non sanno che se una clausola è contro la legge è nulla.
Un mio amico, recentemente, è stato vittima delle politiche poco amichevoli di Randall Air, che ha pensato di annullare il suo volo, su tratta non più redditizia, e gli ha offerto come telefono di assistenza un numero a pagamento: cornuto e mazziato.
Perchè i servizi che paghiamo sono tanto scadenti?
Gli esempi che ho sopra citato (chiaramente modificando i nomi delle aziende responsabili) possono testimoniare tre problemi:
- primo, le società di beni e servizi non sono più in grado di gestire i propri clienti, perché prive di competenze o risorse;
- secondo, le società fanno business attraverso strategie commerciali sempre al limite del furto (ma legali a normativa vigente);
- terzo: siamo circondati, perché ogni modo per guadagnare è utile a sconfiggere i concorrenti.
È possibile che i tre problemi siano connessi tra loro: se fai affari lucrando sulla poca attenzione dei tuoi clienti, sulla loro buona fede, ti ritrovi con molti più reclami da gestire, e fatichi a star dietro alla tua macchina organizzativa; la stessa ha subito probabilmente forti tagli, per comprimere i costi e bilanciare margini divenuti negli ultimi anni più bassi – di solito il costumer care è la prima funzione che viene esternalizzata, spesso fuori dall’Italia.
Provando a sintetizzare, le società maggiormente coinvolte in reclami (le multi-utility, le compagnie telefoniche, assicurative, aeree, le banche) mi è venuto il sospetto che alla base del fenomeno ci sia la solita commodity trap: il meccanismo per cui un prodotto diventa indistinguibile da una risorsa naturale; per esempio, il petrolio, il mais, l’acqua, l’alluminio sono commodities: sono, sostanzialmente, uguali dappertutto.
La “commoditazion” deriva dall’enorme diffusione della conoscenza, colpisce la manifattura e, parimenti, i servizi: sarà che gli attori sul mercato si rivolgono sempre alle stesse 5/6 grandi società di consulenza, che gli MBA sono uguali a Milano o a Singapore e che copiare dei servizi è tutt’altro che difficile (i modelli di business non sono brevettabili).
L’aumento del numero di reclami è una dinamica costante: anche se non sono riuscito a trovare dati aggregati (ogni associazione dei consumatori comunica i propri) ho trovato qualche ricerca nel mondo anglosassone che mostra cifre molto elevate; qui i dati negli Stati Uniti e nel Regno Unito
Non riusciamo a difenderci, come consumatori, perché non abbiamo le competenze, né il tempo per formarcele cercando informazioni in rete.
Questo modo di fare business è deleterio per tutti: per le società, che hanno visto un aumento del contenzioso, e per i cittadini, che sono costantemente immersi in un mix di impotenza e frustrazione e, piuttosto che rischiare nuove fregature, imparano a evitare nuovi servizi, anche utili e promettenti. Altrimenti perché l’e-commerce in Italia ci ha messo così tanto a decollare?
Cosa ci insegna il caso di Jaas
Mentre mi interrogo su quale sia la migliore soluzione a questo delicato problema, in parte credo sia di ordine normativo, dovremmo rendere le leggi più facili da capire e interpretare, mi imbatto, su segnalazione di un amico business angel, in una start up danese molto interessante, Airhelp.
Uno dei suoi fondatori, Henrik Zillmer, pubblica sul proprio blog delle riflessioni che raccolgono un discreto successo sui social in questi giorni.Arriviamo finalmente alla sigla del titolo: JaaS sta per Justice as a Service e si rifà ovviamente a espressioni come SaaS (Software as a Service).
Nelle intenzioni di Zillmer, si tratta di creare un servizio on-demand, in cui l’azienda presenta al posto vostro il reclamo, sfruttando l’automatizzazione del processo e agendo nella quasi certezza normativa
Ci sono infatti casi, previsti dalla legge e confermati dalle sentenze dei tribunali, in cui le società aeree sono tenute a rimborsare i propri clienti; Airhelp non vi fa pagare nulla per il servizio e, se vince il reclamo, prende il 25% del rimborso.
In rete trovate già molti cloni, ne ho contati almeno 4, e recensioni sul servizio; su Trustpilot, sito dedicato alle recensioni, la stragrande maggioranza è positiva
Ho incontrato una recensione italiana che invece mostra un risultato un po’ deludente e sottolinea la notevole invasione nella nostra privacy, dovendo autorizzare Airhelp a entrare nelle nostre email a caccia di biglietti; la comodità del servizio, pochi moduli da firmare, si scontra con il muro delle compagnie aeree e la necessità di andare in causa per vedere riconosciuti i propri diritti. Leggendo i numeri di questo articolo pare un’eventualità remota se, a fronte di 45.000 richieste, è capitato solo 50 volte. Come si spiegano questi dati?
Ho fatto la controprova per vedere se funziona
Ho contattato la compagnia, affermano che il 60% dei casi non richiede il tribunale e che il successo in causa è praticamente del 100%. Il caso negativo qui riscontrato può essere rientrato nella fase iniziale di reazione delle compagnie aeree, inizialmente contrarie a ogni mediazione, oppure fare parte di una percentuale di casi che, a dire di Airhelp, rischiano di essere “dubbi” – per esempio laddove per le condizioni meteo un’ampia fetta delle compagnie aeree non ha volato, e vengono abbandonati per l’incertezza del risultato della causa.
Avevo inizialmente ipotizzato che l’insuccesso potesse dipendere dai tempi della giustizia e dall’esistenza o meno di procedure per trattare i c.d. “small claim” le piccole cause dagli importi contenuti e con modalità di risoluzione rapide e semplificate; dalla risposta ricevuta mi sento di escludere questa interpretazione ma trovo comunque utile accennare il tema: è evidente che una maggiore diffusione di procedure di risoluzione semplificate aumenterà ulteriormente l’efficacia di simili modelli di business. L’Unione Europea sta investendo molto in questo campo alla luce dell’effetto deflattivo sulla giustizia civile.
Le prospettive future dai libri che non arrivano alle multe non pagate
Un simile modello di business si può allargare a tanti settori.
L’articolo di Zillmer cita già Fixed, che offre lo stesso servizio per le multe, e Paribus, per i rimborsi da richiedere ad Amazon nel caso in cui ci fossero offerte migliori.
Di certo in alcuni ambiti è molto più complesso adottarlo, anche se, fossi nel costumer care di banche, assicurazioni, compagnie telefoniche, mi preparerei per tempo. In effetti, la convergenza di intelligenza artificiale più sofisticata, una legislazione pro “small claims” e la rapidità con cui le start up nascono e scalano, in un mercato sempre più internazionale e interconnesso (Airhelp è ora a Y Combinator), dovrebbero produrre servizi JaaS che inonderanno gestioni reclami già oggi sotto notevole stress.
Quanto ci vorrà? Dipende dalla complessità dei regolamenti soggiacenti. Nel caso di Airhelp, la logica è semplice: si impostano una serie di condizioni e si verifica che si siano prodotte nel caso singolo. La disciplina non richiede molto sforza per essere codificata.
Se mi rivolgo al settore che conosco da vicino, la normativa bancaria, trovo una selva di regolamenti, di normativa primaria e secondaria, testi unici, interpretazioni e sentenze di tribunali. L’Arbitro Bancario e Finanziario, un meccanismo che evita il ricorso al giudice, è arrivato a ricevere, nel solo 2014, 11.237 ricorsi, con una crescita del 43% rispetto all’anno precedente.
Per ricavare un ordine dalle sue decisioni è richiesta la capacità di analizzare il linguaggio naturale, quindi un software in grado di trattare una semantica estremamente evoluta. L’uso di coder umani, per affrontare tale complessità, come avviene peraltro già nel caso di molte realtà di analisi di tweet, richiede competenze giuridiche comunque elevate. Niente di impossibile, se affrontato da personale con expertise e senza farsi affascinare da soluzioni estreme, come i Big Data o il Deep Learning: un buon ibrido tra tecnologie assistive – come quelle impiegate dagli avvocati per trovare le sentenze, e capitale umano ben formato e motivato, potrebbe a breve stupirci.
E allora l’impatto sulle nostre vite di consumatori sarebbe davvero positivo, diventando meno conveniente approfittare della nostra ignoranza e di leggi purtroppo non comprensibili a tutti. Prepariamoci a un nuovo modo di fare economia, un ulteriore effetto della rivoluzione dell’Intelligenza Artificiale.
Nota: Il contenuto di questo articolo riflette esclusivamente le mie opinioni e non impegna la responsabilità della Banca d’Italia.