Da lontano non è facile capire cosa sia effettivamente un ELF. La forma è quella di un ovetto da cui spuntano tre grandi ruote, una davanti e due dietro. Se ci si avvicina un po’, si capisce che si tratta di una bicicletta ricoperta da un guscio di plastica; una bicicletta in versione Smart, per intenderci. Dalle due aperture laterali si scorge una pedaliera, una catena, un manubrio e, dietro la sella, pure un bauletto con tanto di chiave. L’ELF ha pure un motore elettrico: è una bicicletta a pedalata assistita la cui originalità consiste in un pannello solare in grado di ricaricare in un paio d’ore la batteria posizionata sotto la sella.
La scocca che protegge il guidatore, in altre parole, è anche la fonte di energia per chi non se la sente di fare troppa fatica per andare al lavoro.
Con un app potrete guardare sul vostro telefono il livello di carica della vostra batteria e la velocità a cui state attraversando il centro città.
L’ELF è un bell’esempio di ingegnosità applicata al mondo della bicicletta. Dopo tanti anni di difficoltà, il mercato delle biciclette ha ripreso a crescere. Mancava, però, un veicolo capace di combinare la pedalata assistita con la ricarica a energia solare. Organic Transit, la start up che ha sviluppato l’ELF, ha deciso di riempire questo vuoto: ha messo a punto un mezzo nuovo per pendolari che vogliono tenersi in forma nel rispetto dell’ambiente. Robert Cotter, l’ingegnere che ha pensato e sviluppato l’ELF, è stato sempre un appassionato di biciclette. Da trent’anni progetta e produce veicoli innovativi e, di recente, è stato pure consulente della municipalità di New York per la messa a punto delle piste ciclabili.
Per progettare l’ELF ha scommesso su semplicità e utilità. Difficile prevedere se l’ELF avrà un successo globale: di certo il percorso di Cotter merita di essere considerato con attenzione.
In effetti, l’ELF è un emblema di quella innovazione “frugale” che gli indiani chiamano “jugaad” e che sta contagiando anche tanti imprenditori e manager occidentali. Frugalità è saper trovare soluzioni ingegnose a basso costo, imparando a sfruttare al meglio le risorse a disposizione. In India è una necessità, negli Stati Uniti è un modo diverso di pensare l’innovazione.
L’ELF è frugale perché punta mettere sul mercato un prodotto davvero accessibile, sfruttando componenti standard del mondo della bicicletta (l’85% dei pezzi montati su un ELF sono facilmente reperibili sul mercato). È frugale anche e soprattutto nel modello di business: sfrutta la rete e la partecipazione come motore per la crescita, valorizzando risorse altrimenti poco utilizzate.
Proprio questa combinazione fra un prodotto originale e un business model innovativo rende il percorso da Organic Transit particolarmente interessante (anche per gli italiani).
Partiamo dalla finanza. La Organic Transit, non ha seguito la strada maestra delle start up in stile Silicon Valley. Ha scelto la via del crowdfunding. Quando Cotter ha voluto testare il mercato, ha proposto su Kickstarter.com un primo lotto di qualche decina di ELF per capire se c’era risposta dal mercato. Kickstarter.com ha consentito a Cotter, di trovare un primo gruppo di acquirenti cui chiedere consigli e commenti riguardo all’uso dell’ELF nelle città americane. Come molti altri startupper manifatturieri, invece di dedicare tempo ed energie a convincere un venture capital ha preferito costruire un prototipo e chiedere alla gente se era disposta a comprarlo.
Anche sul versante del modello di produzione, Cotter ha intrapreso una strada tutta sua. Se andate a visitare la sede di Organic Transit in centro a Durham, North Carolina, rimarrete stupiti. La scritta anni ’50 che campeggia fuori dal palazzo è già un indizio dello stile con cui Cotter e i suoi soci hanno deciso di gestire la loro start up. Al piano terra, appena a ridosso delle vetrine che ospitano i pezzi in vendita, c’è chi costruisce, chi imbullona, chi mette a punto i circuiti elettrici. La Organic Transit non fa mistero di essere un’officina artigianale in piena regola, in grado di gestire una ad una le richieste dei diversi clienti. Con un po’ di pazienza potete pure assistere alla costruzione del vostro ELF, magari precisando le vostre richieste quanto a lunghezza delle gambe o sistemazione del bauletto posteriore.
Dopo i primi successi, in molti avrebbero tenuto l’officina come cimelio e scommesso sull’abbinata brevetto+delocalizzazione. Nel caso di prodotti simili a ELF, le aziende americane tendono a portare la produzione in Cina non appena i volumi iniziano ad avere una certa consistenza. Cotter e i suoi hanno scelto una strada diversa. Hanno deciso di sviluppare in venticinque grandi città americane (San José è la prima) altrettante officine simili a quella già avviata a Durham. In queste officine si costruiranno, si racconteranno e si venderanno ELF a scala locale. Queste officine saranno il vero trademark del modello proposto da Organic Transit.
È lo stesso Hugh Thomas, responsabile marketing di Organic Transit, a spiegare il senso dell’operazione: «Negli ultimi vent’anni il mercato delle biciclette è andato ridimensionandosi negli Stati Uniti. Adesso assistiamo a un cambiamento di rotta, perché si pensa alla bicicletta come a una vera alternativa all’automobile. Noi vogliamo dare ai meccanici la possibilità di costruire con noi le ELF e di garantire quella manutenzione che è necessaria per un veicolo che può cambiare nel tempo a seconda delle esigenze di chi lo guida». Molti di questi meccanici non hanno lavorato granché di questi tempi. Organic Transit vuole essere un’opportunità anche per chi non ha necessariamente vent’anni e intende rimanere nel settore.
Durham, la città dove Cotter ha deciso di avviare la sua impresa, è una città nota nella geografia dell’innovazione Made in Usa. Il Research Triangle è un’area del North Carolina che compete con la Silicon Valley e con Boston quanto a investimenti in ricerca di base e qualità delle università (ad esempio, Duke University). Colpisce che proprio in un’area come questa trovino spazio imprenditori capaci di innovare tanto nel prodotto quanto nella formula imprenditoriale. È il segno di una nuova sensibilità che pensa a una nuova manifattura per promuovere stili di vita e comunità più sostenibili.
Non è sempre vero che si montano start up per rivenderle il prima possibile. Un amico banchiere ha chiesto a Cotter di partecipare all’investimento e gli ha chiesto quale fosse la sua personale exit strategy. «Quale exit strategy? – ha risposto Cotter – io non voglio uscire da questo business. Io mi diverto da morire». L’innovazione in versione frugale, lo dicono anche gli indiani, ha bisogno di slancio e passione.
Ps. Un caro amico mi ha chiesto quale lezione può venire all’Italia da un’esperienza come Organic Transit. Il nostro paese è pieno di straordinari artigiani/inventori che hanno fatto della loro ingegnosità il motore di innovazioni sorprendenti. L’innovazione in versione frugale da noi non è una novità assoluta. La lezione di Cotter, tuttavia, indica qualcosa in più. Per essere innovativi oggi dobbiamo pensare simultaneamente al prodotto e al modello di business che lo realizza.
Se è vero che il business man americano, quando ha messo a punto un prodotto interessante, pensa subito a brevettare e delocalizzare, è altrettanto vero che in Italia, nella stessa situazione, in molti penserebbero a come mettere a punto finiture in versione extra-lusso. È giusto. Ci sta. Il mercato vuole un Made in Italy di qualità. Ma oggi se vogliamo parlare con mercati e culture nuove, la lezione di Cotter va presa sul serio.