La differenza fra il giornalismo e Bruno Vespa secondo me

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Gentile dottor Bruno Vespa,

ho letto con interesse la sua lettera al Direttore del Corriere della Sera con cui di fatto argomenta e difende la sua scelta di ospitare Salvo Riina, figlio del più famoso Totò, per presentare il suo libro in un’esclusiva televisiva all’interno di Porta a Porta.

Oggi è il giorno che segue la pubblicazione della sua lettera e tra le pagine del Corriere della Sera non trovo traccia di una qualsiasi risposta a quanto pubblicato il giorno prima nella replica al fiume di critiche che la sua trasmissione ha provocato. Forse, dottor Vespa, gli argomenti che lei ha utilizzato per scagionarsi non sono stati così convincenti. Glielo dico in tutta sincerità e con un pizzico di riguardo, perché forse di giornalismo non ne so molto, ma nella comunicazione mi arrangio e allora ci tenevo a darle qualche modestissima indicazione.

Vede, lei esordisce con un bizzarro sillogismo secondo cui le polemiche seguite alla sua trasmissione le impedirebbero di intervistare Hitler se dovesse risalire dall’inferno. Ora, ammesso e non concesso che la risalita dagli inferi abbia un qualsiasi valore come artificio retorico, lei parla di “parametri giornalistici” e una “storia scritta dai cattivi” che legittimerebbero l’intervista al pargolo del mafioso con tanto di spot pubblicitario al volume che nel frattempo è andato felicemente in ristampa. Non contento, tira in ballo addirittura Enzo Biagi e, in un ardito parallelismo con il grande giornalista del Corriere, protesta perché quando il Maestro intervistò Sindona, Liggio, Buscetta, Stefano delle Chiaie, beh, allora nessuno urlò con lo stesso trattamento che è stato riservato a lei.

Non si celebra una famiglia mafiosa coi soldi dei contribuenti

Altri cattivi che hanno fatto la storia, eppure neanche un refolo di disapprovazione nei confronti della Rai, la nostra televisione pubblica.

Perché, dottor Vespa, di questo stiamo parlando non se lo dimentichi, stiamo parlando della celebrazione di una famiglia mafiosa nel palinsesto di una tv che ogni anno balzella i suoi telespettatori con un canone oneroso nonostante sia infarcita di pubblicità, telepromozioni e altre profittevoli amenità, tanto quanto le televisioni commerciali. Ma questo è un altro discorso.

Intanto ci tenevo a ricordarle che quando Enzo Biagi intervistava i suoi di cattivi, non c’era Twitter e mi dispiace che nel frattempo lei non abbia voluto approfondire la materia, perché avrebbe facilmente intuito che difficilmente la presentazione del libro di Salvo Riina sarebbe passata sotto silenzio. Ma questo io credo che lei se l’aspettasse anche, ecco forse non poteva immaginare che i trend topic su Twitter avrebbero smosso anche i vertici della Rai, alcuni dei quali mi risulta avrebbero stigmatizzato la sua intervista con una presa di distanza affidata ai principali organi di informazione, lasciandola nell’imbarazzante condizione di dover scrivere una lettera al Direttore del Corriere per motivare la sua scelta.

E il Direttore, a tutt’oggi, non ha risposto.

No, non è la Rai di Enzo Biagi

Forse, perdoni l’ardire dottor Vespa, aver scomodato la firma più illustre del Corriere per metterla vicino al suo Porta a Porta in questo imbarazzante destino parallelo con Enzo Biagi può aver irritato il Direttore Luciano Fontana, o forse più semplicemente qui non stiamo parlando di giornalismo. E lo so che lei è un giornalista, ma quando è dentro quella scatola diventa qualcosa d’altro. Anzi no. Il suo format è qualcosa d’altro dal giornalismo di Biagi, perché anche alcune delle sue interviste erano dentro la scatola televisiva, ma dentro un contenitore altro, dentro un format che usava i codici del giornalismo, la grammatica del giornalismo, le intenzioni del giornalismo, la scrittura del giornalismo. Porta a Porta no, caro Bruno Vespa.

Porta a Porta è entertainment e lei lo sa benissimo perché di quello show conosce perfettamente i tempi e la poetica. Porta a Porta presenta libri, intrattiene, ospita i protagonisti della scena politica e dello spettacolo, ma il giornalismo televisivo, mi perdoni, è un’altra cosa. E alcune trasmissioni nello studio accanto potrebbero ricordarglielo.

Questo credo di aver letto nei thread su Twitter, nei post su Facebook, nelle prese di posizione che in tanti hanno preso nei pezzi a commento di quanto stava succedendo mentre lei faceva accomodare sulle sue poltrone bianche il figliol prodigo con il libro sottobraccio. Ci ho letto la frustrazione dei telespettatori che sono costretti a versare una tassa di stato per una televisione che non risponde alle aspettative culturali, d’informazione e d’intrattenimento di molti.

Lei diventa quindi il capro espiatorio di questa vessazione, perché la sua trasmissione ne è una delle punte di diamante e non può parlare di giornalismo, come non possono farlo Barbara D’Urso e Massimo Giletti, o gli altri professionisti televisivi che usano i palinsesti come grimaldelli emotivi. Il cronista fa un altro mestiere rispetto al vostro. Non è un giudizio, è una constatazione.

Grazie per aver letto fino a qui, non voglio sostituirmi al Direttore del Corriere, vedrà che magari domani risponde. Per adesso si accontenti di questo mio scrivere in cui ho provato con moltissima umiltà a segnalarle alcune leggerezze di contesto che purtroppo non giocano a suo vantaggio.

Inviti la mamma di Giulio Regeni, anzi no

A proposito di lettere, avrà sicuramente visto quella della mamma di Giulio Regeni in prima pagina su La Repubblica di oggi. Guardi con quanta dignità ringrazia chi ha “adottato” il suo ragazzo, torturato e ucciso in Egitto. Lo so, ci avrà già pensato, in fondo la storia non la scrivono solo i cattivi, ma anche le mamme. E infatti proprio qualche settimana è comparsa la mamma di Alexander Boettcher, anche qui in rigorosa esclusiva, per conoscere il viziatello che insieme alla sua mantide ha sfigurato con l’acido un coetaneo milanese. Ma si trattenga, non disturbi la signora Regeni, perché abbiamo il dovere di fermarci un attimo prima della spettacolarizzazione di qualsiasi cosa. Le apparizioni televisive non possono edulcorare ogni tragedia, il dolore, le morti, men che meno la mafia.

Chi si occupa di comunicazione deve sentire ogni giorno la responsabilità delle proprie scelte nella costruzione dei riferimenti culturali. Io provo a farlo attraverso la pubblicità, lei dottor Vespa provi a fare lo stesso con la televisione, vedrà che forse ce la facciamo a bonificare un pochino il terribile immaginario che abbiamo intorno.

I miei ossequi.

PAOLO IABICHINO

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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