“L’assassino è ancora in giro” è il titolo della discussa copertina dell’edizione commemorativa da un milione di copie di Charlie Hebdo in vendita il 6 gennaio ad un anno dagli attentati di Parigi. Su quel titolo la figura di un Dio cristiano, armato di kalashnikov e la veste insanguinata, a irridere il fanatismo di qualsiasi religione. Musulmani francesi e chiesa cattolica questa volta sono stati uniti nel condannare la satira di Hebdo. Il presidente del Consiglio del Culto Musulmano Anouar Kbibech si dice “ferito” dalla caricatura e dure parole di critica anche dall’Osservatore Romano: « il settimanale non rispetta la fede in Dio di ogni credente, qualunque credo professi».
La questione della satira dissacrante ancorché offensiva era scoppiata parallelamente ai fatti del 7 gennaio 2015, articolando su scala planetaria, un ampio dibattito sulle vignette di Charlie Hebdo, se il giornale avesse il diritto di “offendere” in nome della libertà di espressione.
In un’Europa ferita, più o meno coesa, la reazione prevalente fu in favore della libertà di satira, mentre il mondo anglosassone, con a capo la portaerei statunitense, si arenò su una questione “morale” che portò testate di prestigio come il New York Times a rifiutarsi di pubblicare le vignette della testata francese perché, affermò il suo direttore Dean Baquet: «Il Times normalmente non pubblica immagini o altro materiale teso deliberatamente ad offendere le sensibilità religiose. Molti Musulmani considerano offensiva la stessa pubblicazione delle immagini del loro profeta e noi ci siamo astenuti dal farlo».
La posizione del Times è stata aspramente criticata, considerata persino bigotta, tanto da spingere il public editor dello stesso giornale, Margaret Sullivan, a porre la questione quasi subito e, qualche giorno dopo, criticarla apertamente.
Sono stati diversi gli intellettuali che hanno assunto una posizione critica sulla satira di Charlie, tra essi Manuel Castells: «Non vedo alcuna giustificazione, in nome della libertà di espressione, per dipingere Maometto come un cane (come fece il disegnatore svedese Lars Vilks) o, nel caso di Charlie Hebdo, per disegnare Maometto nudo che mostra il sedere e si offre di essere sodomizzato. Io sostengo una totale libertà di espressione in termini legali ma moralmente condanno l’islamofobia e l’umiliazione per la più importante religione del mondo in termini di numero di credenti.»O come Emmanuel Todd che ha indicato nel consenso plebiscitario alla satira del giornale francese, dopo gli attentati, l’espressione di una classe reazionaria “che ha visto in quelle adunate di massa l’opportunità non già di lottare per la laicità, ma di sfogare la propria islamofobia”.
Si difende la satira, ma si limitano le altre libertà
Ma siamo sicuri che la questione “satira” sia oggi, ad un anno dagli attentati di Parigi, ancora una questione rilevante?Certo, il 7 gennaio 2015 resterà nella storia come il giorno degli attentati al Charlie Hebdo ed al supermercato Kosher. Quella tragedia ha portato nel cuore dell’Europa la coscienza di una comune e condivisa vulnerabilità: tutti in pericolo, nella spirale del terrore. Quello che l’11 settembre aveva significato per gli Stati Uniti e, con razionale consapevolezza per tutto il resto del mondo, è divenuto un tumulto viscerale nella pancia del Vecchio Continente, una latenza di paura e di insicurezza che mina profondamente e a tutti i livelli i già precari equilibri della nostra società. Lutto di cui non si era avuto il tempo per una naturale elaborazione e che è stato così duramente sopraffatto dalla strage del Bataclan, il 13 novembre scorso.
Eppure il dibattito sulla satira, fondamentale in relazione alla questione libertà di espressione ovunque ci si collochi, sembra svanire, evaporare, divenire un simulacro, un contenitore privo del contenuto se si tiene conto della direzione in cui ha proceduto in quest’ultimo anno l’Europa.
La minaccia del terrorismo, da Charlie Hebdo in poi, ha innescato una spirale perversa, in tutta Europa, di leggi e misure atte ad intensificare la sorveglianza di massa ed i controlli, limitando i diritti fondamentali dell’individuo in nome della sicurezza.
In Italia il 15 aprile scorso è passato il decreto antiterrorismo che prevede, tra le altre misure, la modifica della norma che regola le intercettazioni preventive: le intercettazioni vengono disposte semplicemente dietro autorizzazione di un procuratore della repubblica.In Spagna con la “Ley Mordaza” (legge museruola), dal primo luglio scorso, è vietato organizzare manifestazioni non preventivamente autorizzate o pubblicizzarle su internet, tenere manifestazioni o spettacoli nei pressi del Parlamento o del Governo o davanti alle sedi dei ministeri, fotografare appartenenti alle forze dell’ordine.In Francia la nuova legge sulla sicurezza nazionale, approvata lo scorso giugno, consente la sorveglianza in rete, di massa, sui “metadati” degli utenti, la raccolta per lunghi periodi dei dati degli utenti, l’estensione del campo di applicazione delle competenze delle Agenzie di sicurezza nazionale, la raccolta generalizzata dei dati dei cittadini su Internet ed analisi/monitoraggio attraverso l’uso di algoritmi, l’ istituzione di un’agenzia di sorveglianza internazionale per le comunicazione ricevute/inviate verso estero, la creazione di una commissione di controllo per le richieste di intercettazione che, di fatto, ha solo potere consultivo, mentre quello decisionale resta nelle mani del Primo Ministro.
A questo proposito Philippe Aigrain, scienziato e padre dell’associazione per i diritti digitali francese, ha affermato: « Siamo di fronte a una messa in scena permanente della paura… ma più che la paura, l’elemento chiave è che siamo disarmati, non sappiamo più come lottare per le nostre libertà, i nostri diritti: il bisogno di difenderli non viene percepito come immediato, irreprimibile. Nel frattempo il governo ignora le critiche e forza il dibattito parlamentare».
Pensiero analogo a quello espresso, con altre parole, da Stefano Rodotà: « Sta accadendo, e non è la prima volta, che utilizzando come argomento, o meglio, come pretesto, fatti riguardanti il terrorismo o la criminalità organizzata si dice “l’unico modo per tutelare la sicurezza è quello di diminuire le garanzie e di aumentare le possibilità di controllo che le tecnologie rendono sempre più possibile”».
Per non parlare di ciò che si sta verificando in questi ultimi mesi in cui i governi europei, stretti tra la necessità di contenere l’accesso dei migranti e quella di prevenire possibili attentati terroristici, stanno facendo dietro front sulle norme istitutive della moderna Europa, come il trattato di Schengen.È per questi motivi che, di fronte ad un mondo votato al terrore ed alla guerra, la questione satira ha perso una parte consistente della sua forza ed interesse: la libertà di espressione, schiacciata tra la paura e l’autoritarismo, è in serio pericolo.La medicina che i governi europei stanno prescrivendo può essere così potente da uccidere il paziente.
ANTONIO ROSSANO